Orario di Lavoro: il Parlamento Europeo boccia il Consiglio e la Commissione

18 Luglio 2011

Orario di Lavoro: il Parlamento Europeo boccia il Consiglio e la Commissione

Dopo la manifestazione della CES a Strasburgo (15mila persone) lo scorso 16 dicembre
(vedi   http://www.epsu.org/a/4355  e  http://www.epsu.org/a/4368  ) il Parlamento europeo si è pronunciato, il 17 dicembre, sulla revisione dei requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. Chiede di limitare a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri, respingendo la possibilità di derogarvi (opt-out) sostenuta dal Consiglio. Propone poi di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia “inattivi”, ammettendo però che siano calcolati in modo specifico ai fini dell’osservanza del massimale settimanale.

La direttiva 2003/88/CE1 stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, tra l’altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. La stessa direttiva prevede una clausola di revisione cui si è attenuta, nel 2003, la Commissione. Il Parlamento si è pronunciato in prima lettura nel 2005, ma il Consiglio non è stato in grado di definire una propria posizione in materia fino allo scorso mese di settembre (con il voto contrario di Spagna e Grecia e l’astensione di Belgio, Cipro, Malta, Portogallo e Ungheria).

Seguendo la linea suggerita dal relatore, lil socialista Alejandro CERCAS), il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una serie di emendamenti (già sostenuti nel corso della prima lettura) che respingono l’impostazione del Consiglio, in particolare, per quanto riguarda la possibilità di derogare al tetto massimo di 48 ore lavorative settimanali e il rifiuto di considerare come lavoro il tempo speso in periodi di guardia. L’esito della votazione è stato salutato da un largo applauso dell’Aula e molti deputati si sono complimentati personalmente con il relatore. Quest’ultimo ha esortato il Consiglio a considerare questa votazione come «un’opportunità per rendere la nostra agenda simile a quella dei cittadini europei».

Dovrà quindi essere convocato il comitato di conciliazione con l’incarico di trovare un accordo tra i due rami legislativi. In precedenza, la proposta della GUE/NGL di respingere la proposta di direttiva è stata bocciata dall’Aula con 118 voti favorevoli, 521 contrari e 27 astensioni.

Non più di 48 ore di lavoro a settimana: 544 parlamentari contro l’opt out

A suo tempo il Regno Unito aveva ottenuto l’introduzione di una clausola di opt-out che, a certe condizioni, permette di non rispettare la limitazione di 48 ore lavorative settimanali. Attualmente sono 15 gli Stati membri che ricorrono a questa possibilità: Bulgaria, Cipro, Estonia, Malta e Regno Unito consentono l’opt-out in tutti i settori, mentre Repubblica ceca, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Spagna lo consentono solo nei settori in cui vi è un esteso ricorso ai periodi di guardia. Con l’accordo raggiunto lo scorso settembre, il Consiglio ha confermato questa possibilità precisando che, in ogni caso, il consenso a lavorare più del massimo consentito non può superare 60 ore come media trimestrale o 65 ore, sempre come media su tre mesi, in assenza di un contratto collettivo e se “il periodo inattivo del servizio di guardia è considerato orario di lavoro”.

Con 544 voti favorevoli, 160 contrari e 12 astensioni, il Parlamento ha respinto la possibilità di ricorrere a questa deroga (emendamento 19) considerando che, in media, l’orario massimo di lavoro non deve comunque superare le 48 ore settimanali. Con 421 voti favorevoli, 273 contrari e 11 astensioni, il Parlamento concede tuttavia agli Stati membri un periodo transitorio di 36 mesi durante il quale sarebbe possibile superare questo limite. Questa facoltà, in ogni caso, resta sottoposta a rigorose condizioni volte a garantire una protezione efficace della salute e della sicurezza del lavoratore. Prima fra tutte, occorre il consenso del lavoratore stesso che, precisano i deputati, è valido non più di sei mesi, rinnovabili, contro un anno sostenuto dal Consiglio. Nessun lavoratore, inoltre, deve subire un danno per il fatto di non essere disposto ad accettare di lavorare più del massimo consentito o per aver revocato la sua disponibilità a farlo. Il consenso dato all’atto della firma del contratto individuale, durante il periodo di prova o entro le prime quattro settimane di lavoro va poi considerato «nullo e non avvenuto».

