Ricerca CENSIS – Salvare il sociale

02 Luglio 2015

Welfare: Ricerca CENSIS – Salvare il sociale

Nel mese di giugno, il
CENSIS ha organizzato quattro incontri sul temma del Sociale,
con il tema “Rivedere i fondamenti della società italiana”.
Lo scorso giorno 24, nell’ultimo incontro, sono stati
presentati alcuni dati di grandissimo interesse.
Il primo, ben
visibile nella Figura 1, sull’andamento del Fondo per le
politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse
aggiuntive agli enti locali e garantire l’offerta di servizi
per anziani, disabili, minori, famiglie in difficoltà. Le
risorse assegnate al Fondo sono passate da 1,6 miliardi di
euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a
soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli
ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014. In pratica si
è quasi arrivati all’annullamento, solo in minima parte
compensato, come mostrato dalle regioni (vedi
su questa pagina il 12.6.2015), dal finanziamento a
“nuovi” titoli più  specifici.

Un secondo elemento
di interesse riguarda la spesa aggregata da parte degli Enti
territoriali, Comuni in primo luogo.
La tabella 1 è già sufficiente. Con una media di spesa sociale
“nazionale” di 115,7 euro per abitante, a Trento si spendono
282 Euro, in Calabria 25,  con la gran
parte delle regioni del Centro-Nord che si colloca al di sopra
della media nazionale, il Sud che presenta una spesa media
pro-capite che ammonta a meno di un terzo (50,3 euro) di
quella del Nord-Est (159,4 euro). Inoltre nel Mezzogiorno è
maggiore il peso dei trasferimenti statali rispetto alle
risorse proprie, e i tagli ai trasferimenti statali hanno
avuto un impatto diretto sulla riduzione delle risorse
disponibili e quindi dei servizi destinati al sociale a
livello locale, ampliando il divario già profondo tra Nord e
Sud.
Il terzo punto
di riflessione riguarda il mondo del non profit.
Le istituzioni non profit nel nostro Paese sono più di 300.000
e vi operano 5,4 milioni di persone tra lavoratori e
volontari, con profondi divari, anche in questo caso, tra le
diverse aree del paese. Le associazioni non riconosciute sono
più di 200.000 (il 66,7% del totale), più di 68.000 sono
associazioni riconosciute (22,7%), le cooperative sociali sono
oltre 11.000 (3,7%), più di 6.000 le fondazioni (2,1%), oltre
14.000 sono istituzioni con altra forma giuridica (4,8%).
Grande rilieco rivestono, sul totale delle istituzioni non
profit, quelle impegnate nel settore sanitario e
nell’assistenza sociale. Sono 36.000 (rappresentano il 12% del
totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport
e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.
(Tabelle 3 e 4)
Tra le varie articolazioni del non profit le Cooperative
Sociali hanno assunto un garnde ruolo nel mercato del welfare
locale. Soffermiamoci sulle tabelle 6 e 7 e avremo modo di
verificare quanto sia cresciuta la quota di finanziamento
“proprio” nei settori della sanità e, ancora di più, in quello
dell’assistenza. D’altra parte rimane molto consistente è il
finanziamento pubblico delle attività non profit nel campo
sanitario, dell’assistenza sociale e della protezione civile:
13,5 miliardi di euro, pari al 63% del loro budget
complessivo. Queste cooperative sociali sono 5.600 e impiegano
225.000 addetti. E sono in forte crescita. Tra il 2001 e il
2014 si registra un incremento dell’11,8% del sistema
cooperativo nell’insieme, superiore all’incremento complessivo
delle imprese (+5,1%).
In sostanza, i dati economici
testimoniano di un rapporto strutturato tra servizi garantiti
dal privato sociale e finanziamento pubblico, che mostra come
essi rappresentino indubbiamente una parte sostanziale e non
accessoria del sistema di offerta socio sanitaria e socio
assistenziale nel nostro Paese.

Da ultimo facciamo nostra
una riflessione conclusiva del rapporto. dopo aver ricordato
che si
tratta di un mercato in cui il soggetto pubblico, con i bandi
e le gare di appalto, gioca un ruolo predominante. Lasciando aperto, però
un aspetto molto  problematico, legato a una sorta di
informalità diffusa, che rende possibile al soggetto pubblico
di trovare il mezzo per risparmiare sulle risorse allocate
innescando una concorrenza al ribasso tra le cooperative
sociali, senza l’adeguata attenzione alle differenze nelle
specializzazioni, nella competenza del personale impiegato,
nella qualità dei servizi resi.

Si tratta di fenomeni che conosciamo molto bene.

 

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