Forestale: Verso lo Sciopero Generale CGIL del 12 Marzo 2010

18 Luglio 2011

12.03.2010 – Verso lo Sciopero Generale CGIL

VERSO LO SCIOPERO DEL 12 MARZO 2010

 

Documento di Mauro Beschi – CGIL Nazionale

 

 
VERSO LO SCIOPERO GENERALE

Numero 2 del 1/3/2010 di Mauro Beschi (CGIL Naz.)

In Italia, il reddito da lavoro sul Valore Aggiunto è passato dal 68% del 1976, al 61% del 1992, al 53% del 2007; 15 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese e, di questi, 7 milioni guadagnano 1.000 euro (il 60% sono donne); la quota delle ritenute sul lavoro dipendente del gettito IRPEF totale è passata dal 66,9% del 1980 al 74% del 2008; il PIL pro capite fatto 100 il dato EU 17, è stato, da noi, del 117,8 nel 2001, del 99, 5 nel 2008, con una previsione per il 2009 che si riduca ancora al 98,8; il Tasso di occupazione generale è al 57,1%, meno 1,1 sull’anno passato ma 11,3% sotto il vincolo della Strategia di Lisbona e 8,6 % meno della media UE mentre il tasso di occupazione femminile è al 46,7%, 13 punti sotto Lisbona; il tasso di disoccupazione ha superato l’8,5 % (+1,3 % rispetto al 2008) e quella giovanile è al 26,9% (+ 4,9% sul 2008), ma la disoccupazione reale, quella che tiene conto anche di coloro che non entrano, per varie ragioni, nella rilevazione ufficiale è intorno al 12%; migliaia di aziende chiudono o ristrutturano, la CIG è esplosa; 3,5 milioni di precari (1 occupato su 8 sta ai margini), 4 milioni interessati a diverse forme di lavoro nero, 2 milioni con contratti a tempo determinato.

Questi sono i dati parziali e schematici che evidenziano l’emergenza della questione lavoro, un emergenza drammatica anche per il fatto, molto allarmante, che la tendenza mostra un ulteriore peggioramento, nonostante si parli di fine della crisi.

In questi dati stanno le ragioni dello sciopero generale che la Cgil ha proclamato per il 12 marzo.

I Congressi sono finiti e lo sciopero può rappresentare l’occasione per recuperare quel rapporto con i lavoratori che le assemblee hanno dimostrato essere necessario.

Non dobbiamo sottovalutare come la crisi aggravi non solo le condizioni materiali dei lavoratori ma ne approfondisca anche quel sentimento di solitudine che può portare ad un ripiegamento che avrebbe conseguenze drammatiche sia per le singole condizioni individuali che per consolidare quella coscienza collettiva che sta alla base di ogni processo di emancipazione e di riscatto sociale.

La CGIL, ancora una volta e, purtroppo, nuovamente da sola, si pone come punto di riferimento e di coagulo per questa risposta collettiva, ponendo l’attenzione, nella battaglia per rispondere in modo nuovo ai problemi posti drammaticamente dalla crisi economica, su tre questioni cruciali :

· Difendere l’occupazione, fermare i licenziamenti, riformare gli ammortizzatori per arginare uno spappolamento sociale che aggraverebbe e prolungherebbe il declino del Paese e, nello stesso tempo, come precondizione per promuovere nuove politiche economiche fondate su una riorganizzazione del modello di sviluppo e di consumo, sulla piena e buona occupazione, attraverso politiche industriali e riforme strutturali che avviino la riconversione verso uno sviluppo fondato sulla innovazione, la conoscenza, la sostenibilità ambientale e sociale, il rilancio di politiche di coesione territoriale, a partire dal Mezzogiorno;

· Sostenere i diritti delle persone, a cominciare da quelli degli immigrati che, come abbiamo visto a Rosarno, vengono sempre più percepiti come dei corpi estranei, utili se accondiscendono alla loro funzione di lavoratori sfruttati e di consumatori ma non meritevoli di qualsiasi riconoscimento nella loro dignità umana e civile. Occorre sconfiggere senza tentennamenti una politica che ha voluto scaricare sui migranti le contraddizioni derivanti dalla riorganizzazione liberista dell’ economia e del lavoro, una politica che, cinicamente ed in modo subdolo, propone una guerra tra persone che non ha ragion d’essere, che cerca di orientare la risposta ai drammi della condizione lavorativa e di reddito dei lavoratori attraverso la radicalizzazione di identità territoriali, etniche religiose le quali, lungi dal risolvere i problemi, contengono, tuttavia, una potente, per quanto illusoria, capacità di rispondere ad una crescente ansia soggettiva e collettiva. La risposta nasce dal riconoscere che i migranti sono una risorsa necessaria per il nostro sviluppo economico e per le nostre tutele collettive ( l’equilibrio della spesa pensionistica passa per i contributi dei lavoratori stranieri) e, per questo, politiche di integrazione non sono solo giuste ma convenienti per il Paese. Queste politiche vanno affrontate con un rinnovato ruolo pubblico, l’unico in grado di organizzare e rendere coerenti i vari e complessi intereventi necessari per rompere una realtà indegna e costruire percorsi concreti e credibili di integrazione;

