MIBAC: appello al Capo dello Stato e Presidente del Consiglio – Pinacoteca di Brera

24 Settembre 2012

 

APPELLO – PINACOTECA DI BRERA di Vittorio Emiliani

 
Gentile Presidente della Repubblica,
Gentile Presidente del Consiglio,
Gentile Ministro per i Beni culturali,
 

leggendo con più attenzione il decreto, poi disegno di legge, sullo sviluppo approvato nei giorni scorsi, abbiamo amaramente constatato che all’art. 8 del medesimo è stato inserito un provvedimento che con lo sviluppo ha ben poco a che fare e che invece apre un varco, a nostro avviso decisivo, in direzione della trasformazione dei grandi musei italiani da pubblici a Fondazioni di diritto privato, con tutte le implicazioni che ciò comporta. Si stabilisce infatti la creazione della “Grande Brera” quale Fondazione privata incaricata di gestire la Pinacoteca Nazionale di Brera e i suoi beni, mobili e immobili.
Anzitutto notiamo che, nel “concerto” ministeriale predisposto per questo importante disegno di legge governativo, non figura il ministro competente per i Beni culturali il cui apporto (e ciò è gravissimo) viene giudicato palesemente inessenziale.
In secondo luogo l’art. 8 del decreto-legge n.83 del 22.6.12 ora convertito in legge, conferisce ad una Fondazione di diritto privato l’intera collezione di Brera, stratificatasi in due secoli, il grande immobile che la ospita (dal quale l’ex commissario Resca ha provveduto a sloggiare l’Accademia di Belle Arti antecedente alla Pinacoteca), nonché ulteriori beni mobili e immobili. E’ pienamente costituzionale un simile trasferimento? Rappresenta davvero una prosecuzione della tutela garantita dall’art. 9 della Costituzione al patrimonio storico-artistico? O non apre al contrario, da apripista, una fase del tutto nuova con l’ingresso di soci privati in un grande museo statale? Dopo la Grande Brera privatizzata, sarà più facile avere i Grandi Uffizi privatizzati o la Galleria Borghese, gli Archeologici di Napoli e di Taranto.
Fra l’altro nell’ultimo comma dell’art. 8 della legge Passera (Ornaghi assente) si dice che “la Fondazione può avvalersi di personale appartenente ai ruoli del Ministero per i beni e le attività culturali e degli enti territoriali che abbiano acquisito la qualità di soci promotori”. Può avvalersi: dunque può ancora non avvalersene, può essere tagliato in ogni momento il cordone ombelicale che lega da sempre questa Pinacoteca Nazionale al Ministero specificamente incaricato della tutela e al personale tecnico-scientifico che esso seleziona.
Il fine generale è quello di una “gestione secondo criteri di efficienza economica”. Il che, se ci consente, rappresenta uno schiaffo ai direttori dei grandi musei nazionali i quali stanno da mesi compiendo sforzi eroici per tenere aperte, vive e vitali tali istituzioni dovendo lottare con fondi ridotti al lumicino (negli ultimi dodici anni il bilancio ministeriale è crollato da 2,5 a 1,5 miliardi. Altro che “efficienza economica”. Questi valorosi servitori dello Stato e i loro predecessori hanno creato musei ammirati in tutto il mondo ed ora sono costretti ad una gestione non “secondo criteri di efficienza economica”, bensì in condizioni di umiliante sopravvivenza (i loro stipendi variano fra i 1700 e i 1900 euro netti). Una “economia di guerra” che minaccia lo sviluppo dello stesso turismo culturale, il solo in crescita, con pericoli continui di chiusure parziali o totali, con la riduzione o l’annullamento delle attività didattiche, per giovani e giovanissimi, e di quelle di ricerca ben più importanti culturalmente di altre attività prettamente “commerciali”.
Perché non si è discusso questa operazione-Grande Brera alla luce del sole? Perché si è esclusa da essa il Ministero per i Beni e le Attività culturali? Perché si è infilato un provvedimento di questa portata quasi nelle pieghe di un decretone per lo sviluppo? Eppure si tratta di una operazione che apre la strada, chiarissimamente, alla privatizzazione dei maggiori musei italiani, già tentata nel recente passato, lontana dai grandi modelli italiani ed europei, e che ora si fa passare nel fragoroso silenzio degli organi di informazione, della maggioranza degli intellettuali italiani e degli addetti ai lavori. Spettacolo avvilente rispetto alla reazione riservata anni fa ad una proposta, forse più ingenua, ma certamente più chiara e lineare, di privatizzazione avanzata dall’allora ministro Giuliano Urbani. In questo caso il ministro competente non c’è, non sente, non vede. Ci pensa il collega dello Sviluppo. Anche l’Arte è più che mai una merce. C’è ancora qualcuno che voglia discutere in positivo nel nostro Paese senza facili populismi, ma con serietà e rigore culturale?

