L’entrata in vigore da ieri del decreto 150/09, attuativo della cosiddetta riforma Brunetta, determina nuove vessazioni anche per i medici, i veterinari e i dirigenti del servizio sanitario nazionale, nonostante le limitazioni dovute all’autonomia regionale in sanità. E’ solo una questione di tempo.
La rilegificazione del rapporto di lavoro rimette nelle mani delle amministrazioni – attraverso norme fissate in modo autoritario e non più modificabili nel contratto – scelte fondamentali per il funzionamento dei servizi, per le valutazioni, per le carriere e le retribuzioni dei dirigenti medici, rendendo ancora più stretto il rapporto tra politica e gestione nella sanità pubblica.
Decide in esclusiva l’azienda, con la sola informativa ai sindacati ove prevista, l’organizzazione dei servizi e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro.
Gli organismi “indipendenti” per la valutazione e la retribuzione di risultato sono nominati dallo stesso sistema regione-azienda che decide anche i criteri. La maggior parte della retribuzione di risultato deve essere destinata per legge ai premi individuali per chi è collocato nella fascia di merito più alta, rispetto alle tre comunque da istituire, quando in sanità è vincente il lavoro in equipe. E le risorse per i diversi premi e bonus sono tolte dalla retribuzione degli altri medici.
Le aziende potranno decidere autonomamente, se non c’è l’accordo con il sindacato, ogni materia normativa ed economica lasciata ancora alla contrattazione.
La logica autoritaria e punitiva trova però il suo apice negli articoli, scritti in modo minuzioso, sulle svariate ed inasprite sanzioni disciplinari: sospensioni, privazioni della retribuzione, licenziamenti, reclusioni e ammende. Un vero e proprio codice arbitrario, non impugnabile a livello contrattuale a dispetto dello Statuto dei Lavoratori.
E i dirigenti medici sono doppiamente nel mirino: puniti e licenziati sia per loro “mancanze” sia se non vigilano su quelle degli altri operatori.
Così non va.
E’ giusto valutare, sanzionare e premiare, ma il fine è far funzionare meglio il servizio sanitario. E questo si fa con la condivisione e la partecipazione di chi vi opera, tenendo conto anche del giudizio dei cittadini. Non usando il bastone o puntando il fucile.