Dip. Welfare – Nota su servizi strumentali e servizi pubblici locali “di rilevanza economica”

31 Luglio 2012

Dip. Welfare – Nota su servizi strumentali e servizi pubblici locali "di rilevanza economica"

 
Nota di approfondimento tecnico sulle società che producono beni strumentali e sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali cosiddetti “di rilevanza economica”, a fronte dei provvedimenti previsti con il DL 95/2012 (spending review) e della sentenza della Corte Costituzionale 199/2012 che ha dichiarato illegittimo l’art. 4 del DL 138.
 
p. Dipartimento Welfare- Beni Comuni        p. Segreteria Nazionale FP Cgil
              C. Oddi                                               F. Fratini

 
 
La presente nota cerca di riassumere la situazione esistente rispetto a 2 tipologie di servizi erogati dalle PP.AA: quelli relativi ai beni strumentali, di cui esaminiamo la legislazione riferita alle società, e quelli dei servizi pubblici locali cosiddetti ” di rilevanza economica”. Affrontiamo i recenti sviluppi legislativi derivanti dall’art. 4 DL 95 e dalla sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale in materia di servizi pubblici locali di “rilevanza economica”, che ha abrogato l’art. 4 del DL 138/2011, evidenziando criticità ed opportunità da essi derivanti.Ci soffermiamo poi sulle caratteristiche dell’Azienda speciale e affrontiamo le questioni delle gestioni tramite SpA in house, Aziende speciali e Istituzioni in relazione al Patto di stabilità degli Enti Locali e alle limitazioni di carattere occupazionale e contrattuale cui sono sottoposte tali forme gestionali.
 
 

Introduzione

 

In questa nota ci occupiamo di due tipologie di servizi erogati dalle Pubbliche Amministrazioni, la prima riferita ai cosiddetti “beni strumentali”, di cui esaminiamo in particolare la loro gestione tramite società, la seconda relativa ai servizi pubblici locali cosiddetti ” di rilevanza economica”, tipologie che, nel corso degli anni, sono state quelle più interessate ai processi di costituzione di società o, comunque, di forme gestionali di carattere imprenditoriale. Partiremo dall’attualità dei provvedimenti e delle novità intercorse in questi giorni, in particolare il DL 95/2012 sulla presunta “spendine review” e la sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato l’art. 4 del DL 138/2011 che interveniva su alcuni servizi pubblici locali dopo i referendum dell’anno scorso, violandone l’esito.
 
Prima di addentrarci nel merito delle questioni, sono necessarie alcune premesse. La prima è che abbiamo detto che ci occupiamo di quelle 2 tipologie di servizi, ma abbiamo ben presente che i forti e spesso disordinati processi di esternalizzazione ( e anche di aziendalizzazione e societarizzazione) dei servizi pubblici hanno riguardato e riguardano l’insieme dei servizi erogati dalle PP.AA., compresi quelli alla persona.
 
Quello che è venuto avanti negli ultimi 20 anni ( se vogliamo prendere una data simbolica di partenza possiamo far riferimento alla legge 142 del 1990) è stato dapprima il fatto di rendere “mobile” il perimetro dell’intervento pubblico e delle PP.AA. per poi arrivare, soprattutto in questi ultimi anni di ” neoliberismo imperante”, ad una sua forte riduzione con i conseguenti processi di privatizzazione. E’ utile arrivare quindi a disegnare un quadro complessivo dell’insieme di queste vicende e, in questo senso, questa nota può essere considerata un contributo in questa direzione. Un secondo ragionamento riguarda la definizione di servizi di rilevanza economica o privi di rilevanza economica. Non solo essa non esiste in termini precisi, ma, in realtà, siamo di fronte ad un concetto che non può essere fissato e che, anzi, per sua natura, si presta ad essere mutevole nel tempo e differente a seconda del contesto in cui ci si muove.
 
