MIBACT: Osservazioni schema DPCM e relazione convegno Pisa su Archivi e Biblioteche

10 Febbraio 2014

 
 

In allegato le nostre osservazioni sullo schema di DPCM e una relazione che abbiamo tenuto a Pisa ad un convegno sulla crisi dei settori degli Archivi e delle Biblioteche.
Naturalmente, per quel che riguarda le nostre osservazioni, precisiamo che esse sono perfettibili e quindi saranno ben accette integrazioni, critiche, osservazioni e riflessioni.
Con l’occasione vi comunichiamo che siamo stati convocati dal Capo di Gabinetto per il giorno 13 per proseguire il confronto sullo schema di DPCM. Riteniamo questo un primo risultato, raggiunto grazie alla determinazione del fronte sindacale e alla comprensibile forte protesta che questo schema di riforma ha provocato in vasti settori del MIBACT e dell’opinione pubblica del settore. Valuteremo l’esito di questi confronti in relazione alla volontà di modificare realmente i passaggi della riforma le cui criticità indichiamo nel nostro documento di osservazioni.
Vi terremo puntualmente informati

FP CGIL MIBACT
Claudio Meloni

Osservazioni schema DPCM e relazione convegno Pisa su Archivi e Biblioteche

 
 

   

All’Ufficio di Gabinetto
preso il MIBACT
SEDE
 

 

Oggetto: Osservazioni all’impianto DPCM di riforma del MIBACT.
 

Lo schema di riforma dell’apparato amministrativo del MIBACT propone alcune novità rispetto all’impianto precedente, in particolare per quel che riguarda gli assetti delle direzioni centrali e la rideterminazione degli uffici politici. Poco o nulla invece per quel che riguarda la periferia.
Nel trovare complessivamente deludente il risultato che ne deriva, mi pare però importante  evitare giudizi sommari e avere un approccio analitico alla valutazione che ci ponga in grado di avanzare un giudizio complessivamente motivato sulla riforma.
Di seguito un primo schema con le relative valutazioni sugli aspetti principali della riforma, in attesa di adeguati approfondimenti sulle specificità che emergono e della definizione compiuta dei passaggi conseguenti, in primis la distribuzione delle postazioni dirigenziali.
 

Relazione tecnico-finanziaria
 
Inizierei da questo, perché identifica bene i limiti e la natura di questa operazione, figlia del D.L. 95.
Per ossequiare il principio dei risparmi di spesa preteso dalla spending review la relazione, nel definire la riforma priva di oneri aggiuntivi al bilancio statale, opera una quantificazione del tutto teorica dei risparmi di spesa in rapporto ai provvedimenti che dovrebbero garantirlo, ovvero i tagli al costo del lavoro della dirigenza e del personale.
In base a questi tagli la relazione quantifica in 67.601.387,95  euro i risparmi sul personale,  1.087.717,27 euro quelli sui dirigenti di prima fascia e 2.804.924,43 euro per quelli di seconda.
In realtà i risparmi reali sono quantificabili solo facendo riferimento alle poste risparmiate sui dirigenti, in quanto il taglio del personale è un taglio che non ha riguardato il costo del lavoro corrente ma quello teorico. In sostanza il taglio abbassa il limite di capienza teorico dell’organico decurtando posti vacanti e non ricopribili nel medio periodo se non nelle percentuali previste dal blocco del turn over, che sono il vero risparmio sul costo effettivo.   
Pertanto la quantificazione del risparmio reale almeno nei prossimi tre anni riguarda semplicemente il taglio delle previsioni occupazionali in riferimento alle percentuali di turn over previste, e quindi alla quantificazione del budget assunzionale conseguente. Se ad esempio escono 900 pensionati avremo la possibilità, con il 20% del turn over, di 180 assunzioni, su cui parametrare il budget assunzionale previsto, rispetto a questo è ininfluente il numero delle vacanze in organico superiore a 180. Quindi nessun risparmio reale ed aggiuntivo rispetto a quello già determinato dal blocco assunzionale. Ma solo una gran lavata di faccia ai sacerdoti del rigore accompagnata dall’abbattimento della previsione occupazionale nel medio periodo.
 

