Il lavoro pubblico, tra contratti e diritti. Serena Sorrentino si presenta a ‘L’Unità’

20 Giugno 2016

Il lavoro pubblico, tra contratti e diritti. Serena Sorrentino si presenta a 'L'Unità'

Dal
tema generazionale all’intreccio dei saperi, dal rinnovo dei contratti
all’allargamento dei diritti, dal rapporto con la ministra alla sua storia in
Cgil, la neo eletta segretaria generale si presenta

Prova
vivente del rinnovamento del sindacato, la sua elezione è stata salutata con un
tweet direttamente dal ministro Marianna Madia: “Congratulazioni a @sorrentinoser
nuova segretaria generale @FpCgllNazionale sarà un confronto aperto e
stimolante”. Mercoledì Serena Sorrentino, 37enne napoletana, è stata
eletta segretario generale della Funzione pubblica (Fp) della Cgil. Si tratta
della più giovane sindacalista a guidare una federazione delicata e importante
come quella del pubblici, incarico arrivato dopo quello di segretario
confederale ricoperto dal giugno 2010.

Sorrentino,
col Ministro Marianna Madia – 36 anni a settembre – siete praticamente
coetanee. E, se non sbaglio, vi conoscete già.
«Sì,
ci siamo incontrate molte volte. Sia nel suo ruolo precedente di parlamentare
del Pd (nel 2011 il ministro Madia scrisse un libro dal titolo “Precari.
Storie di un’Italia che lavora” con prefazione di Susanna Camusso, ndr)
che come ministro in quanto io avevo la delega confederale alla contrattazione
pubblica. La nostra è una conoscenza istituzionale, non a livello personale.
Detto questo il suo tweet di benvenuto mi ha fatto molto piacere e le ho
risposto subito che aspetto che apra il confronto».

Vi
troverete una di fronte all’altra a trattare il rinnovo del contratti pubblici.
Pensa che l’affinità generazionale potrà aiutare a trovare un accordo? Si può
dire che in qualche modo parliate un linguaggio nuovo entrambe.
«Non
lo so. Anche Il nostro linguaggio dipende dal percorso di formazione: lei
politica, io sindacale. In questo momento ciò che accadrà è nelle mani del
ministro: è lei che ha aperto alla ricontrattualizzazione dei contratti
pubblici. Noi abbiamo apprezzato le aperture, alcune dichiarazioni
condivisibili altre ci vedono in netto disaccordo ma verificheremo i fatti».

Iniziamo
quindi dall’ultima dichiarazione del ministro Madia: “Gli aumenti
contrattuali dei dipendenti pubblici andranno ai redditi più bassi”.
Concorda?
«Se
significa tenere fuori dagli aumenti salariali i dirigenti e capi dipartimento
siamo anche d’accordo. Si tratta di stipendi molto alti che di certo non hanno
risentito – se non marginalmente – del blocco contrattuale di 7 anni. Dopo di
che il problema vero è come – e se – verranno contrattati gli aumenti salariali
sulla stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici. Visto che c’è ancora il
rischio che il governo decida I criteri con un decreto senza nemmeno
confrontarsi con i sindacati».

L’altro grande problema è quello delle risorse: la legge di stabilità ha
stanziato solo 300 milioni. Una vostra stima sostiene che si tramuterebbero in
soli 5 euro al mese per ogni dipendente.
«Sì,
è cosi. Questo è il problema più grande. Trecento milioni sono pochissimi.
Soprattutto se rapportati al 16 miliardi spesi in decontribuzione regalati alle
imprese col Jobs act con effetti limitati sul posti di lavoro che sono sotto
gli occhi di tutti- Si tratta di una cifra simbolica appostata per evitare di
incorrere in un nuovo giudizio dopo la sentenza delta Corte Costituzionale che
ha obbligato il governo a rinnovare i contratti pubblici dopo 7 anni. In più
dobbiamo ricordare che le risorse che noi chiediamo per i contratti servono
certamente per aumentare i salari, ma servono anche alla formazione, alla
contrattazione decentrata che aiuta a migliorare i servizi ai cittadini che la
Pa deve erogare. Stanziare così poche risorse significa non voler migliorare i
servizi al cittadini».

Il
blocco contrattuale si spiegava informalmente così: nella crisi i lavoratori
privati rischiano il posto, i pubblici no. Quindi per loro è giusto non avere
aumenti…
«Ma
non è così. E’ falso sia che i dipendenti pubblici siano ipergarantiti e che –
ancor di più – guadagnino più di altri: il Conto annuale appena reso pubblico
certifica che i redditi medi del dipendenti pubblici sono molto bassi».

Risorse
a parte; cosa si aspetta dunque dal ministro Madia per arrivare al rinnovo del
contratti?
«Che
si abbandoni l’ottica punitiva rispetto ai lavoratori pubblici e
l’unilateralità delle decisioni dei dirigenti. Il ministro dovrà presentare
l’atto di indirizzo all’Aran sul rinnovo del contratti: deve prevedere, secondo
noi, che la contrattazione sia liberata dai vincoli della legge brunetta e non
si limiti alla parte normativa ma si contratti anche la parte economica: non
accetteremo che ancora una volta gli aumenti siano decisi senza confronto».

La
riforma Brunetta prevede la divisione dei dipendenti in tre fasce rispetto al merito:
un 25 per cento che sarà premiato, un 50 per cento senza infamia e senza lode e
un 25 per cento che verrà penalizzato.
«Noi
siamo subito stati contrari. E il motivo principale è che in questo modo non si
incentiva assolutamente l’impegno o il merito. E invece un metodo di una
rigidità assoluta che mette tutto nella disponibilità del dirigente».