Da questo punto di vista, vale la pena citare un passaggio di un testo fondamentale in proposito, il parere della Corte dei Conti della Lombardia del 17 marzo 2009, nel momento in cui sostiene che “non è possibile individuare a priori, in maniera definita e statica, una categoria di servizi pubblici a rilevanza economica, che va, invece, effettuata di volta in volta, con riferimento al singolo servizio da espletare, da parte dell’ente stesso, avendo riguardo all’impatto che il servizio stesso può avere sul contesto dello specifico mercato concorrenziale di riferimento ed ai suoi caratteri di redditività/autosufficienza economica (ossia di capacità di produrre profitti o per lo meno di coprire i costi con i ricavi)”.
 
Del resto, è utile ricordare l’importante e fortunata campagna promossa da noi e dal Forum dei Movimenti per l’Acqua nel corso del 2008-2009 perché fosse introdotta negli Statuti dei Comuni la dizione che ” il servizio idrico è privo di rilevanza economica” in base alla quale più di 200 Enti Locali, tra cui alcuni rilevanti, adottarono quel principio o, ancora, il fatto che, dopo lo svolgimento dei referendum dell’anno scorso, buona parte della giurisprudenza ritiene che ora il servizio idrico sia effettivamente privo di rilevanza economica, dopo che è stata abrogata la remunerazione del capitale nelle tariffe dello stesso.
 
Terza considerazione di premessa è che, in questo campo, ci troviamo di fronte ad una situazione normativa assai complessa e, in diversi casi, anche contradditoria, visto che è il prodotto di norme che si sono affastellate nel corso del tempo e non sempre ispirate da una logica unitaria e coerente: ciò determina il fatto che su diverse questioni, anche rilevanti, esistono, anche dal punto di vista giurisprudenziale, interpretazioni difformi, se non addirittura opposte. Insomma, si può dire che su questo terreno è difficile esprimere una verità “assoluta” e invece è buona norma affrontare in modo approfondito caso per caso le questioni relative ad ogni singola Amministrazione.
 
Infine, da ultimo, per chiarire il senso di questa nota, esplicitiamo che non staremo a svolgere un’analisi politica di questi processi, che non ci addentriamo sui ragionamenti che hanno a che fare con la genesi di un intero ciclo orientato addirittura da un furore ideologico per ridurre il ruolo dell’intervento pubblico e per affermare il primato del mercato ( e della finanza), anche perché, almeno in parte, li diamo per scontati; vogliamo, invece, in termini più limitati, costruire uno strumento di approfondimento “tecnico” e di conoscenza che possa supportare il lavoro che quotidianamente compiamo.
 

 

La legislazione in materia di società che gestiscono “beni strumentali”

Fermo restando che la gestione/ produzione di beni strumentali delle PP.AA. possono derivare da molte soluzioni, dall’appalto esterno alla gestione diretta, dalla gestione tramite Enti ed organismi delle stesse Amministrazioni alle società di diritto privato, in questa nota ci occupiamo particolarmente di quest’ultima ipotesi gestionale.
 
Su questo piano riscontriamo immediatamente quella situazione di mancanza di coerenza e sovrapposizione di norme non coerenti tra loro di cui abbiamo parlato prima. Infatti, se il concetto di strumentalità, come ha chiarito il Consiglio di Stato, si riferisce a quelle attività che vengono rivolte agli stessi Enti promotori, e quindi operano in deroga alle ordinarie procedure di affidamento, visto che il rapporto con l’Ente affidante è strutturato in termini di prestazione contro corrispettivo (a differenza dei soggetti gestori dei servizi pubblici locali, che sono fondati su un sistema tariffario a riscossione), il primo intervento legislativo che si può riferire a quest’universo avviene con l’art. 13 del DL 223/2006 ” Bersani”, più volte modificato, da ultimo con il comma 32 art. 14 del DL 78/2010 e poi con il decreto milleproroghe DL 216/2011 che definisce l’ambito di applicazione a quelle ” società (partecipate) aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali…
 
E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazione in tali società da parte delle amministrazioni…”. Il provvedimento in questione dispone che, entro il 30 settembre 2013, i Comuni fino a 30.000 abitanti dovranno dismettere tutte le società partecipate di carattere strumentale, così come definite sopra, tranne quelle che presentino bilanci in utile da almeno 3 anni, e che i Comuni fino a 50.000 abitanti ne possano mantenere solo una.
 
