Medici – Fuga medici da ospedali, in un anno +55% pensionamenti

07 Novembre 2011

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Fuga medici da ospedali, in un anno +55% pensionamenti

 Roma, 7 nov. (Adnkronos Salute) – Medici italiani in fuga dagli ospedali. Nel 2010 oltre 4 mila camici bianchi che lavoravano nelle strutture pubbliche appeso il camice al chiodo. Per la precisione 4.144, di cui 3.337 uomini e 807 donne. Un vero e proprio boom di uscite, se si considera che nel biennio precedente (2008-2009) il numero dei pensionamenti si era sempre mantenuto stabile intorno ai 2.700 l’anno. Una vera impennata dal 2009 al 2010: +50% per i maschi, +70% per le dottoresse. E che conferma tutti i timori lanciati da più parti su una carenza di medici nei prossimi anni. E’ quanto emerge dall’analisi sulle tabelle dell’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) in possesso dell’Adnkronos Salute.
A giustificare questo ‘esodo biblico’ entrano in ballo tanti elementi. In parte si può certamente collegare all’età più avanzata dei medici, o al fatto che sempre più donne negli anni hanno scelto di indossare il camice. Ma non basta, soprattutto alla luce del fatto che l’impennata si è registrata nell’arco di 12 mesi. Non si può non pensare al malcontento lamentato dai camici bianchi nell’ultimo periodo. Sono ormai due-tre anni infatti che i medici si sentono ‘perseguitati’ da leggi e misure che complicano la loro attività e che minano la qualità della loro vita professionale: contratto bloccato, retribuzione congelata, nuove norme penalizzanti sulle pensioni. E ancora, blocco del turnover che porta a turni sempre più pesanti, più burocrazia.
Il sospetto che questo clima abbia giocato un ruolo decisivo è confermato dai principali sindacati di categoria, Anaao Assomed e Fp Cgil medici. Per il segretario nazionale dell’Anaao, Costantino Troise, le “condizioni di lavoro più gravose e più rischiose, anche per il crescere del contenzioso medico legale, spingono i medici dipendenti del Ssn all’età di 61-62 anni, o prima se la situazione previdenziale lo consente, ad abbandonare il posto di lavoro”. Dello stesso avviso il segretario nazionale della Cgil medici, Massimo Cozza: “Questi dati sono la prova del disagio e del malessere che c’è nella categoria, continuamente attaccata. E allora per molti l’unica via di uscita è la pensione”.
D’altronde i numeri dell’Inpdap parlano chiaro: nel 2008 sono andati in pensione 2.202 maschi e 483 femmine; nel 2009 gli uomini che hanno lasciato la professione sono stati 2.227 e le donne 470; mentre nel 2010 si è arrivati a 3.337 maschi e 807 femmine. Il dato, già di per sè clamoroso, assume una rilevanza maggiore anche per la sua distribuzione omogenea in tutte le Regioni. Analizzando le tabelle dell’Inpdap, si può infatti notare che – a parte la Valle D’Aosta – l’impennata si è registrata ovunque.
Scendendo lo Stivale da Nord a Sud, se si prendono in considerazione solo le uscite dei medici maschi tra il 2009 e il 2010, emerge questo quadro: in Veneto da 188 pensionamenti si è passati a 240; in Piemonte da 131 a 184; in Lombardia da 288 a 383; in Friuli Venezia Giulia da 53 a 72; in Trentino Alto Adige da 34 a 38; in Emilia Romagna da 144 a 241; in Liguria da 68 a 100; in Toscana da 142 a 244; in Umbria da 42 a 74; nelle Marche da 58 a 106; in Abruzzo da 70 a 91.
Nel Lazio si è passati da 238 a 321 pensionamenti; in Molise da 15 a 37; in Campania da 236 a 356; in Basilicata da 11 a 24; in Puglia da 147 a 219; in Calabria da 89 a 137; in Sicilia da 196 a 366; in Sardegna da 66 a 84. Fa eccezione la Valle D’Aosta dove nel 2009 si sono registrati 3 pensionamenti e solo 2 nel 2010.
Dalle tabelle dell’Istituto previdenziale emergono quindi percentuali di crescita – tra i medici uomini – che vanno dal 20% a oltre il 90%. Percentuali praticamente raddoppiate, e anche di più in alcune regioni, se invece si prendono in considerazione i dati relativi alle donne medico.
Sempre facendo un ipotetico viaggio da Nord a Sud ci si trova davanti a uno scenario ancora più significativo: in Veneto da 30 pensionamenti si è passati a 38; in Piemonte da 37 a 59; in Lombardia da 88 a 103; in Friuli Venezia Giulia da 8 a 16; in Trentino Alto Adige da 5 a 10; in Emilia Romagna da 32 a 76; in Liguria da 18 a 29.
In Toscana si è passati da 29 a 67 pensionamenti; in Umbria da 11 a 17; nelle Marche da 7 a 15; in Abruzzo da 12 a 21; nel Lazio da 69 a 111; in Molise da 3 a 6; in Campania da 28 a 67; in Basilicata da 2 a 3; in Puglia da 16 a 33; in Calabria da 18 a 22; in Sicilia da 31 a 77; in Sardegna da 23 a 33. In Valle D’Aosta nel 2010 si è registrata solo un’uscita, mentre nel 2009 nessuna donna aveva lasciato la professione.
Per il segretario nazionale della Fp Cgil il fenomeno è frutto di diversi elementi. “In particolare – spiega Cozza hanno giocato un ruolo importante il contratto bloccato e la retribuzione congelata proprio dal 2010, nonché gli annunci delle nuove norme penalizzanti sulle pensioni (con lo scatto dei 65 anni per le donne che lavorano nel pubblico impiego dal 2012) alle quali si sono aggiunte quelle relative al differimento e alla diluizione del Tfr. Dal 2011 è poi scattato l’iniquo prelievo forzoso del 5% della retribuzione oltre i 90 mila euro che colpisce solo chi lavora nel servizio pubblico”.
Anche per il numero uno dell’Anaao Assomed, Troise, vi sono aspetti – anche organizzativi – che giocano contro la permanenza in servizio. “Ad esempio – spiega – la bassa probabilità di raggiungere posizioni elevate di autonomia professionale (solo l’8% dei dirigenti medici diventa direttore di struttura complessa), oppure la mancata applicazione delle raccomandazioni contrattuali secondo cui ai medici con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna. Ma anche le difficoltà crescenti di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo previsti dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee”.
Un altro ruolo decisivo nello spingere i medici ad abbandonare il camice sembra averlo giocato il blocco del turn over imposto alle Regioni alle prese con i piani di rientro, ma in gran parte attuato anche nelle altre per le minori risorse disponibili. “Questo blocco – sottolinea Cozza – porta a turni sempre più massacranti per chi rimane, con ferie che si accumulano e sempre più straordinari. La qualità del lavoro peggiora e il medico si sente stretto in una morsa tra le richieste dei cittadini e la mancanza di risorse. Peraltro costretto a far ricorso alla medicina difensiva per far fronte all’aumento delle denunce. Senza contare i costi dei premi assicurativi sempre più alti. E allora – conclude amaro Cozzase il sistema non cambia l’unica salvezza è la pensione“.

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