Uffici Centrali

Gli Uffici Centrali sono ripartiti in nove Uffici Dirigenziali Generali. Vengono mantenute separate le Direzioni per Archivi e Biblioteche, istituita una D.G. unica  per la tutela del patrimonio storico artistico e paesaggistico, confermata la divisione tra cinema e spettacolo con il trasferimento alla DG spettacolo di tutte le competenze in materia di contemporaneo e del suo sviluppo, viene scorporata la vecchia DG OAGIP in tre DG, Innovazione e valorizzazione, Bilancio e Personale, integrata la DG Turismo.
Viene mantenuto il Segretariato Generale a cui vengono assegnati prevalenti funzioni di coordinamento e controllo.
 
La prima valutazione è conseguente alla proliferazione di organi di gestione amministrativa. Ci pare azzardata la scomposizione in tre branche della vecchia DG OAGIP e la permanenza del Segretariato Generale. La relazione illustrativa giustifica in ragione della dimensione degli organici del ministero, noi siamo convinti che invece la scomposizione del bilancio dal personale introduca un rapporto diretto con la politicizzazione della linea del controllo di gestione che si opera con le modifiche introdotte nella struttura organizzativa degli uffici di diretta collaborazione.
Così come la permanenza del Segretariato Generale, sia pure depurato da compiti di gestione diretta, rischia di perpetuare una sovrapposizione burocratica inutile e ripetitiva proprio sulla linea del controllo sull’attività di tutti i settori. In sostanza il rischio è di accentuare i già strutturati centralismi che hanno caratterizzato la riforma precedente e di determinare sovrapposizione di compiti tra le varie strutture che operano sulla medesima linea di attività.
Lo schema di riforma del Ministero, in questi giorni oggetto di valutazioni in gran parte critiche, risente di  assenza di progettualità organizzativa riproponendo uno schema sostanzialmente centralistico dove alcune buone intuizioni, come ad esempio quella che riguarda la riorganizzazione del settore degli Archivi, si scontrano con un impianto generale che duplica funzioni e organi decisori e controllori, che non decentra la responsabilità sulla spesa, che opera in termini non chiari una politicizzazione delle forme di controllo di gestione tale da configurare seri sospetti di sovrapposizione di modalità gestionali che rischiano di essere impropriamente riservate alla direzione politica del Ministero. L’assenza di una linea di controllo di gestione, giustamente individuata come uno dei veri punti deboli del ministero,  non può tradursi in una moltiplicazione degli organi controllori e nella pervicace riaffermazione di strutture come le Direzioni Regionali, che sono contemporaneamente soggetti gestori e controllori. Ponevamo ben altre speranze, anche alla luce delle conclusioni della Commissione tecnica, sul riequilibrio delle competenze sul territorio che limitasse il preponderante potere delle Direzioni Regionali, e rendesse autonoma la gestione della spesa da parte degli Uffici dirigenziali. Il Segretario Generale nella riunione che abbiamo avuto venerdì ha spiegato che la scelta di creare una unica stazione appaltante presso la D.R. è motivata dalla cattiva gestione della spesa che ha portato negli anni scorsi all’accumulo di una impressionante mole di residui non spesi. Tutto vero, ma tale accumulo si è determinato sulla base di una esclusiva gestione del bilancio derivato e sull’assenza di criteri seri di scelta e valutazione dei dirigenti. La scelta di accentrare la responsabilità della spesa ci pare invece esattamente un modo per non affrontare seriamente la questione, ovvero come si responsabilizza l’esercizio della funzione dirigenziale e come si interviene sulla disastrata linea amministrativa.
 