L’art. 4 del DL 95/2012 “spending review”, appena approvato e inserito nel maxiemendamento, interviene sempre sulle società che producono beni strumentali, ma le definisce in un altro modo, e cioè come quelle società controllate direttamente o indirettamente che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di Pubbliche Amministrazioni superiore al 90 per cento.
 
Non si interviene, con quest’articolo, sulle società quotate in Borsa, né su quelle che svolgono servizi di interesse generale, su quelle che svolgono compiti di centrale di committenza, alla SOGEI spa e alla CONSIP spa, nonché sulle società che saranno individuate, in relazione alle esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati e all’esigenza di assicurare l’efficacia dei controlli sulla erogazione degli aiuti comunitari del settore agricolo, con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
 
E’ evidente la differenza del perimetro d’intervento tra i due provvedimenti citati: al di là del fatto che il DL 78/2010 ragiona solo sui Comuni di dimensioni medio-piccole, si parla sempre di società (e questa precisazione è importante, perché non sono chiamate in causa altre forme gestionali, come le Aziende speciali o le Istituzioni) ma nel DL 78/2010 si intendono tutte le società partecipate, ad eccezione di quelle che perseguono finalità istituzionali o servizi di interesse generale, mentre con il DL 95/2012 si fissa unicamente un parametro di tipo economico (almeno il 90% delle prestazioni svolte con le Amministrazioni di riferimento).
 
L’art. 4 del DL 95/2012 prevede per le società strumentali, entro il 31 dicembre 2013, la loro liquidazione o, in alternativa, entro il 30 giugno 2013, l’alienazione con procedure di evidenza pubblica delle partecipazioni detenute dalle PP.AA. In questo secondo caso, il servizio è assegnato per cinque anni non rinnovabili alla società privatizzata a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Da questa impostazione ( liquidazione o privatizzazione) sono fatte salve, in termini derogatori, quelle società rispetto alle quali, ” per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l’Amministrazione pubblica un efficace e utile ricorso al mercato”.
 
Peraltro, tale deroga deve passare attraverso un parere vincolante da parte dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato. Si interviene, poi, sul numero dei componenti il Consiglio di Amministrazione delle società strumentali, che non potranno essere più di 3, e su tutte le società controllate ( con esclusione di quelle quotate in Borsa), per le quali il CdA sarà composto da 3 a 5 membri.
 
A conferma della logica privatizzatrice dell’impostazione del provvedimento, si prevede l’acquisizione sul mercato di beni e servizi strumentali all’amministrazione, limitando l’affidamento in house, a Spa totalmente pubbliche, dei servizi a decorrere dal 1° gennaio 2014.
 
L’affidamento in house, a partire dalla stessa data, può avvenire solo per l’acquisizione di beni e servizi di valore inferiore a 200.000 euro annui, cioè in termini assolutamente residuali. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014.
 
Inoltre, viene prevista la possibilità da parte delle PP.AA. di predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate , ma questi devono passare attraverso l’approvazione da parte del Commissario straordinario ( Bondi)! In sostanza, le PP. AA. sono commissariate, quasi fossero in una condizione di messa in liquidazione.
 
Infine, sono previste forti limitazioni di carattere occupazionale e contrattuale per gli Enti strumentali: a decorrere dall’entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2015, ad essi si applicano le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione controllante (blocco parziale del turn-over), possono avvalersi di personale a tempo determinato ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009 e, a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2014, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, compreso quello accessorio, non può superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2011.

