Un nuovo patto sociale per rispondere alla crisi

08 Dicembre 2011

Un nuovo patto sociale per rispondere alla crisi

Lettera aperta ai vertici dell’Unione Europea

di SUSANNA CAMUSSO, FERNANDEZ TOXO, CANDIDO MENDEZ, MICHAEL SOMMER, BERNARD THIBAULT,FRANÇOIS CHERÈQUE, ANNE DEMELENNE, CLAUDE ROLIN

 

L’Unione europea attraversa la crisi più profonda della sua storia. Una crisi finanziaria ed economica che ha gravi conseguenze sociali ma che è divenuta, soprattutto, crisi politica della stessa Ue. Chi poteva immaginare, appena due anni or sono, che tante voci, anche molto qualificate, potessero prevedere una possibile rottura dell’euro? Significherebbe la distruzione dello stesso progetto europeo. Come si è potuti arrivare a questo?

La radicale virata politica del Consiglio d’Europa del 9 maggio 2010 fu dichiarata necessaria per recuperare fiducia dei mercati finanziari e permettere ai loro agenti di finanziare gli stati europei con tassi di interesse ragionevoli. Da quella data, il Consiglio, la Commissione e la Bce hanno promosso, o imposto, politiche di austerità basate sulla riduzione delle spese pubbliche e sulle famose “riforme strutturali” consacrate nel Piano di governance economica e nel Patto Europlus. Il prossimo vertice del Consiglio europeo, il 9 dicembre, lancerà il dibattito sulla riforma del Trattato di Lisbona per mettere queste politiche al centro di una governance economica rafforzata della zona Euro.

Il fatto è che queste politiche sono naufragate. Sul piano economico, la crisi dei debiti sovrani si è propagata ed aggravata. Le conseguenze sociali della riduzione dei salari e delle pensioni, della contrazione delle spese della protezione sociale, dell’istruzione e della salute sono evidenti. Parallelamente, la solidarietà tra paesi si sta riducendo. Fatto inedito, le istituzioni europee incoraggiano una profonda erosione del modello sociale.

Le istituzioni europee e di molti paesi stanno per rompere quel patto sociale che aveva permesso, dopo la seconda guerra mondiale, di costruire il Welfare State europeo e il progetto comune che ha portato all’Unione europea. Il sindacalismo europeo, riunito in seno alla Confederazione europea dei sindacati Ces, ha rifiutato fermamente tali politiche e si è mobilitato.

Non è chiaro, finora, fino a che punto i fatti stiano dando ragione alle suep roposte ed analisi. Costruiamo a sostenere che non ci sia altra soluzione che approfondire il progetto europeo, ma con formule ben diverse dalle politiche sbagliate e ingiuste che gli attuali responsabili europei ci impongono. Non è il momento di rimettersi ai governi di tecnocrati, c’è bisogno di maggiore azione politica e di partecipazione dei cittadini.

Cosa proponiamo per uscire da questa crisi economica e politica dell’Ue?

Innanzitutto, fermare i meccanismi della speculazione, garantire la capacità finanziaria di tutti gli stati membri. Il solo annuncio, credibile, di una garanzia assoluta dei debiti sovrani porrebbe un freno alla speculazione dei mercati. Tale garanzia potrebbe concretizzarsi nell’emissione di euro-obbligazioni e nella trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza. Anche il sindacalismo europeo è molto preoccupato della stabilità delle finanze pubbliche. Non si può tuttavia raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito annientando le economie.

Pensiamo che oggi più che mai si abbia bisogno di una nuova politica monetaria, economica e sociale, nel quadro di una governance economica forte della zona Euro, coordinata con quella dell’Ue a 27, ma con contenuti assai diversi da quanto propostoci dai governi. Affrontare l’insieme delle sfide europee è impossibile con un esangue stanziamento che arriva appena al 1% del Pil. Abbiamo bisogno di una istituzione europea che emetta debito e non soltanto diuna banca centrale la cui unica missione è controllare l’inflazione.

Il Consiglio europeo del 9 dicembre dovrà risolvere problemi immediati deldebito e della crescita, nonché dare chiare indicazioni sulla prospettiva chenoi proponiamo. Il movimento sindacale europeo non difende una posizione diparte: noi cerchiamo di proteggere l’interesse generale. È necessario un nuovo patto sociale.