Uffici politici
 
La revisione della composizione degli Uffici politici in un centro senso rappresenta la vera novità nel quadro dell’intera riforma. Questo riguarda principalmente l’istituzione dell’Ufficio di pianificazione degli obiettivi e dei programmi  e l’inserimento dell’OIV negli Uffici di diretta collaborazione.
Questa operazione rappresenta semplicemente un tentativo di politicizzazione del controllo di gestione, sia nei suoi aspetti, più propriamente politici, della programmazione, che in riferimento al controllo valutativo e della performance. Da questo punto di vista la previsione del controllo assume un indirizzo apparentemente coerente con le riforme di bassanissiana memoria, e la linea del controllo viene ricondotta direttamente sotto il controllo politico.
Creando una interrelazione di competenze con il Segretariato, presso cui permangono gli organi ispettivi, la DG Bilancio con cui vengono definite le linee del controllo di gestione e della valutazione della spesa, con la DG Innovazione per quel che riguarda l’implementazione dei dati afferenti, con le Direzioni regionali, che mantengono e rafforzano le competenze di controllo sull’apparato periferico.
Quindi una scelta strategica che si inserisce in un quadro normativo confuso e che rischia di riprodurre soggetti controllori ma non di istituire una vera e propria linea di controllo sulla gestione e sulla qualità e capacità di spesa. 
 
