Su contratti e rappresentanza nei settori privati della sanità e del SSAEP.

19 Febbraio 2014

Su contratti e rappresentanza nei settori privati della sanità e del SSAEP. Nota di Cecilia Taranto, Segretaria Nazionale Fp Cgil

 
Il Testo unico su rappresentanza e democrazia del 10 gennaio, come ogni atto regolamentare di “rottura”, offre al dibattito interno e al confronto della Cgil con i settori del mondo del lavoro ai quali fa riferimento, molteplici ed articolate riflessioni, in parte legate al merito delle nuove regole introdotte, nella stragrande maggioranza dei casi legate proprio a quei temi che il testo unico evoca e realizza: democrazia, partecipazione, misurazione della rappresentatività, validazione degli accordi.

Il ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori, generalmente inteso, è argomento sul quali la nostra organizzazione si è sperimentata a lungo (al suo interno e nel rapporto con le iscritte e gli iscritti) e, a mio giudizio, prima degli accordi del giugno 2011, del maggio 2013 e del testo unico di gennaio, anche con un qualche limite di concretezza, con qualche difficoltà di troppo ad attagliare “l’alto valore” dei temi alla quotidiana realtà dei fatti, ai bisogni concreti delle persone che rappresentiamo.

Uno dei modi più pratici in queste occasioni è quello di provare mettere a confronto la situazione di partenza (ovvero quella prima degli accordi e del testo unico) con il nuovo scenario offerto dal regolamento attuativo.

E allora, pur non potendo in nessun modo pensare di esaurire approfondimenti e giudizi su accordi così rilevanti e di evidente “rottura”, credo si possa almeno provare a riportare l’alveo del confronto a interpretazioni un po’ più “materiali”, diciamo un po’ più vicine agli interessi concreti delle lavoratrici e dei lavoratori che rappresentiamo (in questo caso stiamo parlando, ad esempio, di coloro che operano nei settori privati della sanità e del terzo settore).

Prima dell’accordo (e parliamo di quello datato 31 maggio, sul quale il giudizio fu, nella quasi totalità dei casi, totalmente positivo) e ancora in questi mesi fino al 10 gennaio, la possibilità per lavoratrici e lavoratori di eleggere la propria rappresentanza unitaria era determinata e quindi possibile solo a fronte di precise scelte contrattuali; la loro concreta realizzazione era subordinata alla disponibilità delle organizzazioni presenti nel luogo di lavoro.

Ciò ha prodotto, negli anni, un unico risultato: in tutti i settori privati il modello prevalente, nonostante l’accordo del 93, è risultato essere la rappresentanza di organizzazione (sindacale, ovviamente), a totale scapito della rappresentanza diretta delle lavoratrici e dei lavoratori (RSU).

Prima dell’accordo , che è possibile pensare abbia facilitato lo stesso pronunciamento della Corte Costituzionale, il riconoscimento delle organizzazioni che avevano espresso dissenso su un rinnovo contrattuale, non era affatto previsto, gli effetti di quel dissenso assolutamente nulli (troppo facile ricordare quante volte, a fronte di pronunciamenti chiari da parte delle lavoratrici e dei lavoratori su CCNL nazionali, i referendum e le consultazioni non hanno affatto condizionato l’applicazione di accordi non voluti dalla maggioranza).

In questi anni è accaduto che, con l’assenso o la distrazione del Ministero del Lavoro, si producessero una moltitudine di contratti firmati separatamente da sigle diverse dalla nostra, comprese quelle di sindacati autonomi “fantasma”, che hanno peggiorato le condizioni, anche economiche, dei lavoratori.

La volontà delle lavoratrici e dei lavoratori è stata sempre superata, annichilita da un sistema di regole fondato sulla totale assenza di regole: la loro opinione sui loro contratti è stata censurata, finanche nella semplice speranza di poter produrre un cambiamento.

E questo, forse è utile ricordarlo, è accaduto nel settore della sanità privata anche in una associazione aderente a Confindustria, non solo altrove.

Si potrebbe aggiungere che i settori ai quali facciamo riferimento, in special modo quelli che operano nella sanità convenzionata o nel sociale, hanno tutti legami stringenti, vitali con le Istituzioni locali: talvolta, anzi fin troppo spesso, il peggioramento delle condizioni lavorative degli operatori di questi settori è stato tollerato da Istituzioni territoriali della Repubblica le quali, nonostante pienamente consapevoli dei disastri sociali che si venivano a compiere, hanno agito la loro miopia forti del fatto che nessuna regola impedisse questo “mercimonio” contrattuale, questa giungla fatta di appalti al massimo ribasso, dumping, violazione dei diritti soggettivi e del lavoro.

Con il regolamento attuativo questo non potrà più accadere; i lavoratori e le lavoratrici si pronunceranno. Lo faranno attraverso le RSU, elette e determinanti il grado di rappresentanza delle diverse organizzazioni, ma lo faranno anche personalmente sugli accordi e sui contratti che verranno sottoscritti per loro.

Regole ulteriori, specificità e casistiche particolari verranno normate nei contratti collettivi nazionali di lavoro a venire; quel testo, infatti, proprio nel solco dei suoi principi fondamentali, affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro, la realizzazione di tutto ciò. E’ per questo che grande attenzione dovrà essere posta affinché siano respinte tutte quelle prevedibili pulsioni a “svuotare” di valore accordi e testo unico che alcuni datori di lavoro dei nostri settori (distintisi in questi anni proprio per spirito reazionario e padronale) proveranno a mettere in campo.

Ma prima dell’accordo e del regolamento tutto ciò non c’era, nemmeno come eventualità, come semplice speranza.

Si misureranno finalmente le rappresentanze. Ogni organizzazione potrà parlare a nome e per conto di chi è iscritto e di chi nelle elezioni per le rappresentanze ha deciso di darle credito: è l’affermazione di un principio fondamentale, basilare per ogni sistema che intende definirsi rispettoso della nostra Costituzione Repubblicana.

Non disciplinarlo in passato ha danneggiato solo la nostra organizzazione: è evidente che ciò contiene il rischio innato che lavoratrici e lavoratori possono decidere cose diverse da quelle che impegnano tutti i giorni il sindacato (generalmente inteso). La nostra idea di democrazia, però, è proprio questa: avere la possibilità di rappresentare le proprie buone ragioni e battersi per affermarle, così come prendere atto di un dissenso, agendo in coerenza al mandato che chi si rappresenta ti da in queste occasioni.

La novità, in sintesi, è semplicemente quella che il pronunciamento dei lavoratori e delle lavoratrici sui contratti è ciò che determina la validità di un accordo; dopo quel pronunciamento e fino alla prossima volta, fino al prossimo contratto, non sarà possibile più e per nessuno giocare partite oscure che passano sulla loro testa.

Crediamo che il punto sia proprio questo. Quel testo unico e gli accordi non fanno accademia. Sanciscono finalmente, dopo decenni di battaglie e richieste, la possibilità di misurare la bontà, la forza, le prospettive di una azione sindacale che, senza quell’atto di “rottura”, così come definiamo quel testo, avrebbe continuato ad essere più o meno vicina alla volontà delle lavoratrici e dei lavoratori solo a seconda della sensibilità delle singole organizzazioni. Il voto farà coincidere l’azione sindacale delle organizzazioni sindacali con il giudizio e le volontà delle lavoratrici e dei lavoratori: un principio di responsabilità e democrazia che solo il suffragio riesce a concretizzare.

Roma 31 gennaio 2014

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