Il patto fiscale, le politiche di redistribuzione delle ricchezze, il diritto del lavoro e la negoziazione collettiva sono stati il collante del più lungo periodo di prosperità economica e democratica in Europa. Tale collante ha consolidato relazioni del lavoro moderne, permettendo un forte coinvolgimento dei lavoratori, attraverso le loro organizzazioni, nella vita delle imprese. Soltanto basandoci su questi valori, che hanno definito il modello sociale europeo si potrà uscire dalla crisi.

Esigiamo che venga realizzata una futura revisione dei trattati integrando la dimensione sociale. I diritti sociali fondamentali, in particolare quelli riguardanti la negoziazione collettiva, debbono essere rispettati ed inclusi intutte le misure anticrisi.

Il progresso dell’Unione europea si deve basare sulla coesione sociale e la solidarietà interna tra gli stati membri e nella solidarietà e la coesione politica tra essi. Per raggiungere questo, bisogna agire in un quadro comune europeo e rafforzare il dialogo sociale. È per questo che avanziamo queste proposte, esigendo che non si marginalizzino i lavoratori nella ricerca delle soluzioni, manifestando la volontà di mobilitarci in un quadro europeo, per ottenerle.

* Susanna Camusso, segretario generale Cgil; Fernandez Toxo, segretariogenerale Ccoo Spagna; Candido Mendez, segretario generale Ugt Spagna; MichaelSommer, segretario generale Dgb Germania; Bernard Thibault, segretario generaleCgt Francia; François Cherèque, segretario generale Cfdt Francia; AnneDemelenne, segretario generale Fgtb Belgio; Claude Rolin, segretario generaleCsc Belgio

 

Por un nuevo contrato social europeo

La Unión Europea está atravesando la más profunda crisis de su historia. Es financiera y económica, con graves consecuencias sociales. Pero es también una crisis política de la propia UE. La situación, de auténtica emergencia, se caracteriza por la aparición de problemas muy serios de financiación en varios Estados, que pueden producir una reacción en cadena y la recaída en una nueva recesión generalizada. Hace dos años hubiera sido impensable que tantas voces, algunas cualificadas, juzgaran que la ruptura del euro es una posibilidad. Dicha ruptura llevaría a la completa desnaturalización, si no a la destrucción, del propio proyecto europeo.

El giro político radical del Consejo Europeo, el 9 de mayo de 2010, se justificó para recobrar la confianza de los mercados financieros y permitir que sus agentes financiaran a los Estados europeos a tasas de interés razonables. Desde esa fecha, el Consejo, la Comisión y el BCE han promovido, o han impuesto, políticas de austeridad, basadas en el recorte del gasto público, y las llamadas “reformas estructurales” que han sido consagradas en el Plan de Gobernanza Económica y el Pacto por el Euro Plus. La próxima Cumbre del Consejo Europeo, del 9 de diciembre, iniciará el debate sobre una reforma del Tratado de Lisboa, para hacer de estas políticas el núcleo de un modo de gobierno económico reforzado de la zona euro.

Pero estas políticas han fracasado. En el terreno económico, la crisis de las deudas soberanas está más extendida y es mucho más aguda que antes, el crecimiento ha caído bruscamente en casi todos los Estados, y el desempleo ha aumentado allá donde los recortes presupuestarios han sido más fuertes. Las consecuencias sociales de la disminución de los salarios y las pensiones y de los recortes en los gastos de protección social, educación y salud son evidentes: más pobreza y desigualdad, aumento de la precariedad, y una fuerte erosión de la cohesión social. Al tiempo, se está debilitando la solidaridad entre las naciones.

Se promueve, desde las instituciones europeas, una erosión profunda del modelo social cuyos valores y principios son seña de identidad y elemento de vertebración de la UE. Se está quebrando el pacto social que, después de la II Guerra Mundial, permitió construir los Estados de bienestar europeos y el proyecto común que ha desembocado en la Unión Europea.