Le 48 ore di lavoro settimanali sono in principio calcolate su un periodo di riferimento di 4 mesi. I deputati accettano la proposta di poter derogare a tale disposizione imponendo un periodo di riferimento non superiore a 12 mesi mediante un contratto collettivo o un accordo sottoscritto dalla parti sociali o per via legislativa, previa consultazione delle parti sociali. Tuttavia, precisano che la deroga per via legislativa è possibile solo qualora i lavoratori non siano coperti da contratti collettivi o da altri accordi e purché lo Stato membro adotti le misure necessarie affinché il datore di lavoro informi i suoi dipendenti e provveda a porre rimedio a ogni rischio per la salute e la sicurezza connesso all’organizzazione dell’orario di lavoro proposta.

I periodi di guardia vanno considerati orario di lavoro: 533 a favore del riconoscimento del servizio di guardia come orario di lavoro

Nell’attuale direttiva manca una definizione del periodo di servizio di guardia. D’altra parte, diverse sentenze della Corte di giustizia hanno stabilito che il periodo di guardia doveva essere incluso nell’orario di lavoro. I deputati non contestano le definizioni di “servizio di guardia” e di “periodo inattivo di servizio di guardia” introdotte dal Consiglio nella posizione comune. Il primo è «il periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione sul proprio luogo di lavoro al fine di intervenire, su richiesta del datore di lavoro, per esercitare la propria attività o le proprie funzioni». Il secondo è invece definito come il periodo durante il quale il lavoratore è di guardia … ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare di fatto la propria attività o le proprie funzioni».

Contrariamente al Consiglio, però, il Parlamento (emendamento 9pc3), con 533 a favore, 146 contrari e 10 astenuti ritiene che l’intera durata del servizio di guardia, «incluso il periodo inattivo», deve essere considerata orario di lavoro, ribadendo così quanto sostenuto in prima lettura. Concede tuttavia la possibilità che i periodi inattivi siano «calcolati in modo specifico, sulla base di contratti collettivi o di altri accordi tra le parti», oppure mediante disposizioni legislative e regolamentari, per quanto riguarda l’osservanza della durata massima settimanale della media dell’orario di lavoro.

Periodi di riposo e conciliazione della vita professionale e familiare: 539 a favore.

L’attuale direttiva prevede un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, un periodi di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore e almeno 4 settimane di ferie annuali retribuite, nonché norme sulla durata del lavoro notturno. Tuttavia, contempla anche la possibilità di derogare a tali disposizioni sulla base di contratti collettivi o accordi con le parti sociali e purché ai lavoratori siano accordati periodi equivalenti di “riposo compensativo”. Se il Consiglio propone di precisare che queste compensazioni devono essere concesse entro “un termine ragionevole”, il Parlamento chiede che il periodo di riposo segua quello trascorso in servizio, conformemente alla legislazione applicabile oppure a un contratto collettivo o altro accordo. Delle disposizioni specifiche in materia sono stabilite per i lavoratori mobili e attività offshore» e per i lavoratori a bordo di pescherecci.

I deputati condividono la posizione del Consiglio riguardo all’invito rivolto agli Stati membri di incoraggiare le parti sociali a concludere accordi volti a conciliare meglio la vita professionale con quella familiare. Con 539 voti favorevoli, 158 contrario e 10 astensioni (emendamento 11), precisano tuttavia che i datori di lavoro debbono informare i dipendenti «con congruo anticipo» di ogni modifica del ritmo di lavoro. Inoltre, conferiscono ai lavoratori il diritto di chiedere modifiche del loro orario e ritmo di lavoro, lasciando però libero il datore di lavoro di respingere la richiesta se ciò comporta inconvenienti organizzativi «sproporzionalmente maggiori» del beneficio per i lavoratori.

Il voto

I gruppi politici europei hanno votato decisamente contro il progetto di direttiva dei governi. In particolare i socialisti, il Gue (sinistra unita), i verdi, l’Unione per l’Europa delle Nazioni (Lega ed Alleanza Nazionale). Spaccato il PPE (oltre 90 deputati hanno votato contro il testo dei governi) e l’ALDE (oltre 25 voti contro la proposta del governo). Da tenere presente che 14 laburisti britannici (su 18) hanno votato contro la posizione, molto decisa, del governo laburista di Gordon Brown, mentre i socialisti maltesi e polacchi hanno votato a favore della direttiva

Allegati:

 
  • Il testo del rapporto Cercas approvato al Parlamento europeo
  • Come hanno votato i parlamentari europei
  • La discussione sull’orario di lavoro al Parlamento il 15 dicembre
  • Il testo consolidato della direttiva orario dopo il voto del Parlamento europeo
 
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