Tabelle di equiparazione e DM mobilità – Documento della CGIL, FPCGIL e FLC CGIL

29 Settembre 2015

Tabelle di equiparazione e DM mobilità – Documento della CGIL, FPCGIL e FLC CGIL

                                                                

  

 

  
E’ stato registrato alla Corte dei Conti il DPCM di “Definizione
delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai
contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del
personale non dirigenziale”; in altre parole il provvedimento con cui il
Governo dispone unilateralmente l’equiparazione tra i diversi livelli di
inquadramento dei lavoratori dei comparti pubblici, allo scopo di avviare
processi di mobilità da un comparto all’altro della Pubblica amministrazione,
nell’ottica di una presunta razionalizzazione degli apparati.

I trasferimenti potrebbero implicare uno spostamento fino a 50
chilometri dei lavoratori coinvolti nelle procedure di mobilità, ma- assicura
il provvedimento-  dovranno avvenire
“senza pregiudicare, rispetto al requisito del titolo di studio, le progressioni
di carriera acquisite”.

Invece non è così, e con il DPCM si mette mano ai processi di
mobilità senza aver valutato approfonditamente le molteplici implicazioni
giuridiche ed economiche che il passaggio lavorativo da un ministero a un
ospedale, da una provincia a un ente di ricerca, da una scuola a un Comune
comporta, in primis professionalità, riqualificazione e formazione che sono
aspetti fondamentali per affrontare con successo i percorsi di cambiamento.

Nelle tabelle è del tutto evidente la scelta del Governo di
ignorare le garanzie contrattuali attualmente esistenti sia per quanto riguarda
gli ordinamenti professionali che per le carriere.

Dalle tabelle non si evince, per esempio, alcuna possibile
mobilità dei lavoratori della Croce Rossa verso il SSN ed è evidente che la
collocazione in profili amministrativi anche di medici e operatori sanitari ne
snaturerebbe completamente la vocazione e la professionalità acquisita negli
anni.

Per
quanto riguarda il comparto scuola il DPCM e le annesse tabelle non precisano
che si tratta di mobilità “in uscita”, verso altre amministrazioni, e non certo
di mobilità “in entrata”. Le norme vigenti sul reclutamento di docenti,
personale educativo, personale Ata prevedono il possesso di requisiti
specifici, titoli di studio, piani di studio, abilitazioni professionali molto
precise per funzioni  finalizzate
all’erogazione del servizio scolastico sancito dalla Costituzione come diritto
fondamentale della persona. Queste norme sono richiamate sono in modo generico
all’art. 2 comma 1nel Dpcm.

Sempre dalla tabella 9 tutti i docenti della scuola primaria e
dell’infanzia sono inquadrati in Area II, anche se laureati. Questo non è
accettabile, considerato che il profilo docente è un profilo unico e da oltre
15 anni  per accedere all’insegnamento
nella scuola primaria e dell’infanzia è obbligatorio il possesso della Laurea.
Questa discriminazione tra laureati della scuola secondaria e laureati della
scuola del primo ciclo non ha più ragione di esistere neanche sotto il profilo
legislativo.

Nel comparto università in particolare per gli EP (Elevate
Professionalità), che hanno come requisito di accesso la laurea + la
specializzazione o abilitazione professionale (avvocati, architetti ecc.) ed
hanno mansioni assolutamente paragonabili ad esempio ai tecnologi degli Enti Pubblici
di Ricerca, la proposta di inquadramento in caso di mobilità è estremamente
penalizzante. Guardando agli altri comparti del Pubblico Impiego si nota come
nessuno possa essere inquadrato in EP ma come viceversa gli EP dell’ Università
possono essere inquadrati in tutti i comparti.

L’unico criterio seguito per la redazione delle tabelle di
equiparazione realizza un sistema di inquadramenti terribilmente penalizzante
per i lavoratori e discriminante, basato esclusivamente sulla retribuzione
tabellare; un criterio “al ribasso” che stabilisce un principio di risparmio
laddove sancisce la riassorbibilità dell’assegno ad personam per gli aumenti di
salario a qualsiasi titolo conseguiti successivamente e che lede i diritti
contrattuali acquisiti dai lavoratori, sia nell’inquadramento iniziale, sia
nella progressione di carriera legata all’anzianità. La generalizzazione degli
assegni riassorbibili nasconde un blocco contrattuale economico pluriennale.