El sindicalismo europeo, agrupado en la Confederación Europea de Sindicatos (CES), ha rechazado con firmeza estas políticas y se ha movilizado contra ellas, en el ámbito europeo y en el de numerosos Estados. Por el momento no ha sido escuchado, a pesar de que los hechos están dando la razón a sus análisis y propuestas. Pese al profundo desencanto europeo de muchos trabajadores, seguimos diciendo que no hay otra solución que la profundización del proyecto europeo, pero con políticas muy distintas a las fracasadas e injustas que los actuales responsables políticos europeos nos están imponiendo. No es tiempo de Gobiernos de tecnócratas, sino de dar más terreno a la democracia social y política y a la participación ciudadana.

¿Qué proponemos para salir de esta crisis económica y política de la UE?

En primer lugar, acabar con los mecanismos de la especulación y asegurar la capacidad financiera de todos los Estados miembros, resolviendo de una vez la crisis de la financiación de los Estados. ¡Cómo es posible que Estados Unidos, con los principales indicadores peores que los del conjunto de la UE, y Japón, con una deuda pública del 225% de su PIB, pueda emitir sus bonos a 10 años a intereses inferiores al 2% y algunas naciones de la zona euro deban pagarlos al 7%! La respuesta es sencilla: porque no se actúa como una verdadera Unión. El solo anuncio creíble de una garantía absoluta de las deudas de los Estados pararía la especulación en los mercados. Los instrumentos de esa garantía son la emisión de eurobonos y la conversión del BCE en garante de último recurso.

La estabilidad de las finanzas públicas también preocupa, y mucho, al sindicalismo europeo. Pero los objetivos de reducción de los déficits y las deudas no se pueden alcanzar hundiendo las economías. El reto, posible, es alcanzarlos en plazos realistas al tiempo que se toman medidas, europeas y nacionales, para promover el crecimiento económico y la creación de empleo. Resulta asombroso que ante el alto riesgo de recaer en la recesión, los responsables políticos europeos sigan sin decir nada sobre crecimiento y empleo y los obvien en sus propuestas sobre reforzamiento de la gobernanza económica. La recuperación no va a venir de unas reformas estructurales cuyo núcleo duro son los recortes sociales, una concepción de la competitividad basada en la deflación de los costes laborales y el debilitamiento de la capacidad de negociación colectiva y la fuerza contractual de los sindicatos.

Basándonos en lo aprobado en el último Congreso de la Confederación Europea de Sindicatos (Atenas, mayo de 2011) pensamos que hoy, más que nunca, es necesaria una nueva política monetaria, económica y social, aplicada por un gobierno económico en el marco de una gobernanza económica fuerte de la zona euro, coordinada con la que se aplique junto con el reforzamiento de la gobernanza económica en la UE 27, pero con contenidos muy diferentes de los que nos proponen los Gobiernos. La política fiscal, empezando por los impuestos de sociedades y sobre las rentas del capital, debe ser común, en muchos aspectos, en la zona euro y estar armonizada en el conjunto de la UE. Necesitamos un tratamiento coherente de las dimensiones económicas, medioambientales y sociales del crecimiento. Junto con la industria, la energía y el medio ambiente, el gobierno de la economía europea debe dar prioridad a las políticas que promueven más empleo y de mejor calidad. Esto no es posible con un exiguo presupuesto inferior al que apenas representa el 1% del PIB. Es necesaria una institución financiera europea emisora de deuda, y no solo un Banco Central con la única función de controlar la inflación.

El Consejo Europeo del 9 de diciembre debería resolver lo inaplazable sobre deuda y crecimiento y establecer orientaciones claras en la perspectiva que proponemos. El movimiento sindical europeo no está defendiendo una posición de parte: creemos que al hablar así estamos defendiendo los intereses generales y contribuyendo a buscar soluciones a la gravísima crisis política de la UE. Los políticos europeos deberían ser conscientes de que no pueden marginar por más tiempo las opiniones y propuestas constructivas de quienes representamos el principal factor para la creación de la riqueza: el trabajo.

Es necesario establecer un nuevo contrato social y económico con la activa participación de los interlocutores sociales. Un nuevo contrato social europeo que sustituya al histórico, cuyos grandes capítulos deberían ser, entre otros: el empleo, los salarios —respetando la autonomía de los interlocutores sociales en la negociación colectiva—, las pensiones, la protección por desempleo, la educación y la salud.