Le modifiche apportate rispetto al testo originario dell’art. 4, alcuni parzialmente migliorativi, altri decisamente peggiorativi, ci fanno confermare il nostro giudizio negativo, non raccogliendo la filosofia ispiratrice ed i contenuti politici e sindacali dei nostri emendamenti; peraltro, ci pare utile notare che, a nostro parere, si potrebbe seguire una strada alternativa al momento della possibile liquidazione delle società strumentali.
 
Ci riferiamo al fatto possibile- anche se finora non evidenziato da nessuno- di dar seguito alla liquidazione della società con una contestuale creazione di un’ Istituzione (forse si potrebbe verificare anche la scelta dell’Azienda speciale, ma ciò appare più difficoltoso) dedicata alla gestione di quei servizi: infatti l’operazione di internalizzazione non trova vincoli nell’art. 4, nonostante la previsione del comma 6 art. 9, chiaramente incostituzionale, e, inoltre, il passaggio dei lavoratori, che dovrebbe comunque avvenire attraverso una procedura selettiva, non comporta ostacoli dal punto di vista delle attuali norme sul Patto di stabilità degli Enti locali (vedi l’ultimo paragrafo sulle limitazioni di carattere occupazionale e contrattuale per le SpA in house, Aziende speciali e Istituzioni e, in particolare , le norme sul computo delle spese di personale rispetto alla spesa corrente dell’Amministrazione di riferimento).

 

Le forme di gestione dei servizi pubblici locali “di rilevanza economica”

Questa tipologia di servizi, assolutamente differente da quella relativa ai beni strumentali, viene gestita sostanzialmente con la modalità dell’affidamento a soggetti terzi rispetto all’Amministrazione di riferimento ( continuano ad esistere peraltro, soprattutto negli Enti di piccola dimensione forme di gestione diretta in economia). Come detto prima, il concetto di rilevanza economica è mobile ma , convenzionalmente, sotto questa dicitura si sono indicati i servizi di distribuzione dell’energia elettrica, di distribuzione del gas, il servizio idrico, quello della gestione dei rifiuti, il trasporto pubblico locale, quello delle farmacie comunali.
 
Per fare un breve excursus relativo all’ultimo decennio, la norma fondamentale di riferimento per questa tipologia di servizi era rappresentata dall’art. 113 del Testo Unico Enti Locali 267/2000.
 
Tale normativa riguardava l’insieme dei servizi pubblici locali ed era sovraordinata rispetto alle discipline dei singoli settori, con l’eccezione della distribuzione dell’energia elettrica, del gas e del trasporto pubblico locale, per cui, invece, il riferimento era dato proprio dalla legislazione di settore.
 
Su questa base, l’affidamento dei servizi pubblici locali avveniva tramite gara, oppure a SpA miste nelle quali il socio privato veniva scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, oppure a SpA a totale capitale pubblico, rispettose dell’ordinamento comunitario in materia.
 
Queste modalità di affidamento, pur soggette a specificazioni e ad aggiustamenti intervenute nel corso degli anni passati, sono rimaste nella sostanza stabili fino all’emanazione dell’art. 23 bis del DL 112/2008, poi integrato dall’art. 15 del DL 135/2009 ( cosiddetto “decreto Ronchi”).
 
Qust’ultimo provvedimento, relativo a tutti i servizi pubblici locali, con esclusione della distribuzione dell’energia elettrica, del gas, delle farmacie comunali e del trasporto ferroviario regionale, aveva nei fatti reso residuale la modalità di affidamento tramite SpA a totale capitale pubblico e disposto la loro cessazione alla fine del 2011, a meno che non fossero state privatizzate almeno nella misura del 40%.
 
