DAP/MINISTERI E DGM: Nota della FPCGIL al Tavolo 15 degli Stati generali dell’esecuzione Penale

16 Ottobre 2015

 

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Nota della FPCGIL al Tavolo 15 degli Stati generali dell'esecuzione Penale
 

 Roma, 16 ottobre 2015

Al Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia
 Presidente Melillo 

 Al coordinatore del tavolo 15 degli Stati generali 
dell’esecuzione penale 
Sebastiano Ardita

 a tutti i componenti del Tavolo 15 

 Abbiamo letto
con attenzione il rapporto di medio termine elaborato dal tavolo 15 degli Stati
Generali dell’esecuzione Penale che si occupa delle professionalità
penitenziarie e della formazione e, non possiamo esimerci dal rappresentare
alcune osservazioni che, in considerazione delle riflessioni prospettate,
riteniamo necessariamente opportune.

Prima di tutto ci sembra di potere rilevare che tra i
componenti del tavolo non figura nessuna delle professionalità penitenziarie
istituite dalla legge di riforma n.354/75 che, riferendosi specificamente al
dettato dell’art.27 della carta costituzionale, ne definisce normativamente il
compito istituzionale.
Né un educatore né un assistente sociale ma solo
magistrati, direttori penitenziari, comandanti di polizia penitenziaria etc.

Un tavolo, a nostro parere, incompleto non solo per
l’assenza di alcune professionalità ma, ci permettiamo di osservare, anche
carente di memoria storica; quella storia che investì il sistema penitenziario
negli anni ’70 e ’80 fatta di rimostranze e lotte dei detenuti che
rivendicavano un sistema detentivo rispettoso dei diritti, più umano, e
soprattutto in linea con i principi costituzionali; quella storia fatta di
interventi normativi rivoluzionari.

Ravvisiamo infatti nel pensiero – proposta,
oggetto dell’elaborato, una sorta di revisionismo della storia penitenziaria,
degli operatori allo stesso afferente e del loro mandato quasi a volerne
giustificare il contenuto.

Ci sconcerta,
infatti, constatare che il pensiero ispiratore della proposta elaborata e
condivisa dai componenti il tavolo è quello secondo cui una maggiore
credibilità ed affidabilità del sistema dell’esecuzione penale e delle sanzioni
di comunità passi necessariamente attraverso la conversione del sistema stesso
in un sistema di polizia, in cui tutti i ruoli professionali siano accomunati
dall’appartenenza al Corpo.

Eloquente a
tal proposito è quanto esposto al punto 2, in cui il tavolo disquisisce della
possibilità di far rifluire educatori e assistenti sociali in un ruolo tecnico
di una polizia ad “elevata professionalità”.
 L’ipotesi che
tutto il personale, o meglio tutte le professionalità penitenziarie afferenti
al comparto ministeri debbano transitare nei ruoli della polizia penitenziaria,
seppure nei ruoli cosiddetti “tecnici”, non ci convince affatto e comporta
necessariamente una profonda riflessione politica sulla consapevolezza che la
sicurezza possa prevalere sul trattamento e sull’aspetto rieducativo della
pena. In tal senso, a differenza di quanto affermato al punto 2 dal tavolo 15,
verrebbe meno il mandato istituzionale affidato al sistema penitenziario.

Infatti la
funzione trattamentale e rieducativa della pena che caratterizza il compito
istituzionale del sistema detentivo, affidata dalla normativa di riferimento a
professionalità peculiari e “specialistiche” (educatore, ass. sociali, esperti
ex art.80), nel disegno di creazione di una “polizia ad alta
specializzazione”, risulterebbe marginale alla funzione securitaria e,
gioco forza, l’intero sistema perderebbe quel valore di esclusività e di
peculiarità che lo caratterizza.

La funzione
esclusiva del mandato istituzionale cui oggi tende il sistema penitenziario
diventerebbe, infatti, una parte peculiare dell’attività di polizia rischiando
di fondere, in maniera scorretta, di fatto la parte ‘contenitiva’ e di
‘controllo’, della quale sono titolari ad oggi le forze dell’ordine della
polizia penitenziaria, e quella rieducativa -trattamentale delle altre
professionalità e più specificatamente dell’educatore e dell’assistente
sociale. In pratica la funzione rieducativa della pena, di cui all’art.27 della
Costituzione, diverrebbe una funzione specialistica di polizia.
Una profonda e
mortificante contraddizione dei termini che snatura, quindi, i principi
costituzionali.

L’educatore in
particolare, del quale rifiutiamo la genesi come rappresentata al punto 2, e
con esso tutte le professionalità penitenziarie si troverebbero inseriti in una
gerarchia militarizzata risultando l’anello debole della categoria (come tutti
gli altri), in quanto poliziotti di sere B), e perderebbero quell’autonomia
operativa e soprattutto professionale che caratterizza il loro ruolo e
soprattutto la loro funzione istituzionale.

D’altra parte
crediamo invece necessario potenziare gli organici ed accrescere la
professionalità degli operatori penitenziari garantendo e riconoscendo loro
l’autonomia professionale e l’ambito di competenza pur concorrendo in sinergia
al medesimo mandato istituzionale.

Inoltre la
previsione che tali professionalità rifluiscano nel comparto della sicurezza,
determinerebbe la perdita di diritti fondamentali come quello di sciopero, che
infatti è negato alla polizia penitenziaria.
 Pertanto
ribadiamo la nostra assoluta contrarietà a tale progetto e con l’occasione chiediamo
un maggior coinvolgimento degli operatori penitenziari e delle rappresentanze
dei lavoratori ai tavoli degli Stati Generali, i cui interessi evidentemente,
visti i risultati, non sono ben rappresentati.

Restiamo in
attesa di un sollecito riscontro e chiediamo che questa nota venga assunta agli
atti dei lavori del tavolo 15.
 Distinti
saluti,

 
 
 
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