El pacto fiscal, las políticas redistributivas de la riqueza y el derecho laboral y la negociación colectiva han sido los cimientos del más prolongado periodo de prosperidad y democracia en Europa. Fueron como el cemento que fraguó unas relaciones de trabajo modernas con una gran implicación de los trabajadores a través de sus organizaciones, en la vida de las empresas. Solo apoyándonos en estos valores y principios democráticos, que han definido el modelo social europeo, podremos salir antes y de manera más justa de la crisis, y garantizar la supervivencia, hoy gravemente amenazada, de la propia Unión Europea.

Exigimos que una futura revisión de los tratados se haga integrando una dimensión social de igual valor, y que se establezca una convención que prepare dicha modificación. Necesitamos una cláusula general de progreso social que promueva un “paquete plan de rescate social”, y vuelva a colocar a Europa en la vía del progreso social. Los derechos sociales fundamentales, en particular el que concierne a la negociación colectiva, deben ser respetados y fomentados en todas las medidas anticrisis. Frente a quienes quieren reformar los tratados solo para reforzar el Pacto de Estabilidad, pensamos que la modificación de los tratados, incluso limitada, no puede tener como únicos objetivos ejercer una presión constante sobre los presupuestos nacionales y reforzar la austeridad.

El progreso de la Unión Europea tiene que basarse en la cohesión social y la solidaridad en el interior de sus Estados y en la solidaridad y la cohesión política entre ellos. Para lograrlo, en estos momentos tan difíciles, hay que actuar en el ámbito común europeo y, también, reforzar el diálogo social, Por eso, realizamos estas propuestas, exigiendo que no se margine a los trabajadores en las soluciones y manifestando la voluntad de movilizarnos en el ámbito europeo para conseguirlo.

Firman este artículo: Ignacio Fernández Toxo, secretario general de CC OO; Cándido Méndez, secretario general de la UGT; Michael Sommer, presidente de la DGB (Alemania); Susanna Camusso, secretaria general de la CGIL (Italia); Bernard Thibault, secretario general de la CGT (Francia); François Cherèque, secretario general de la CFDT (Francia); Anne Demelenne, secretaria general de la FGTB (Bélgica), y Claude Rolin, secretario general de la CSC (Bélgica).

 

Le social doit être le ciment de l'UE

L’Union européenne traverse la crise la plus profonde de son histoire. Une crise financière et économique, qui a des conséquences sociales lourdes, mais qui est aussi devenue une crise politique de l’UE elle-même. La situation est alarmante car les graves problèmes de financement qui ont fait surface dans plusieurs Etats pourraient provoquer une réaction en chaîne et déclencher une nouvelle récession généralisée. Qui aurait pensé, il y a deux ans à peine, que tant de voix, parfois qualifiées, pourraient envisager une rupture de l’euro ? Un tel scénario, nous le savons, lui ferait perdre tout son sens, voire détruirait le projet européen lui-même qui constitue sans doute une des constructions politiques les plus importantes du XXe siècle.
Comment a-t-on pu en arriver là ?

La responsabilité des dirigeants politiques des institutions européennes et des principales nations est très importante. Après deux ans de tergiversations, de contradictions constantes et de politiques erronées, le problème initial – la crise financière en Grèce, dont le PIB ne représente que 2% du PIB de l’UE – n’est toujours pas résolu. La crise de la dette a gagné de nombreux pays : l’Irlande et le Portugal sont sous perfusion, et les spéculateurs s’attaquent à l’Italie et l’Espagne, pour lesquels une intervention serait bien plus difficile vu la taille de leur économie, et la crise commence à attaquer, entre autres, la Belgique et la France.

Le virage politique radical du Conseil de l’Europe, le 9 mai 2010, avait été qualifié de nécessaire pour récupérer la confiance des marchés financiers et permettre à leurs agents de financer les Etats européens à des taux d’intérêt raisonnables. Depuis cette date, le Conseil, la Commission et la BCE ont promu, ou imposé, des politiques d’austérité axées sur la réduction des dépenses publiques ainsi que les fameuses « réformes structurelles » consacrées dans le Plan de gouvernance économique et le Pacte pour l’euro plus. Le prochain sommet du Conseil européen, le 9 décembre, lancera le débat de la réforme du traité de Lisbonne pour situer ces politiques au cœur d’une gouvernance économique renforcée de la zone euro.