Com’è noto, l’art. 23 bis, come modificato dal “decreto Ronchi”, è stato abrogato nella sua interezza con la forte affermazione dei referendum del 12-13 giugno scorsi, promossi da un’ampia coalizione sociale raccoltasi attorno al Forum dei Movimenti per l’Acqua, di cui anche noi siamo parte importante.
 
Quindi, l’esito referendaria aveva riguardato tutti i servizi pubblici locali ( con le eccezioni ricordate), per i quali, dunque, come ha stabilito con precisione la sentenza di ammissibilità 24/2011 di quel referendum operata dalla Corte Costituzionale, “all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo…; dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum)”.
 
Nonostante ciò, il governo Berlusconi, nell’agosto 2011, ad un mese di distanza dalla proclamazione dei risultati referendari, emanava il DL 138, che, all’art. 4, ripristinava sostanzialmente le norme del decreto Ronchi, non per il servizio idrico, ma per la gestione del ciclo dei rifiuti e per il trasporto pubblico locale, imponendo per questi servizi nuovamente l’obbligo alla privatizzazione con la fine del 2012.
 
L’art. 4 poi interveniva su altre questioni rilevanti come l’obbligo alla privatizzazione delle società quotate in Borsa, l’assoggettamento al patto di stabilità, da attuarsi con un successivo decreto, delle Spa a totale capitale pubblico, la riaffermazione dei vincoli di carattere contrattuale e occupazionali, già previste precedentemente, per le SpA controllate dagli Enti locali titolari di affidamenti diretti.
 
Successivamente il governo Monti, con il decreto liberalizzazioni 1/2012 all’art. 25, introduceva ulteriori peggioramenti all’art. 4 DL 138, limitando ulteriormente il ricorso alle SpA in house e, più in generale, in tema di gestione dei servizi pubblici estendendo, sempre con un successivo decreto applicativo, l’assoggettamento al patto di stabilità di tutte le SpA in house, delle Aziende speciali e delle Istituzioni, con esclusione di quelle che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie, e aprendo la possibilità di spezzare l’unitarietà del ciclo dei rifiuti, separando l’attività di smaltimento dalle altre fasi.
 
Ora, come sapete, è arrivata la sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale che, su iniziativa di diverse Regioni, ha dichiarato illegittimo costituzionalmente l’art. 14 del DL 138 e successive modificazioni: è questa una sentenza molto importante, che giunge dopo un anno di battaglie sviluppate a difesa del risultato referendario, sia nella motivazione che nel merito.
 
Nella motivazione, perché riconosce limpidamente che non si può, almeno a distanza così ravvicinata, contraddire l’esito referendario, specificando tralaltro che “un simile vincolo derivante dall’abrogazione referendaria si giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale”; nel merito, perché ripristina il fatto che per i servizi pubblici locali ( con la sola esclusione della distribuzione dell’energia elettrica, del gas, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie) ora vige la normativa comunitaria in materia.
 
Ciò significa che per l’affidamento di tali servizi pubblici locali gli Enti Locali sono liberi di scegliere la forma di gestione che ritengono più opportuna, da quella totalmente pubblicistica, l’Azienda speciale, fino a quella di tipo privatistico, fermo restando che, in qualunque caso, occorre procedere in termini coerenti, e cioè scegliendo la logica pubblicistica delle PP.AA. nel primo caso e la logica concorrenziale nel secondo. Vale la pena sottolineare che, infatti, l’esito del referendum, confermato da questa sentenza, rende nuovamente possibile la gestione tramite affidamento ad un’ Azienda speciale, che si affianca a quelle “classiche” della scelta tramite gara, della SpA mista e della SpA a totale capitale pubblico. 
 

L’ Azienda speciale: caratteristiche generali

L’ Azienda speciale, come recita l’art. 114 del Testo unico degli Enti Locali, è “ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale”. Si tratta pertanto di un ente di diritto pubblico, diverso dal comune o dalla provincia da cui dipende funzionalmente. La personalità giuridica, che si acquisisce con l’iscrizione al registro delle imprese, fa dell’azienda speciale un soggetto di diritto a sé stante, indipendente e diverso dall’ente locale che lo ha costituito.
 
