UE: la verità sulla flessibilità per gli investimenti pubblici

10 Luglio 2013

UE: la verità sulla flessibilità per gli investimenti pubblici

La lettera del commissario agli affari economici Rehn (3 luglio 2013)

La Commissione europea ha annunciato mercoledì 3 luglio 2013, attraverso una dichiarazione del presidente Barroso al Parlamento europeo, che ”consentirà deviazioni temporanee dal raggiungimento dell’obiettivo di medio termine” che consentiranno ”investimenti pubblici produttivi”, cofinanziati dalla Ue.

Appena tornato dal consiglio europeo del 27-28 giugno, il presidente del consiglio Enrico Letta aveva costruito una campagna promozionale della quale, ripresa da quasi tutti i media, secondo cui l’Italia avrebbe ottenuto un poderoso risultato: proprio quella possibilità di “deviazioni temporanee” dagli obiettivi di rientro del deficit senza incorrere nella procedura di infrazione del trattato di Maastricht da cui l’Italia si è appena tirata fuori.

E’ addirittura serpeggiato un certo entusiasmo, sia perché vissuto come rivelatore di un cambiamento di approccio della Commissione che sembra allontanarsi dall’austerità, sia per le prospettive che aprirebbe all’Italia, finalmente con nuove risorse da dedicare alla soluzione della crisi.

Prima di festeggiare sarà meglio cercare di capire, in che cosa consista, l’allentamento annunciato da Barroso. Anche perché, nelle ore successive, il commissario agli Affari Economici Olli Rehn l’ha, se non chiarito, molto circoscritto. Anzi, ha aggiunto paletti,condizioni, vincoli.

La lettera che il commissario europeo ha spedito ai ministri dell’Economia e delle Finanze dei paesi membri ha reso l’ottimismo fuori ruolo, smorzato l’entusiasmo iniziale sui segnali positivi lanciati da Bruxelles. La clausola di flessibilità non sarà un’apertura di credito incondizionata ed avrà un impatto molto marginale.

Queste le regole che emergono dalla lettera di Rehn, che in pratica dice che la Commissione, nel quadro delle procedura di sorveglianza macroeconomica che le compete, non proporrà sanzioni per i paesi che non rispettino il requisito di disavanzo strutturale nullo, ma a precise condizioni

1) la possibilità vale solo per i “paesi virtuosi”, quelli cioè fuori dalla procedura di deficit eccessivo. L’Italia è uscita da pochissimo dalla procedura di infrazione;

2) vale solo per i paesi, inoltre, con crescita negativa (Pil con il segno meno), o comunque molto sotto la crescita potenziale; Rehn ha fissato una serie di requisiti particolarmente stringenti per rientrare sotto l’ombrello della clausola. La crescita economica del paese deve essere negativa o “ben al di sotto del potenziale”. In questo modo non potranno aggirare le regole europee e trarre benefici di bilancio eccessivi gli stati con crescita positiva e deficit già basso, come la Germania. Da questo punto di vista l’Italia dovrebbe beneficiarne di più, visto che a fine 2012 saremo a meno 8 punti di Pil di crescita rispetto al 2008;

3) non si tratterà della famosa”regola aurea”, cioè di un meccanismo che concede automaticamente di non contabilizzare certe categorie di spese per investimenti pubblici dal calcolo deficit/Pil, come da tempo l’Italia chiede (a partire da Tremonti e Monti), insieme ad altri stati membri. Si tratta invece di autorizzazioni caso per caso che la Commissione farà nell’ambito del “braccio preventivo” del Fiscal compact, cioè la verifica dei disegni di legge di bilancio, alla fine di ogni anno per l’anno successivo;
Oltretutto va osservato, con chiarezza, che non si tratta di una novità di queste ore, susseguente al recente Consiglio europeo, ma di una procedura da tempo prevista dalla Commissione, ad esempio nella ComunicazioneUn piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita. Avvio del dibattito europeo del 28 novembre 2012.