 

 

“per l’adesione all’appello di Emiliani scrivere una mail al seguente indirizzo: v.emiliani@virgilio.it


Grande Brera e Piccolo Ministero dei Beni Culturali?

 
COMUNICATO FP CGIL

 

Tra le pieghe del cosiddetto decretone sviluppo, convertito in legge il 12 agosto scorso, all’art.8 si prevede l’istituzione della “Fondazione Grande Brera”, che subentrerebbe al Mibac nella gestione della Pinacoteca e dei beni mobili e immobili di pertinenza.
Una operazione quasi strategica, che sembra indicare le linee di indirizzo prossime future per la gestione del nostro patrimonio culturale.
La Fondazione, ente di diritto privato, ha come socio fondatore il Mibac ed associa gli enti territoriali. Aprendo la gestione ai privati, che potranno associarsi nella Fondazione.
Alla stessa viene imposto il criterio di gestione “secondo principi di efficienza economica”.
La Fondazione potrà avvalersi di personale del Mibac e potrà, di conseguenza, non avvalersene.
In questo senso la ‘Grande Brera’ farebbe da apripista: lo Stato rinuncia ad una funzione di gestione diretta dei propri beni culturali e istituzionalizza, per la prima volta, il ruolo dei privati che integrano e, addirittura, potranno sostituire il pubblico nella gestione.
Strana estate al Mibac: da una parte si tenta, con scarsa fortuna, di acquisire il Centro Sperimentale di Cinematografia con una rozza operazione, che  avrebbe cancellato di colpo l’Istituto per i Beni sonori e audiovisivi, dall’altra si rinuncia alla gestione di uno dei più prestigiosi musei italiani. Due operazioni apertamente contraddittorie, ed è solo per l’incredibile superficialità con cui si è pensata e costruita, che una delle due non sia andata in porto.
A questo aggiungiamo anche il ricorso, nella Soprintendenza di Napoli e Pompei, al volontariato per garantire l’apertura di siti, chiusi per la carenza del personale impiegato nei cicli di tutela. Si chiamano i volontari e si taglia il costo del lavoro bloccando l’occupazione.
Ci chiediamo: è questa la strategia che caratterizza le scelte gestionali a livello istituzionale e di governo? Quando si aprirà veramente un dibattito serio sullo stato della gestione del nostro patrimonio culturale senza ricorrere a misure contraddittorie, improvvisate  e inefficaci?
E, nel merito, vogliamo ripeterlo: noi siamo contrari al coinvolgimento dei privati nella gestione del patrimonio culturale, che per definizione è pubblico. La Repubblica deve garantirne tutela, conservazione e valorizzazione, ed in questo contesto i criteri di efficienza economica devono unicamente essere finalizzati al suo mantenimento.
Questo non per nostalgie di tipo sovietico, anzi ci saremmo aspettati – ad esempio – misure per lo sviluppo in grado di integrare i cicli di fruizione e valorizzazione, campo in cui certamente si può esercitare l’impresa  privata, dando così attuazione  al riformato Titolo V della Costituzione, rimasto desolatamente una scatola quasi vuota.
Per questi motivi abbiamo deciso di aderire all’appello di Vittorio Emiliani, che vi inviamo con l’invito all’adesione, pur non condividendone in toto il contenuto.
A Vittorio Emiliani affettuosamente ricordiamo che i grandi circuiti Museali e le grandi aree archeologiche e paesaggistiche sono dirette da dirigenti profumatamente, e spesso impropriamente, pagati. I singoli Musei sono invece affidati a funzionari, il cui livello retributivo, previsto dai contratti collettivi, è certamente insufficiente come lo è quello della quasi generalità dei lavoratori pubblici, alle prese con il blocco delle retribuzioni prolungato fino al 2015. Senza queste distinzioni faticheremmo a individuare le responsabilità dello sfascio organizzativo che vive il Mibac: esistono moltissimi funzionari valorosi e competenti e moltissimi dirigenti imbelli e incapaci. Per la dovuta precisione.
Perché il degrado del Mibac è dovuto non solo alla qualità dei vari ministri succedutesi in questi travagliati anni, ma anche ad una classe dirigenziale interna incapace di rinnovarsi ed avviluppata nelle perversioni burocratiche e nell’incapacità organizzativa.
Roma, 27 agosto 2012

 
FP CGIL MIBAC 

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