All’ Ente Locale compete l’approvazione degli atti fondamentali dell’azienda speciale: il piano – programma comprendente il contratto di servizio che disciplina i rapporti tra Ente Locale e Azienda, i bilanci economici di previsione pluriennale e annuale, il conto consuntivo e il bilancio di esercizio. Anche lo statuto, al momento della costituzione dell’azienda speciale, viene approvato dal consiglio comunale/ provinciale. Sempre all’Ente locale competono il conferimento del capitale di dotazione, la determinazione di finalità, indirizzi e obiettivi, esercitare la vigilanza, verificare i risultati della gestione e provvedere alla copertura degli eventuali costi sociali.
 
Compete, invece, all’azienda procedere autonomamente al perseguimento dei fini posti dell’ente locale godendo di ampia autonomia imprenditoriale. L’acquisizione della personalità giuridica avviene per la prima volta con la legge 142/90 e questo fatto è ciò che maggiormente differenzia l’Azienda speciale con le precedenti Aziende speciali “municipalizzate”
 
L’azienda speciale rientra, inoltre, nella categoria degli enti pubblici economici (Cass. Sez. un. 15 dicembre 1997, n. 12654) cioè degli enti di diritto pubblico la cui attività, pur se strumentale rispetto al perseguimento di un pubblico interesse, ha per oggetto l’esercizio di un’impresa ed è uniformata a regole di economicità perché ha l’obiettivo del pareggio di bilancio. L’acquisto della personalità giuridica da parte dell’azienda speciale, comporta, oltre l’iscrizione nel registro delle imprese, la sua assoggettabilità al regime fiscale proprio delle aziende private (Cons. Stato, III, 18 maggio 1993, n. 405) ed alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (T.A.R. Liguria, II, 24 maggio 1995, n. 272).
 
Ciò, ad esempio, significa che i contratti collettivi di lavoro non sono necessariamente quelli del settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza (contratto gas-acqua per i settori del gas e dell’acqua, autoferrotramvieri per il trasporto pubblico locale, igiene ambientale per la gestione dei rifiuti, enti locali per i servizi strumentali ecc.).

Allo stesso modo, l’ Azienda speciale è soggetto passivo di imposta e, dunque, assoggettata al pagamento di IRES e IRAP.

Visto il profilo della personalità giuridica dell’azienda speciale, la giurisprudenza ha posto in rilievo l’applicabilità alla medesima di alcune disposizioni tipiche del diritto privato, per esempio per quanto attiene alle materie lavoristiche, in virtù della sua natura di ente pubblico economico; è necessario d’altro canto evidenziare anche l’altro elemento fondamentale che connota l’istituto in questione, cioè il rilevato carattere “strumentale dell’ente locale”.
 
Al carattere strumentale si ricollega l’esigenza che le attività poste in essere siano finalizzate al conseguimento degli stessi scopi che l’ente locale si prefigge, cioè il soddisfacimento degli interessi della collettività locale e lo sviluppo della stessa.
 
I vincoli che legano l’Azienda speciale al Comune sono quindi cosi stretti, sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere “elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso Ente territoriale » (Corte Cost., 12 febbraio 1996 n.28).
 
L’Azienda speciale, quindi, pur con l’accentuata autonomia derivantele dall’attribuzione della personalità giuridica è parte dell’apparato amministrativo che fa capo al Comune e ha connotati pubblicistici.
 
L’attribuzione della personalità giuridica non ha mutato tale natura, ma l’ha solo configurata come un nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici, distinto dal Comune, con una propria autonomia decisionale, e ha reso possibile, per l’esercizio di un’attività che ha rilievo economico, l’effettuazione di scelte di tipo imprenditoriale, cioè l’organizzazione dei fattori della produzione secondo i modelli propri dell’impresa privata (compatibilmente peraltro con i fini sociali dell’Ente titolare) per il conseguimento di un maggiore grado di efficacia, di efficienza e di economicità del servizio pubblico.

