WTO: nuovo stallo o accordo equilibrato e “sostenibile”?

12 Dicembre 2013

WTO: nuovo stallo o accordo equilibrato e "sostenibile"?

WTO

Bali, 3-6 dicembre 2013

Con la 9^ Conferenza ministeriale, che si svolge a Bali (Indonesia) dal 3 al 6 dicembre, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) si gioca la sua reputazione come assise multilaterale per il governo globale del commercio.
Infatti, l’ampio negoziato di liberalizzazione di agricoltura, servizi,investimenti e molto altro, rilanciato a Doha nel 2001, dopo il fallimento del vertice di Seattle del 1999 e dato per congelato a Ginevra con la Ministeriale del 2011, vede giorno dopo giorno ridursi il proprio spazio di azione a causa del moltiplicarsi delle trattative dirette tra Paesi al di fuori della Wto.
Anche l’Europa, sul modello degli Stati Uniti,negli ultimi anni ha aperto decine di trattative bilaterali: con le ex colonie di Africa, Caraibi e Pacifico (EPAs), ad esempio, poi con i partner del Mediterraneo (DCFTAs), con la Corea, con Perù e Colombia (FTAs). Si appresta, infine, a consolidare il patto transatlantico, creando un’area di libero scambio con gli stessi Stati Uniti (TIPP), legando a doppio filo le due più grandi potenze esportatrici globali per combattere la crisi allargando il mercato interno e le sinergie tra le filiere.
Non è un segreto, del resto che, gli Stati Uniti vorrebbero limitare il ruolo del WTO al solo Meccanismo di risoluzione delle controversie commerciali e poco più.
Tra i Paesi in via di sviluppo, dal canto loro,sono emerse negli ultimi anni alcune potenze esportatrici come Cina, India e Brasile.
Quest’ultimo ha vinto la corsa alla successione dell’ex direttore generale della Wto, il francese ex Commissario UE Pascal Lamy, con il proprio ambasciatore a Ginevra Roberto Azevedo. 
Ma il rallentamento subito dal commercio internazionale a causa della crisi della domanda delle imprese e dei consumatori di Stati Uniti ed Europa e la crescita lenta della loro domanda interna, crea sfiducia nei Paesi in via di sviluppo sul fatto che il commercio internazionale possa rimanere a lungo il volano della globalizzazione e che, di conseguenza,la Wto ne rimanga l’istituzione-chiave.
Senza contare che i Paesi più poveri (LDCs) vedono da anni ripetersi in ambito Wto promesse – come il taglio dei sussidi Usa e Ue alle proprie esportazioni, un accesso senza dazi né limiti di quota ai mercati dei Paesi avanzati, misure specifiche per i Paesi dipendenti dalla produzione del cotone, aiuti al commercio,formazione e così via – che non sono state mantenute e incrinano la credibilità della Wto.
Sindacati e società civile mettono sempre più in discussione la pretesa del Wto “di garantire prosperità e benessere ai Paesi membri”, come pure dichiarato nei suoi documenti fondativi, così come la capacità di dare seguito agli obiettivi di sviluppo alla base del Round negoziale di Doha.
Un malcontento che ha saldato insieme associazioni per i diritti umani e sindacati, organizzazioni ambientaliste e di cooperazione, ma anche delegazioni di Governi vulnerabili o progressisti,a Nord e a Sud,collaborazioni impensabili fino a qualche anno fa.
Anche in Italia, ad esempio,CGIL, ARCS-ARCI, Legambiente e l’associazione Fairwatch (“specializzata” su clima e commercio) hanno dato vita ad un Osservatorio sul commercio internazionale, Trade Game, che anche a Bali analizza i negoziati, dialoga con il Governo e partecipa alle attività della società civile.
Intanto, nel tradizionale briefing alla stampa che precede l’inizio formale della conferenza, il direttore delle relazioni esterne Keith Rockwell, ha fornito le cifre della 9^ ministeriale: oltre 2800 delegati di 125 Paesi membri su 159, oltre 700 rappresentanti di 446 Ong accreditate e circa 500 giornalisti.
Dopo il flop della ministeriale di Seattle nel 1999 e il lancio nel 2001 dell’Agenda di sviluppo – dedicata,nelle dichiarazioni, a rafforzare i Paesi più poveri ed emergenti, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, come strumento di pacificazione globale – le trattative di liberalizzazione commerciale “erano paralizzate ormai da cinque anni”, ha ammesso Rockwell.