· Aprire con forza la questione fiscale, non solo per la sua sacrosanta domanda di equità e di giustizia redistributiva (i recenti dati evidenziano che sono sostanzialmente i lavoratori dipendenti e pensionati a pagare le tasse), ma per il suo significato civile (la giusta tassazione è il fondamento del moderno patto di cittadinanza), la sua implicazione economica (favorire la domanda aggregata e sostenere le politiche di investimento pubblico), la sua natura politica (costruire un blocco sociale contro le rendite e l’economia illegale).

Per questo occorre denunciare le ambigue ed altalenanti posizioni del Governo che non può ignorare il problema, vista la sua enorme dimensione, e, nello stesso tempo, non può assumere scelte di equità fiscale se non mettendo a rischio i vasti e ramificati interessi del blocco sociale che ha, fin qui, assegnato il consenso alla destra. Il problema però, anche per il Governo, sta nel fatto che oggi questa struttura fiscale, con la sua articolazione e le sue ingiustizie, diventa un problema per lo sviluppo del Paese e della sua qualità politica, economica e sociale.

Occorre dare una scossa anche all’opposizione che appare non ancora in grado di leggere con chiarezza la lezione della crisi e rimane aggrappata ad una visione timorosa e vecchia sul terreno delle politiche pubbliche e delle politiche fiscali, anch’essa affascinata dal mito della riduzione delle tasse.

Ora occorrerebbe capire la ragione per la quale, negli ultimi 15 anni, con diverse maggioranze ed un medesimo obiettivo, le tasse non sono complessivamente diminuite; tante promesse, tante illusioni, tante fandonie ma una sola certezza: il livello medio di prelievo non si è abbassato ma il suo peso è stato caricato sempre più sulle spalle dei ceti medi e dei ceti popolari. Occorrerebbe capire che questa condizione non solo non sostiene politiche di sviluppo ma, alla lunga, rende impraticabile un welfare efficace ed inclusivo, tanto è vero che le proposte della destra (per ultimo il Libro Bianco di Sacconi) hanno utilizzato ed utilizzano la potentissima parola d’ordine della diminuzione delle tasse per destrutturare il ruolo pubblico e le sue politiche di sostegno economiche e sociali.

Oggi la piattaforma della Cgil parla anche a queste incertezze, pone la esigenza di una svolta rapida, fatta di decisioni, graduali ma certe, di riorganizzazione del sistema fiscale orientato a sostenere un profilo redistributivo verso il basso e a farlo diventare un motore per la crescita.

Agire subito significa sostenere i redditi da lavoro e da pensione, con una restituzione di almeno 500 €, a compensazione del contributo enorme e sperequato che essi hanno dato alle entrate fiscali.

Quindi promuovere nei prossimi mesi, non tra tre anni come sostiene Tremonti, una riforma fiscale fondata su quattro elementi essenziali:

1. Una lotta senza scampo alla evasione fiscale che ha determinato, ormai, la perdita per le entrate statali di 110 miliardi di € all’anno;

2. Una riorganizzazione delle aliquote con un abbassamento della prima aliquota dal 23% al 20% e con un rafforzamento della progressività con l’obbiettivo di ridurre il prelievo sui redditi medio-bassi;

3. Un incremento della tassazione delle rendite finanziarie che sono scandalosamente ed enormemente più basse che nel resto d’Europa;

4. La introduzione di una tassa sui patrimoni per colpire le grandi fortune che in questi anni mentre si sono significativamente ampliate nella loro dimensione hanno visto ridursi, quando non scomparire, i loro obblighi fiscali.

E’ del tutto evidente che la dimensione delle questioni che reggono la nostra piattaforma richiede un lavoro severo ed impegnato, ha bisogno di alleanze e di consenso; ma la premessa per questo impervio percorso è, ancora una volta, il nostro impegno, la coscienza della essenzialità della nostra funzione, della nostra capacità di parlare al Paese ed ai lavoratori, la forza della nostra azione e mobilitazione.

Per questo lo sciopero generale del 12 marzo rappresenta una sfida che non possiamo perdere e per la quale sono richiesti tutta la nostra passione, convinzione ed impegno.
 
 

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