 

L’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti Locali per le SpA in house, le Aziende speciali e le Istituzioni

Anche su questo piano, ci troviamo di fronte ad un quadro complesso, di non facile interpretazione e, per certi versi, reso ancor più indeterminato dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato l’art. 4 del DL 138/2011. La prima volta che si parla dell’assoggettamento delle SpA a totale capitale pubblico al patto di stabilità degli Enti Locali è con l’art. 23 bis del DL 112/2008, che lo dispone tramite un regolamento attuativo e un successivo decreto ministeriale.
 
Poi, come già detto, la norma viene riproposta con l’art. 4 del DL 138, solo per i servizi pubblici locali oggetto dello stesso, ed estesa a tutte le SpA a totale capitale pubblico, alle Aziende speciali e alle Istituzioni con il decreto liberalizzazioni 1/2012, con l’ esclusione di quelle che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie: anche in questi casi si fa riferimento a successivi decreti ministeriali.
 
Quindi, allo stato attuale, né le SpA a totale capitale pubblico, né le Aziende speciali, né le Istituzioni sono assoggettate al patto di stabilità, perché tale decreto ministeriale non è ancora venuto alla luce, né ad oggi abbiamo notizie che esso sia in corso di elaborazione.
 
Per quanto riguarda la situazione in proposito delle SpA a totale capitale pubblico, bisogna inoltre tener conto del fatto che la recente sentenza 199 della Corte Costituzionale ha abrogato in toto l’art. 4 del DL che riproponeva tale norma: è vero che poi l’assoggettamento al patto di stabilità delle SpA a totale capitale pubblico è stato reinserito nel decreto liberalizzazioni, ma pensiamo sia sostenibile affermare che l’abrogazione prodotta dalla Corte Costituzionale faccia decadere tale disposizione. Ragionamento meno scontato invece è quello relativo all’assoggettamento futuro al patto di stabilità per le Aziende speciali e le Istituzioni, in quanto esso è contenuto ex novo sempre nel decreto liberalizzazioni: forse sarebbe possibile ragionare per analogia, e cioè ipotizzare che, nel momento in cui non c’è più l’assoggettamento al patto di stabilità per le SpA in house, questo si estende anche alle altre due forme gestionali.
 
Da questo punto di vista, però, è meglio, prima di procedere a conclusioni definitive, aspettare gli esiti del necessario approfondimento giurisprudenziale.

C’è però un ulteriore elemento che ci può aiutare nel dire che non si potrà andare avanti con l’intenzione degli ultimi governi di ridurre nei fatti gli affidamenti alle forme gestionali di tipo pubblicistico.
 
Questo ci proviene sempre dalla Corte Costituzionale che, a suo tempo, si pronunciò sul primo dispositivo di assoggettamento al patto di stabilità, quello previsto con l’art. 23 bis del DL 112/2008: nel 2010, con la sentenza 325, essa affermò che il dispositivo era illegittimo perché prevedeva solo il parere della Conferenza Stato- Regioni o Unificata, mentre ” il solo modo di contemperare le competenze rispettive dello Stato e delle Regioni consisterebbe nel sottoporre il regolamento all’intesa della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, in luogo del semplice parere previsto dalle disposizioni impugnate, tenuto conto dell’inestricabile intreccio esistente al riguardo tra le materie oggetto di potestà concorrente… o esclusiva delle Regioni… e la competenza dello Stato”.
 
Ora, va notato che il decreto liberalizzazioni prevede la medesima procedura- cioè solo il fatto di sentire la Conferenza Unificata e non quello di arrivare ad un’intesa- che è stata censurata dalla Corte.
 