Le fait est que ces politiques ont échoué. Sur le plan économique, la crise des dettes souveraines s’est propagée et aggravée, la croissance a chuté dans presque tous les Etats et le chômage a augmenté dans les pays où les restrictions budgétaires ont été les plus sévères. Les conséquences sociales de la baisse des salaires et des retraites et des compressions des dépenses de protection sociale, d’éducation et de santé sont évidentes : une pauvreté accrue, de nouvelles inégalités, une hausse de la précarité et une forte érosion de la cohésion sociale. Parallèlement, la solidarité entre les nations s’effrite alors qu’elle est le ciment de tout projet européen. Des pans de plus en plus importants de la population lui tournent le dos ou s’en méfient. Les idées reçues et les vieux clichés négatifs qui opposent les nations et leurs habitants entre eux refont surface.

Fait inédit, les institutions européennes encouragent une érosion du modèle social, dont les valeurs et les principes sont le signe d’identité et la colonne vertébrale de l’UE, ce modèle dont les valeurs et les principes sont inscrits dans le traité de Lisbonne.
Les dirigeants politiques de l’Europe ne sont peut-être pas conscients d’un fait très grave : les institutions européennes et de nombreuses nations sont en train de briser le pacte social qui avait permis, après la Seconde Guerre mondiale, de construire les Etats-providence européens et le projet commun qui a abouti à l’Union européenne.

Le syndicalisme européen, regroupé au sein de la Confédération européenne des syndicats (CES), a fermement rejeté ces politiques et s’est mobilisé à leur encontre, en Europe et dans de nombreux Etats. Il n’a pas été entendu jusqu’à présent, alors que les faits cautionnent ses analyses et ses propositions. Malgré le désenchantement profond ressenti par de nombreux travailleurs, nous continuons de soutenir qu’il n’y a pas d’autre solution que l’approfondissement du projet européen, mais avec des formules bien différentes des politiques erronées et injustes que les actuels responsables européens nous imposent. L’heure n’est pas venue de s’en remettre à des gouvernements de technocrates, il faut que la démocratie sociale et politique, ainsi que la participation des citoyens prennent toute leur place.

Que proposons-nous pour sortir de cette crise économique et politique de l’UE ? D’abord, en finir avec les mécanismes de spéculation et garantir la capacité financière de tous les Etats membres en apportant un remède définitif à la crise du financement des Etats. Comment peut-on expliquer que les Etats-Unis, dont les principaux indicateurs se portent plus mal que ceux de l’ensemble de l’UE, et le Japon, dont la dette publique a atteint 225% du PIB, puissent émettre des obligations à dix ans à des taux d’intérêt inférieurs à 2% alors que certaines nations de la zone euro sont contraintes d’emprunter à des taux de 7% ? La réponse est simple : nous n’agissons pas comme une véritable Union. La seule annonce, crédible, d’une garantie absolue des dettes des Etats mettrait un frein à la spéculation des marchés. Cette garantie pourrait se matérialiser par l’émission d’euro-obligations et la transformation de la BCE en prêteur en dernier ressort.

Le syndicalisme européen, lui aussi, est vivement préoccupé par la stabilité des finances publiques. Mais on ne peut atteindre les objectifs de réduction des déficits et des dettes en anéantissant les économies. Le défi, relevable, est d’y parvenir dans des délais réalistes tout en prenant des mesures, européennes et nationales, pour promouvoir la croissance économique et la création d’emploi. Il est inquiétant que les responsables politiques européens, confrontés au risque élevé d’une nouvelle récession, continuent de se taire sur la croissance et l’emploi et les ignorent dans leurs propositions de renforcement de la gouvernance économique. La reprise ne peut être impulsée par des réformes structurelles fondées sur la compression des dépenses sociales, une notion de la compétitivité orientée vers la déflation des coûts du travail, l’affaiblissement des capacités de négociation collective et l’amoindrissement de la force contractuelle des syndicats.