Inoltre, nell’ambito della valutazione della struttura amministrativa centrale salta subito all’occhio la contraddizione tra la scelta di individuare competenze orizzontali per le Direzioni Generali tecnico-scientifiche e la scomposizione di quelle amministrative.
La scelta di definire in modo orizzontale le competenze tecnico-scientifiche accoglie le raccomandazioni della Commissione tecnica, e quindi era un indirizzo già noto a chi aveva seguito i suoi lavori e le conclusioni. La scomposizione delle direzioni amministrative risponde invece a logiche del tutto avulse da questi indirizzi e corrisponde più che altro ad esigenze legate alla rimodulazione degli uffici politici. Se da una parte appare comprensibile una scelta di definire strategicamente gli indirizzi in materia di innovazione tecnologica ed attuazione dell’Agenda digitale, la scomposizione delle competenze tra bilancio e personale risulta del tutto disfunzionale ed appare una operazione del tutto legata alle esigenze di funzionalità dell’istituendo Ufficio politico di pianificazione. Su questo punto vale la pena di ribadire che l’individuazione di un ufficio di controllo interno che abbia le caratteristiche di controllo politicizzato possa avvenire solo tramite una netta differenziazione tra indirizzo, programmazione, controllo e gestione. Questo avrebbe dovuto comportare un intervento atto a rimodulare tutto l’insieme della linea del controllo, intervenendo ad esempio con una riforma dei servizi ispettivi, oggi ancorate ad un controllo semplicemente burocratico, integrando le funzioni dell’OIV, che è un organismo indipendente, con il controllo di gestione e individuando la linea del controllo in modo più coerente con le numerose normative che ne hanno definito la strutturazione organizzativa. Invece abbiamo la scelta, secondo noi del tutto impropria, di inserire l’OIV negli uffici di diretta collaborazione, affiancandolo all’Ufficio pianificazione. Una scelta che non ci pare di rintracciare nelle disposizioni normative che hanno istituito l’OIV e che noi riteniamo del tutto preoccupante in ordine alla salvaguardia dell’autonomia di organismi indirizzati alla valutazione delle performances produttive.
L’ipotesi di riorganizzazione ci consegna pertanto una riforma frammentata dove la creazione di una direzione dedicata al bilancio ne delinea una strutturazione  in un rapporto direttamente dipendente dall’Ufficio pianificazione. La linea del controllo si interrompe in maniera drastica a livello territoriale, tramite la riproposizione delle competenze di gestione e di controllo in un unico soggetto direzionale, la Direzione regionale.
Per quanto riguarda le definizione delle competenze della DG Tutela riteniamo esse debbano comportare una definizione puntuale delle branche di intervento in relazione alle sue competenze specifiche ed al rapporto con i filoni tecnico-scientifici settoriali, a partire dalla famosa questione della sparizione, anche nominalistica, dell’archeologia. E che la medesima DG debba ricomprendere la Valorizzazione, del tutto impropriamente assegnata alla DG Innovazione.
Non comprendiamo il mantenimento in 2 DG separate delle competenze in materia di cinema e spettacolo dal vivo. Una scelta questa in palese contrasto con le indicazioni della Commissione ed anche con la scelta di unificare le competenze sulla tutela in una unica DG.
Per quanto riguarda il contemporaneo a nostro avviso bisogna comprendere quale è il vero progetto di rioganizzazione di un settore  palesemente abbandonato a seguito della decisione di sopprimere la vecchia DARC. Da questo punto di vista secondo noi il problema non è la collocazione della materia, collocazione assai dibattuta e criticata, quanto piuttosto di farci comprendere quali sono le linee di rilancio di una linea di un settore di attività tanto fondamentale per definire i programmi generali in materia di poltica culturale quanto poco valorizzato sinora.
Riteniamo giustificata la scelta di mantenere (in questo caso contraddicendo a ragione le conclusioni della Commissione, la separazione tra le DD.GG. Archivi e Biblioteche. In particolare riteniamo che lo schema di riforma  a nostro avviso affronta in maniera adeguata la necessità di riorganizzazione degli Archivi, introducendo una linea dedicata che unisce in un rapporto interfunzionale la struttura centrale e quelle territoriali, parzialmente liberate dalla sudditanza evidente dalle Direzioni Regionali, e nella relazione illustrativa si finalizza alla identificazione di uno specifico strumento gestionale, l’Agenzia, così come normativamente identificata dal D. Lgs. 300/99. Uno strumento gestionale attivo al quale riconoscere la necessaria autonomia gestionale e amministrativa, sul quale tarare le politiche di riorganizzazione senza l’oppressione dei vincoli burocratici e di bilancio che sovraintendono direttamente alle attività delle strutture interne al MIBACT.
Pur essendo ancora in fase di determinazione preliminare di una possibile riforma del settore noi pensiamo che questo progetto, accompagnato da investimenti mirati sia nell’ampliamento degli spazi logistici entro cui conservare il patrimonio documentale, tramite l’utilizzo di spazi demaniali dismessi, che in riferimento ai processi di digitalizzazione e creazione di archivi virtuali entro cui collocare l’accesso alla documentazione archivistica  più massivamente richiesta (catasto, linee genealogiche, ecc), possa offrire un involucro organizzativo  efficace al rilancio del settore.
Assai deludente è invece la riforma per quel che riguarda il riordino del settore delle Biblioteche, su cui addirittura registriamo passi indietro rispetto al passato.
Ci hanno spiegato venerdì che la mancata attribuzione dell’autonomia tecnico-scientifica al sistema delle Biblioteche periferiche statali è dovuto all’assenza di competenza sulla tutela dell’intero patrimonio librario. Noi facciamo veramente fatica ad immaginare un insieme di 46 Biblioteche pubbliche, che tutelano e conservano lo straordinario patrimonio che conosciamo, con le caratteristiche specifiche che ne determinano le specializzazioni, come semplici articolazioni organizzative delle Direzioni Regionali, e non riusciamo ad intravvedere per questo settore risposte dalla riforma macroorganizzativa.
 

L’apparato periferico.
 
Nulla risulta mutato rispetto al paventato riequilibrio dei poteri tra Direzioni Regionali e Uffici sul territorio.
Anzi dal punto di vista gestionale e del controllo amministrativo le competenze della DD.RR. risultano paradossalmente rafforzate, con l’estensione di alcune prerogative di controllo sulle Soprintendenze autonome. È stata confermata l’individuazione della DR come unica stazione appaltante, sono state restituite alcune competenze tecniche alle soprintendenze, le quali limitano la funzione di centro di spesa solo per le spese di funzionamento e per gli interventi manutentivi entro il limite dei 100.000 euro l’anno, previa autorizzazione della stessa DR. Per quel che riguarda gli Archivi si dispone una linea gerarchica diretta DG – Soprintendenze Archivistiche – Archivi di Stato (vedi valutazione su DG Archivi), con la prevedibile conseguenza di una ulteriore riduzione delle posizioni Dirigenziali negli Archivi di Stato. Viene invece prevista l’istituzione di posizioni dirigenziali presso i Musei, tramite una norma piuttosto criptica, su cui è possibile ipotizzare uno scorporo dei Musei più rilevanti dalle strutture alle quali sono attualmente assegnati. Una operazione che sembra legata alla prevista riduzione delle funzioni dirigenziali negli Archivi ma che sembra quasi artificiale nella sua mancata chiarezza di obiettivo.
 