4) la deviazione non dovrà portare comunque a sforare il tetto massimo del deficit/Pil del 3% annuo, e dovranno comunque essere rispettati gli obiettivi di riduzione di un ventesimo all’anno del debito, verso l’obiettivo del 60% debito/Pil. In sostanza, la decisione del 3 luglio della Commissione consente a 9 paesi, tra cui l’Italia (ma non a Francia, Spagna, Grecia, Irlanda, Olanda) di sforare rispetto agli obiettivi deficit/Pil di medio termine fissati anno per anno dalla Commissione nel percorso verso il pareggio di bilancio strutturale (al netto cioè del ciclo economico). Questa limitazione è un rischio per l’Italia. Oltre al tetto del deficit, dovrà essere rispettata tassativamente anche la regola del recupero del debito pubblico. Questa, introdotta dal Fiscal compact, prevede che il paese membro tagli il suo debito di un ventesimo all’anno per l’ammontare che eccede il 60%. La valutazione di questo processo sarà fatta su base triennale e il primo monitoraggio per l’Italia scatterà nel 2016. E’ pur vero che Il Fiscal compact obbliga l’Italia a ridurre l’eccedenza del rapporto debito-Pil rispetto al 60% di un ventesimo l’anno nei tre anni che terminano con quello di valutazione (prospettiva backward-looking o retrospettiva). In alternativa, il governo deve garantire la riduzione nel triennio che comprende i due anni successivi all’ultimo anno per cui sono disponibili i dati (prospettiva forward-looking o prospettica). Per l’Italia il primo anno di valutazione dovrebbe essere il 2016 e, secondo le ultime stime nel Def, gli obiettivi di debito soddisfano il Fiscal compact solo nella prospettiva forward-looking. Sempre che venga rispettata la stima di calo del PIL prevista dal governo -1,3 nel 2013 e la previsione di crescita 1,3 nel 2014, 1,5 nel 2015, 1,3 nel 2016. Intanto, il FMI ha corretto in peggio le sue stime con -1,8 nel 2013 e +0,7 nel 2014.
Poi, se a novembre il dato del deficit italiano sarà confermato al 2,9% di maggio “non ci sarà margine” per manovre per la crescita. Lo indicano diverse fonti Ue, che osservano: “se i flussi di cassa indicheranno un deficit al 2,6%, ci sarà uno 0,3% del pil da spendere”. Che equivarrebbe a circa 6 miliardi di euro. Per l’Italia oggi si stimano obiettivi del 2,4% per il 2014, dunque il nostro paese dovrebbe avere un margine di ulteriore spesa in deficit dello 0,5% circa, circa 7 miliardi di euro;

5) quale spesa per investimenti può essere fatta con questo margine di flessibilità? Rehn spiega che si deve trattare di investimenti con diretto e verificabile impatto di lungo termine sui bilanci pubblici, cioè effetti di crescita economica che portino stabilmente ad aumento di entrate fiscali. Più in concreto – scrive la Commissione – si deve trattare di progetti co-finanziati dall’Unione nell’ambito della politica strutturale e di coesione (fondi strutturali europei per coesione e sviluppo) , del programma Ten (reti transeuropee di trasporto) e del Connecting europe facility (“Meccanismo per collegare l’Europa” o CEF, un nuovo programma 2014-2030 con un piano di investimenti pari a 50 miliardi di euro destinato a migliorare le reti europee di trasporto, energia e digitali, ma che deve ancora essere avviato). Solo progetti che godano di un co-finanziamento europeo ne i tre programmi citati, dunque, non tutti gli investimenti produttivi e non tutti gli investimenti nelle reti Ten. Si tratta, quindi, di denaro che dovrà essere destinato a infrastrutture, energia, sviluppo digitale ma anche a progetti per la formazione e il lavoro.  Non a riduzioni delle imposte, perciò.

6) Tempi lunghi Infine, Rehn dà un’indicazione sui tempi, confermando quanto era già emerso nella giornata di mercoledì. La clausola di flessibilità sarà negoziata con la Commissione e implementata per la prima volta nel quadro dei bilanci nazionali del 2014 e sarà rivista ogni anno nell’ambito dei programmi nazionali di stabilità e di convergenza. L’Italia, quindi, potrà conoscere l’entità del beneficio che le spetta solo a partire da novembre 2013.
 
 
 
 
 

 
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