Vi
aspettate una convocazione a breve?
«Il
ministro ha dichiarato che dopo che avrà portato in Consiglio di ministri
l’accordo quadro che abbiamo firmato sul riordino dei comparti (ridotti da 12 a
soli 4, Ndr) ci convocherà. Ci auguriamo lo faccia a breve».

La
sentenza della Corte di Cassazione sulla non applicazione della riforma Fornero
sull’articolo 18 peri dipendenti pubblici cambierà qualcosa?
«Era
scritto in legge l’esclusione del lavoro pubblico. Dopo di che se lo chiede alla
Cgil la nostra risposta sta nella Carta del Diritti, una sola disciplina che
valga per tutti: se un licenziamento è illegittimo il lavoratore va
reintegrato, se accetta, liberamente, l’indennizzo questo deve essere di entità
tale da avere funzione di deterrenza».

Chiudiamo
con il capitolo Cgil. Lei viene definita come “la delfina di Susanna
Camusso”. Le fa piacere o la infastidisce?
«Cosa
vuole che le dica? Il delfino almeno è un mammifero intelligente».

La
definizione porterebbe alla conseguenza che lei sarà il prossimo segretario
generale della Cgil…
«Sono
stata chiamata a dirigere i dipendenti pubblici. Spero di poterlo fare e di
raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati – rinnovo del contratti e
allargamento dei diritti – portando a termine il mio mandato. Quindi direi che
ho un’altra prospettiva e la categoria mi piace molto».

Lei
comunque impersonifica il cambiamento del sindacato. Nessuno alla sua età è mai
stato segretario confederale e segretario generale di una federazione così importante.
Ancor di più in quanto donna.
«E’
un ruolo di grande responsabilità e dimostra come la Cgil è un sindacato aperto
e in grado dl accogliere generazioni diverse».

Si
racconta che lei entrò in Cgil da studentessa media. E non ne è più uscita. Si
è mai sentita una anomalia?
«Ci
sono tanti giovani con incarichi importanti, come la nuova segretaria generale
della Filcams (la federazione del commercio e servizi, quella con più iscritti,
Ndr) Maria Grazia Gabrielli che ha pochi più anni di me. Noi abbiamo certamente
portato nella Cgil l’esperienza di chi ha vissuto la precarietà sulla sua
pelle. E magari un linguaggio meno sindacalese. Ma nel sindacato generazioni
diverse convivono».

Niente
rottamazione dunque…
«Non
esiste proprio! Io ho imparato dai sindacalisti più esperti gli strumenti della
contrattazione. Ci si trasmette la conoscenza. In questo modo in Cgil si riesce
ad avere un equilibrio, a rappresentare tutti: l’organizzazione è in grado di
rigenerarsi senza traumi. Se fino a qualche anno fa i giovani sentivano il
sindacato lontano, ora grazie all’idea di contrattazione inclusiva che tenga
conto di tutti i lavoratori, riusciamo a tenere assieme anche i meno garantiti
che prima potevano sentirsi esclusi».

Lei
è la segretaria confederale che ha seguito in prima persona la stesura della
Carta dei diritti universali, il nuovo Statuto su cui state raccogliendo le firme
per una proposta di legge popolare. Non le dispiace lasciare il progetto?
«Non
è così perché anche da segretario della Fp posso seguirlo: ad esempio, da noi
circa il 40 per cento dei lavoratori sono del settore privato. l problemi sono
gli stessi di qualsiasi altra categoria, e poi la Carta parla a tutti pubblici
e privati».

Accanto
alla Carta state raccogliendo le firme per tre referendum abrogativi su
articolo 18, voucher e appalti. Dato per scontato che riusciate a raccogliere
le firme, nel giugno 2017 si dovrebbe votare. Crede che per quel tempo l’opinione
pubblica sarà in grado di capire e appoggiare le vostre proposte?
«I
referendum sono uno strumento che abbiamo deciso di utilizzare per spronare il
Parlamento a discutere della Carta che propone una nuova cultura del lavoro che
superi la divisione lavoratori dipendenti-autonomi e dia nuovi diritti comuni a
tutti. Detto questo. osservo che già sui voucher – seppur con un provvedimento
non sufficiente – e sulla flessibilità sulle pensioni il governo è stato
costretto a mettere mano ad argomenti da noi sollevati, quindi la mobilitazione
dei lavoratori è in grado di cambiare l’agenda politica. Il quadro politico è già
mutato e muterà ancora di più da qui a giugno 2017; siamo certi che l’opinione
pubblica ci appoggerà. Anche sull’articolo 18: perché non chiediamo di tornare
al vecchio Statuto ma cambiare totalmente il principio, il meccanismo sanzionatorio.
Perché la sanzione verso i licenziamenti illegittimi sia un vero deterrente,
bisogna punire le aziende che sbagliano non i lavoratori senza colpe, stiamo
parlando di licenziamenti dichiarati “illegittimi e senza giusta
causa”, non tutti i licenziamenti».

Ultima domanda: nel 2014 ad un Direttivo Cgil lei fu contestata perché disse
che «Di Vittorio nei 1952 aveva pensato lo Statuto dei lavoratori». Com’è
finita quella storia?
«Fui
contestata da una sola persona. il segretario della Fiom di Genova Grondona.
Che urlò che Di Vittorio era morto nel ’57 e che lo Statuto era del 1970. Ma
avevo ragione io: nel congresso di Napoli del 1952 Di Vittorio parlò già di
Statuto dei lavoratori. E tutti me lo riconobbero, ma sa è difficile
riconoscere per alcuni che possono essere affiancati da dirigenti più giovani,
fortunatamente la rottamazione non ha cittadinanza in Cgil né dei giovani verso
i più maturi, né dei più maturi verso i più giovani».

Di
Massimo Franchi

(lunedì
13 giugno 2016)

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