La riforma dell’apparato periferico non riflette le  aspettative  che le stesse conclusioni della Commissione istituita allo scopo avevano creato, l’autonomia scientifica non viene supportata da una reale autonomia di spesa, nulla viene introdotto per sostanziare una autonomia organizzativa di Poli e Soprintendenze speciali molto limitata nei suoi modelli organizzativi, di indirizzo e gestione. E si connota come uno dei veri punti deboli di tutta la proposta di riforma.

Ponevamo ben altre speranze, anche alla luce delle conclusioni della Commissione tecnica, sul riequilibrio delle competenze sul territorio che limitasse il preponderante potere delle Direzioni Regionali, e rendesse autonoma la gestione della spesa da parte degli Uffici dirigenziali. Il Segretario Generale nella riunione che abbiamo avuto venerdì ha spiegato che la scelta di creare una unica stazione appaltante presso la D.R. è motivata dalla cattiva gestione della spesa che ha portato negli anni scorsi all’accumulo di una impressionante mole di residui non spesi. Tutto vero, ma tale accumulo si è determinato sulla base di una esclusiva gestione del bilancio derivato e sull’assenza di criteri seri di scelta e valutazione dei dirigenti. La scelta di accentrare la responsabilità della spesa ci pare invece esattamente un modo per non affrontare seriamente la questione, ovvero come si responsabilizza l’esercizio della funzione dirigenziale e come si interviene sulla disastrata linea amministrativa.
Ed abbiamo esempi di vera e propria prevaricazione amministrativa nel territorio per I quali la riforma non offre risposte significative, se non per la limitazione del potere di avocazione ai casi eccezionali (ma questo era preesistente) accompagnato dalla previsione di un consulto con la DG afferente e con il Segretariato Generale. In realtà andavano posti limiti ben precisi all’invadenza della sfera di autonomia dei dirigenti periferici, impedendo ad esempio, la possibilità di intervenire in continuazione con gestioni del personale esclusiviste tramite trasferimenti continui sul territorio operati senza il parere dei dirigenti preposti ai singoli uffici o la creazione di vere e proprie sovrastrutture organizzative, come, ad esempio il Polo Reale di Torino, non previste dai regolamenti di organizzazione.
In sostanza si ripropone uno schema da centralismo regionale accentuato, I cui risultati non hanno avuto, in questi anni di attività, alcun beneficio in ordine ad una ritrovata efficienza delle linee periferiche, se non per lo smaltimento dei residui di spesa (quelli che è stato possibile recuperare dalle varie tagliole derivanti dalle manovre di rientro dal debito), ma non certo per una ritrovata qualità della spesa e trasparenza nelle procedure.
Ribadiamo infine che nessun processo di riforma può avere successo se non vengono indicati I piani di riorganizzazione delle linee produttive, I reali fabbisogni occupazionali, la quantità e la qualità degli investimenti nei processi di innovazione tecnologica.
Su tutto questo chiediamo l’apertura immediata di un confronto e, di conseguenza, l’auspicabile sospensione dell’iter del provvedimento. In caso contrario permane la nostra netta contrarietà a questa riorganizzazione e valuteremo tutte le conseguenti iniziative.

Roma, 10 febbraio 2014

 
p. FP CGIL MIBACT
Claudio Meloni
 

 
 
 

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