En s’appuyant sur les décisions du dernier congrès de la CES (Athènes, mai 2011), nous pensons qu’aujourd’hui, plus que jamais, nous avons besoin d’une nouvelle politique monétaire, économique et sociale, dans le cadre d’une gouvernance économique forte de la zone euro, coordonnée avec celle de l’UE à 27, mais avec des contenus très différents de ceux que nous proposent les gouvernements. La politique fiscale, à commencer par les impôts sur les sociétés et sur les revenus du capital, doit être commune à maints égards au sein de la zone euro, et harmonisée dans l’ensemble de l’UE. Nous devons aborder d’une manière cohérente les dimensions économiques, environnementales et sociales de la croissance. Au-delà des politiques industrielles, énergétiques et environnementales, le gouvernement de l’économie européenne doit donner la priorité aux politiques en faveur de la création d’emplois de qualité. Faire face à l’ensemble des défis européens est impossible avec un budget exsangue qui représente à peine 1% du PIB. Nous avons besoin d’une institution européenne émettrice de dette et pas seulement d’une Banque centrale dont la seule mission consiste à contrôler l’inflation.

Le Conseil européen, le 9 décembre, devrait résoudre des problèmes immédiats de la dette et de la croissance et donner des orientations claires s’inscrivant dans la perspective que nous proposons. Le mouvement syndical européen ne défend pas une position partisane : nous cherchons à défendre l’intérêt général et à contribuer à la recherche de solutions à la très grave crise politique de l’UE. Les élus européens doivent être conscients qu’ils ne peuvent pas continuer à ignorer les opinions et les propositions de ceux qui représentent le principal facteur de création de richesses : le travail.

Il faut établir un nouveau contrat social et économique avec la participation active des partenaires sociaux. Un contrat social européen novateur ayant comme grands chapitres, entre autres, l’emploi, les salaires (que les partenaires sociaux doivent négocier de façon autonome), les retraites, les allocations de chômage, l’éducation et la santé.

Le pacte fiscal, les politiques de redistribution des richesses, le droit du travail et la négociation collective ont été le ciment de la plus longue période de prospérité économique et de démocratie en Europe. Ce ciment a soudé des relations du travail moderne permettant une forte implication des travailleurs, par le biais de leurs organisations, dans la vie des entreprises. Ce n’est qu’en nous appuyant sur ces valeurs et ces principes démocratiques qui ont défini le modèle social européen que nous pourrons sortir au plus tôt de la crise avec plus de justice, et ainsi garantir la survie, gravement menacée, de l’UE elle-même.

Nous exigeons qu’une future révision des traités se fasse en intégrant la dimension sociale. Nous avons besoin d’une clause générale de progrès social qui mette en place un « plan de sauvetage social » qui place l’Europe sur la voie du progrès social. Les droits sociaux fondamentaux, notamment en ce qui concerne la négociation collective, doivent être respectés et inclus dans toutes les mesures anticrise. Face à ceux qui ne veulent changer les traités que pour renforcer le Pacte de stabilité, nous disons que leur modification, même limitée, ne peut avoir pour seuls objectifs d’exercer une pression constante sur les budgets nationaux et le renforcement de l’austérité.

Le progrès de l’Union européenne doit se fonder sur la cohésion sociale et la solidarité en interne dans les Etats membres, et dans la solidarité et la cohésion politique entre eux. Pour y arriver, en ces moments difficiles, il faut agir dans un cadre commun européen et ainsi renforcer le dialogue social. C’est pour cela que nous faisons ces propositions, en exigeant que l’on ne marginalise pas les travailleurs dans la recherche de solutions, et en manifestant la volonté de nous mobiliser dans un cadre européen pour l’obtenir.

Par les dirigeants syndicaux Ignacio Fernández Toxo Secrétaire général de CCOO (Espagne), Cándido Mendez Secrétaire général de l’UGT (Espagne), Michael Sommer Président du DGB (Allemagne), Susanna Camusso Secrétaire général de la CGIL(Italie) , Bernard Thibault Secrétaire général de la CGT (France), François Chérèque Secrétaire général de la CFDT (France), Anne Demelenne Secrétaire général de la FGTB(Belgique), et Claude Rolin Secrétaire général de la CSC (Belgique)

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