#RiformaPa – Macché rivoluzione – Macché coraggio

16 Luglio 2014

Blog di Rossana Dettori – nuovo articolo su "Senza pubblico sei solo"

#RiformaPa – Macché rivoluzione – Macché coraggio

18 giugno 2014 – La rivoluzione, come categoria politica che qualifica un cambiamento radicale negli assetti istituzionali e/o amministrativi, non può essere usata per la riforma della P.A. che il Governo si appresta a varare.
I motivi sui quali fondo questo mio giudizio sono molteplici. Eccone alcuni.
– E’ un progetto che non intercetta minimamente quel bisogno di “cambiamento radicale” delle pubbliche amministrazioni  che i cittadini e gli stessi lavoratori pubblici invocano da anni. Non si accenna minimamente a funzioni, diritti di cittadinanza, prestazioni, livelli di assistenza, tempi di attesa, sovrapposizioni di competenze, individuazione dei centri di responsabilità, partecipazione dei cittadini, coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori. Una riforma che ambisca ad essere una vera rivoluzione non può risolversi in una ossessiva ricerca di una serie di misure ad effetto.
“L’idea di uno Stato amico”, così come definisce la sua riforma la stessa Ministra Madia, si può realizzare solo se ai cittadini si propone un progetto complessivo di cambiamento che li renda partecipi di un percorso di reale avvicinamento ai loro bisogni. Con questa riforma (quando il Paese e le parti sociali avranno finalmente il piacere di leggerne il testo ufficiale, non le tante anticipazioni informali) non cambia nulla: nulla  per chi ancora oggi si sente rispondere da un CUP  che le prenotazioni per una tal prestazione sanitaria sono sospese (e per questo è costretto a rivolgersi al privato); nulla per chi lo scorso anno non ha trovato (e continuerà a non trovare) posto negli asili e nelle scuole dell’infanzia pubbliche; nulla per chi, di fronte ad uno sportello di un ufficio, è costretto a regole burocratiche che gli impongono, ad esempio, la riproduzione cartacea di atti e certificati redatti da un’altra pubblica amministrazione.
– Questa idea di riforma è il frutto di una ormai abusata visione della pubblica amministrazione quale punto esclusivo delle sue stesse disfunzioni.
Un grande, e in verità nemmeno così originale, atto di deresponsabilizzazione della politica rispetto alle sue scelte. Un anno zero che, dimentico dei processi involutivi messi in atto dagli ultimi tre governi, prova a lanciare al Paese un messaggio chiaro: se la P.A. va male è solo colpa della P.A. e delle lavoratrici e dei lavoratori che la “popolano”.
Nessun accenno al ruolo distruttivo che la politica ha avuto in termini di invasione e di appropriazione stessa della “cosa pubblica”. Anzi, questa proposta di riforma, ricomincia il giro da dove tutto ebbe inizio vent’anni fa.
“Trovare il giusto equilibrio fra le esigenze di autonomia della P.A. e il bisogno di esercitare la responsabilità politica”, così come lo stesso sottosegretario Rughetti definisce l’intervento sulla dirigenza, era la motivazione attorno alla quale si costruì il più becero e dannoso degli interventi: quello spoil system che è costato allo Stato miliardi di euro in quelle nomine e corruttele che hanno contribuito in maniera determinante al riaffacciarsi di una nuova “mani pulite”.
Un progetto “rivoluzionario” avrebbe dovuto sperimentarsi in direzione contraria (e ostinata): definire una nuova cesura, un nuovo confine fra politica e amministrazione; alla prima la responsabilità di scelta, alla seconda il dovere di realizzare quelle scelte.
Così non è e non sarà: l’aumento del livello di  discrezionalità della politica nella scelta dei dirigenti pubblici accorcia quella distanza di garanzia, la sovrappone, la rende parte di un’unica pericolosa filiera nella quale viene ulteriormente indebolito il processo di separazione delle singole responsabilità.
– L’ipotesi di riforma della quale si parla è l’ennesima riproposizione di una idea punitiva (si, punitiva) nei confronti del lavoro pubblico.
La Ministra Madia può raccontarla come meglio crede, ma stando alle anticipazioni, continuano ad essere presenti linee di intervento che si risolvono tutte o quasi tutte in scelte “contro” e non “per”.
Demansionamenti, mobilità a prescindere, taglio del salario, risoluzioni unilaterali del rapporto di lavoro e molto altro sono semplicemente scelte “contro”.
Con alcune aggravanti che nemmeno nei tempi bui del “fannullonismo” erano stati immaginati: il ricatto concreto, (o ti demansioni, guadagnando meno, o ti sposto da….Firenze a Pistoia, da Milano a Bergamo o da Napoli ad Avellino, a fare cosa non è dato  sapersi); il ricatto morale (non vorrai mica avere lo stesso stipendio se il PIL va male?); il ricatto politico (tu dirigente non ti “adegui” alle richieste  di quel sindaco o amministratore? quella è la porta).
– E infine questa riforma, essendo frutto di un processo poco ortodosso sotto il profilo della democrazia ( 39.000 mail su 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici – l’1% dell’intera forza lavoro, con un terzo che chiede solo il rinnovo del contratto – non dovrebbero essere nemmeno accostate alla parola “consultazione”), realizza una compressione dei diritti e delle libertà civili senza precedenti.
Il taglio del 50% dei permessi per le attività sindacali aziendali è pericolosissimo e profondamente sbagliato: il permesso sindacale è quello strumento che permette di far vivere la democrazia in un luogo di lavoro, che realizza la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici all’organizzazione di un servizio ed al suo miglioramento in termini di erogazione di prestazione e che fa interpretare un luogo della pubblica amministrazione come una porzione del territorio cittadino che lo circonda, non come un luogo di sospensione dei diritti.
Il Governo Renzi, sempre alle prese con il bisogno di un consenso immediato, spendibile in ogni edizione di un Tg, con questo intervento riporta il mondo del lavoro pubblico ad un livello ancor più basso di quanto fosse negli anni che precedettero lo Statuto dei Lavoratori. A che serve tutto ciò? A risparmiare qualche centinaia di migliaia di euro, scaricando il costo della partecipazione sulle lavoratrici e sui lavoratori? E, per una forza che ama definirsi progressista, può esistere un prezzario della democrazia?
Leggeremo attentamente i testi quando il Governo (…della velocità nel fare) li renderà noti.
Ma se le anticipazioni di questa perenne vigilia fossero confermate diciamo che siamo di fronte all’ennesima riforma “pavida”, “punitiva” e niente affatto “rivoluzionaria”: tutto il contrario, insomma, di ciò che servirebbe e di ciò che il nostro progetto di riforma intende realizzare.

Rossana Dettori Segretaria Generale FpCgil
 

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