VVF – Terremoto Abruzzo – Stefano Iucci su Rassegna Sindacale: meno protezione, più sicurezza? Parlano Forgione (VVF) e Ciancio (PC)

18 Luglio 2011


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Terremoto Abruzzo: Stefano Iucci su Rassegna Sindacale: meno protezione, più sicurezza?

I SOCCORSI – Luci ed ombre su un sistema: parlano FORGIONE (VVF) e CIANCIO (PC)

18.04.2009 – Rassegna Sindacale n.15 (16-22/04/09) – Meno protezione, più sicurezza? A cura di Stefano IUCCI
 
Si chiama “circolarità ricorsiva”. È questa la locuzione assai burocratica che spiega come dovrebbe funzionare un sistema di protezione civile: un percorso virtuoso scandito da fasi che tutte si tengono tra di loro: previsione, prevenzione, addestramento, esercitazione, preparazione, emergenza, gestione emergenza, superamento dell’emergenza, ripristino della normalità, normalità.
 
Questa catena rigorosa – in cui tutti gli enti preposti devono fare la propria parte – è stata sancita nella legge 225/92, quella che in Italia ha istituito il servizio nazionale di protezione civile come tardiva risposta alla cattiva gestione dei soccorsi durante il terremoto dell’Irpinia nel 1980. 
 
Ed è una catena che evidentemente nel disastro abruzzese non ha funzionato.
 
Il Piano per le procedure operative per il rischio antisismico dell’Aquila, per esempio, è stato completato solo il 14 gennaio del 2009 e l’ultima esercitazione in situazione d’emergenza è stata realizzata nel ’99.
 
Colpiscono, ora e a mente un po’ più fredda, anche le disfunzioni operative, quelle che a noi magari paiono inezie ma tali non sono per chi con il sisma ha perso tutto: “È venuto fuori molto bene – spiega Adriano Forgione, coordinatore dei vigili del fuoco della Cgil – che ancora ad alcune ore dal sisma non si sapeva dove allestire i campi di accoglienza, dove collocare mezzi e uomini di soccorso; non erano stati previsti punti di coordinamento alternativi per edifici pubblici come prefettura e questura, mancava qualsiasi monitoraggio attendibile del patrimonio edilizio. Pensi che a 48 ore dal terremoto non funzionava ancora il sistema di vettovagliamento e lì c’erano operatori che lavoravano ininterrottamente da due giorni. La lezione è una sola: questa filiera, questa catena la devi strutturare in tempo di ‘pace’, solo così puoi affrontare l’emergenza”.
 
Il punto è proprio questo. Quando con un po’ di enfasi si dice che “lo Stato in Abruzzo c’è”, cosa si intende esattamente? Certo ci sono uomini valorosi, sprezzanti del pericolo e della fatica, ma si può dire che lo Stato, nella sua accezione più ampia di “cosa pubblica”, c’è quando si muove ancora e solo dopo l’emergenza e quando in una zona fortemente sismica mancano i piani di protezione civile e il coinvolgimento delle comunità locali, o quando le costruzioni più nuove non rispettano le norme antisisma?

Per spiegare bene come tutto questo può essere successo, è utile fare una riflessione sulla nostra Protezione civile. Distinguendo innanzitutto tra il dipartimento della Protezione civile presso la presidenza del Consiglio (istituito nel 1982 dal duo Spadolini/Zamberletti), che ha funzione di coordinamento, e il sistema della Protezione civile che comprende una grande quantità di soggetti che dovrebbero coordinarsi e agire sistemicamente tra di loro (la “circolarità ricorsiva” di cui dicevamo sopra): Vigili del fuoco, forze dell’ordine, volontariato, enti locali, sanità eccetera.
 
“Dagli ultimi eventi – incalza Forgione – è fin troppo evidente che il governo sta smantellando il sistema di protezione civile che sempre più spesso si occupa di eventi mediatici a scapito del monitoraggio e della presenza capillare e sistema sul territorio”.
 
I grandi eventi sono il Giubileo, il G8, una visita del papa, un raduno ecumenico e addirittura i mondiali di ciclismo. C’è, dietro questi aspetti, un approccio ideologico molto forte: “Quando abbiamo chiesto a un sottosegretario cosa intendesse per ‘grandi eventi’ – racconta Massimo Ciancio, rappresentante Fp Cgil presso la presidenza del Consiglio e psicologo dell’emergenza – ci ha risposto che per lui un ‘grande evento’ si ha quando molta gente si raduna e dunque possono sorgere pericoli.
 
Come si vede questa non è protezione civile, ma piuttosto la vecchia difesa civile di scelbiana memoria, che ispirò la prima legge di protezione civile del ’70 e che è molto vicino piuttosto all’ordine pubblico”.
 
In questo modo la presenza costante sul territorio salta e alla Protezione civile resta, oltre ai grandi eventi, lo spazio mediatico dell’intervento solo nell’emergenza estrema, come nel caso dell’Abruzzo. Solo in questo senso si può dire che lo Stato c’è: un decreto legge del 2002 stabilisce che al verificarsi di un evento il presidente del Consiglio nomina commissario delegato il capo della protezione civile.
 
Tutta la catena e le sinergie vengono meno, lo Stato arriva e si prende tutto: l’immagine è quella di Berlusconi a passeggio tra le macerie con il casco dei vigili del fuoco che lancia a raffica proposte improvvisate su new town e progetti da affidare alle province d’Italia senza averne discusso con alcuno.
 
Intanto, negli anni le comunità locali non sono cresciute: nonostante da settimane si avvertissero a l’Aquila e dintorni scosse, la Protezione civile non ha effettuato nessuna esercitazione sul posto con i vari soggetti preposti alla sicurezza.
 
Questo spostamento di competenze si può definire con termini inglesi il passaggio dalla safety alla security, ed è particolarmente evidente rispetto al corpo dei Vigili del fuoco: “Il governo – attacca Forgione – investe, come è giusto che sia, risorse sul volontariato; dovrebbe fare altrettanto con i vigili del fuoco, la cui mission viene invece spostata verso un mix tra ordine pubblico e sicurezza nelle grande città. Una sorta di militarizzazione che ci snatura”. Se si lascia il territorio è anche più facile tagliare: il corpo attualmente comprende solo 26.000 pompieri, mentre gli standard europei di sicurezza ne prevedrebbero 45.000 e uno studio dell’amministrazione dice che ne servirebbero almeno 55.000; quest’anno, poi, la scure Tremonti ha tagliato del 30 per cento le risorse disponibili.
 
Insomma, il caso Abruzzo come tragico esempio di una più generale inadeguatezza del nostro sistema di protezione civile.
 
“La lezione che si può trarre da tutti questi ragionamenti – conclude Ciancio – è che per l’Abruzzo non bisogna cercare capri espiatori. È un’intera classe politica che fallisce ed è sempre più distante dal paese reale”.
 
Sono, in fondo, le stesse considerazioni del presidente Napolitano quando dice che nessuno è esente da colpe o responsabilità.

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