L’unico modo per “riportare il negoziato sui binari, con un’iniezione di fiducia nelle sue potenzialità”, ha sottolineato il portavoce, è di approvare alcune delle misure contenute all’interno dell’Agenda di sviluppo, le più “pronte ad essere chiuse” e riproposte qui a Bali per l’approvazione da parte dei Paesi membri.
Nuove regole per la facilitazione del commercio nei Paesi in via di sviluppo;un pacchetto agricolo, che reitera, tra l’altro, il taglio dei sussidi alle esportazioni da Parte dei Paesi avanzati, già promesso nella ministeriale di Hong Kong nel 2005 e non ancora attuato; misure specifiche per il sostegno dei Paesi meno sviluppati (LDCs), tra cui l’antico dossier sul Cotone, cruciale per la sopravvivenza nei Paesi più poveri dell’Africa: sono questi i tre pilastri del “Pacchetto di Bali” in discussione in questa nona ministeriale.
Argentina e gruppo dell’Alba, con in testa Bolivia, Cuba, Venezuela ed Ecuador, si oppongono al capitolo sulla facilitazione del commercio, perchè viene chiesto ai Paesi in via di sviluppo di implementare una serie di misure che renderebbero gli scambi più veloci e tracciabili, ma che sono vincolanti e molto costose per i Paesi che debbono provvedervi.I Paesi sviluppati che ne beneficeranno, invece, non sarebbero altrettanto obbligati a garantire assistenza tecnica e finanziaria per sostenerli, come pure sarebbe previsto. Gli LDCs, dei quali si attende una dichiarazione ufficiale nei prossimi giorni, sembrano “stretti” tra la necessità di acquisire qualche risultato sul “pacchetto” loro dedicato e la difficoltà, politica ed economica, di adeguarsi alle richieste “Facilitazioni al commercio”.
L’India è invece contraria al capitolo sull’agricoltura che, se entrasse in vigore, le impedirebbe di stoccare materie prime alimentari acquistate direttamente dai piccoli produttori a prezzi calmierati, per distribuirli come aiuti per la sicurezza alimentare regolando al tempo stesso i prezzi sul mercato interno in caso d’emergenza. Un divieto che il Governo non può permettersi, tanto più alla vigilia di nuove elezioni politiche generali. L’India, con il cosiddetto Gruppo dei 33 (G33), ha quindi presentato una propria proposta alternativa,sostenuta dall’insieme della società civile.
Secondo Rockwell, a Ginevra , dove i ministri al commercio hanno lavorato alacremente nelle scorse settimane per arrivare in Indonesia con un accordo chiuso e solo da formalizzare, “siamo caduti ad un metro dal traguardo”, ed è per questo che il neo-insediato direttore generale, il brasiliano Roberto Azevedo, aveva dichiarato il “collasso del negoziato” e l’impossibilità di considerare l’appuntamento di Bali come una vera tappa negoziale.
Ma, appena i ministri hanno lasciato Ginevra, Azevedo ha inviato i testi ancora aperti alle delegazioni diplomatiche come punto di partenza di un vero e proprio negoziato da tenersi comunque a Bali, nonostante molti ministri non avessero nemmeno considerato di prendervi parte, stante la grande distanza tra le diverse posizioni costatata a Ginevra dallo stesso Azevedo.
La delegazione della Confederazione Internazionale dei Sindacati (ITUC-CSI) ha, intanto, iniziato il suo lavoro verso le delegazioni governative e in rapporto con la società civile e in particolare con la rete di Ong OWINFS (Il nostro mondo non è in vendita), tradizionale “spina nel fianco” dei negoziati commerciali.
In una conferenza stampa congiunta sindacati – Ong, Esther Busser dell’ITUC e Rosa Pavanelli, segretario generale di PSI (il sindacato mondiale dei servizi pubblici), hanno presentato le posizioni del sindacato, confermando il sostegno solo ad accordi che garantiscano la sicurezza alimentare, consentano lo spazio ai governi dei paesi meno sviluppati per decidere autonomamente le loro politiche anche in materia di regolazione commerciale, escludano la liberalizzazione dei servizi pubblici e riportino all’OIL (non ai negoziati commerciali del WTO) le regole per la migrazione e la mobilità delle persone e i diritti del lavoro, promuovendo lavoro dignitoso e non la concorrenza al ribasso sulle condizioni di lavoro.

Leopoldo Tartaglia (CGIL Politiche globali)

L’Internazionale dei Servizi Pubblici ha dedicato una pagina web alla riunione ministeriale di Bali.  L’ISP ha preparato anche una dichiarazione.

 
 

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