Insomma, ci pare di poter dire non solo che, ad oggi, com’è chiaro, non c’è alcun assoggettamento al patto di stabilità delle forme gestionali che abbiamo preso in considerazione, ma che anche per il futuro è fortemente contrastabile tale prospettiva, che, come succede già oggi per gli Enti Locali, costruirebbe la condizione fortemente negativa di bloccare perlomeno gli investimenti da parte dei soggetti gestori dei servizi pubblici locali.

 

Le limitazioni di carattere occupazionale e contrattuale nelle società a totale capitale pubblico, nelle Aziende speciali e nelle Istituzioni

Su questo punto, abbiamo già detto per quanto riguarda le società che producono beni strumentali su cui interviene il DL 95/2012, così come va evidenziato che, invece, non esiste alcun vincolo per le società quotate in Borsa.
 
Per quanto riguarda le società partecipate e le Aziende speciali ( e le Istituzioni) che gestiscono servizi pubblici di rilevanza economica, quindi escludendo quelle che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e le farmacie, la legislazione, partendo dal DL n.112/2008 per arrivare al decreto liberalizzazioni, ha progressivamente esteso anche ad esse le limitazioni di carattere occupazionali e contrattuali dell’ Amministrazione Pubblica di riferimento.
 
Allo stato attuale, quindi, si applicano le disposizioni per cui ci sono le stesse regole per le assunzioni di personale (” le medesime societa’ adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalita’ per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), le limitazioni per le assunzioni dell’Amministrazione di riferimento ( blocco parziale del turn- over ecc.), nonchè le “disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali il contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori”.
 
Sui limiti occupazionali e contrattuali, c’è da aggiungere che tale norma è stata sinora sostanzialmente inapplicata, com’è peraltro da notare che quella relativa al contenimento degli oneri contrattuali è decisamente meno forte e prescrittiva rispetto a quella che interviene per i lavoratori delle società strumentali ai sensi dell’art. 4 DL 95. Inoltre, si può far notare che l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 DL 138 lambisce anche queste ultime norme, anche se non con la stessa forza e le medesime conseguenze evidenziate a proposito del tema dell’assoggettamento al patto di stabilità.

Da ultimo, vale la pena ricordare che, sempre in tema occupazionale, vige anche una norma che, “a contrario”, interviene sulle scelte occupazionali dell’ Ente Locale proprietario o controllante rispetto al dato occupazionale presente nelle “societa’ a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, ne’ commerciale, ovvero che svolgono attivita’ nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica”, con l’esclusione sempre delle società quotate in Borsa, e, in specifico, il comma 7 dell’ art. 76 del DL 112/2008 (e successive modificazioni, in particolare il comma 9 dell’art. 20 del DL 98/2011) che impone agli Enti locali il divieto di procedere a qualunque titolo ad assunzioni nei casi in cui l’incidenza delle spese di personale ( comprensivo delle società suddette) è pari o superiore al 50% delle spese di parte corrente.
 
Su questo punto è intervenuta un’importante deliberazione della Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, la n. 14 del 30 novembre 2011, con la quale si è specificato che la norma relativa al computo del personale ( da aggiungere a quelle dell’Ente di riferimento) si applica alle società partecipate in modo totalitario da un Ente pubblico o da più Enti pubblici congiuntamente che hanno un valore della produzione costruito per non meno dell’80% da corrispettivi dell’Ente proprietario e alle società controllate purchè affidatarie dirette di servizi pubblici locali.
 
Detto in altri termini, sono esclusi da tale computo del personale quegli organismi ( Aziende speciali, Istituzioni, Fondazioni, ecc) contraddistinti da livelli di autonomia contabile e finanziaria inferiori a quelle delle società, il che, almeno da questo punto di vista, favorisce la costituzione di tali forme gestionali rispetto a quelle di natura societaria, introducendo un elemento di parziale controtendenza rispetto alle logiche di societarizzazione e privatizzazione.

 

 
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