Nell’Afam il criterio dell’equiparazione legata esclusivamente ad
aspetti economici produce un vulnus irreversibile pretendendo di comparare  musicisti scultori, registi ecc…ai
lavoratori con profilo amministrativo . Il vulnus aumenta laddove si propone la
separazione tra docenti di I E II fascia in base al titolo di studio. Si tratta
di una discriminazione totalmente priva di fondamento e lesiva sia dei diritti
soggettivi dei singoli lavoratori.

Nella premessa al DPCM si afferma che le posizioni stipendiali del
personale  della scuola e dell’AFAM sono
“definite per fasce di anzianità”, quindi non si indicano quadri di corrispondenza. Però alla tabella 9, poi,
non ci limita ad indicare solo l’Area di corrispondenza del comparto ministeri
(ovvero l’Area III, l’Area II o l’Area I) ma, illegittimamente, si fa riferimento
alla posizione stipendiale che, per tutti, è solo quella iniziale (ovvero la F1
o F2 rispettivamente).

Per
gli enti pubblici di ricerca l’equiparazione del collaboratore tecnico degli
enti di ricerca appare impropria dal punto di vista imprescindibile del profilo
professionale. La diminuzione retributiva prospettata è di tale impatto che per
un Cter V o IV livello in caso di passaggio ad altro comparto conserverebbe un
maturato economico talmente corposo, da impedire qualunque ulteriore incremento
per il futuro di natura contrattuale. Del resto le ragioni che escludono i
ricercatori e tecnologi per la loro specificità sono in buona misura le stesse
che giustificherebbero l’esclusione del personale tecnico, le cui peculiarità
professionali sono evidentemente ignorate dalla logica che ha costruito le
equiparazioni proposte.

All’incontro con il Ministro Madia la
Cgil aveva chiesto che fosse esplicitamente previsto l’esame congiunto con le
OO.SS. di tutti gli atti di inquadramento adottati dalle amministrazioni in
seguito al DPCM tabelle di equiparazione, ma il testo del decreto dimostra
tutta la mancanza di volontà degli interlocutori governativi ad aprirsi a
ragionamenti di merito che possano dare risposte concrete alle necessità e alle
istanze dei lavoratori soggetti a mobilità ed è per queste ragioni che la Cgil
ha dato mandato ai propri legali di   
procedere all’istruttoria per l’apertura di un possibile contenzioso sul
provvedimento.

Con la stessa visione limitata e gli stessi criteri “al ribasso” è
stato varato il DM per la mobilità dei lavoratori delle Province, del personale
di polizia provinciale e del personale della CRI, in attesa di visto dalla
Corte dei Conti.

In seguito al riordino previsto dalla Legge Del Rio i dipendenti
in soprannumero che dovranno trovare una collocazione presso le Regioni, i
Comuni, il Servizio Sanitario Nazionale o anche il Ministero della Giustizia e
quello delle Infrastrutture e dei Trasporti manterranno il trattamento
economico fondamentale e accessorio “limitatamente alle voci con carattere di
generalità e natura fissa e continuativa”.

Il
provvedimento contraddice la ratio della riforma Del Rio in quanto  viene
data priorità alle esigenze di riduzione degli organici degli enti provinciali
e delle città metropolitane, piuttosto che alle esigenze di continuità dei
servizi che possono essere mantenuti solo se si tiene in considerazione la
professionalità del personale interessato. Inoltre, rimane poco chiara la parte
in cui si parla dell’inquadramento dei dipendenti provinciali trasferiti in
mobilità per i quali non sembrerebbe scontato il mantenimento della
retribuzione  all’atto del trasferimento.

Questa
agghiacciante confusione normativa e mancanza di garanzie è frutto di tutte le
misure riduttive sulle risorse delle Province e, in particolare, del comma 418
della legge di stabilità per il 2015 ( L. 190/2014) che prevede una riduzione
della spesa corrente per le Province pari a 1 miliardo (1.180 milioni ) di euro
per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017. E’ evidente che
con un taglio delle risorse simile il Governo abbia dovuto derogare al
principio della legge Del Rio e stabilire che i trasferimenti di personale non
comportano trasferimento di risorse finanziarie.

Per
i dipendenti della CRI, poi, il DM prevede la mobilità unicamente verso le
funzioni centrali, escludendo in maniera esplicita la possibilità di
trasferimento sia verso il SSN che verso le Regioni, con la conseguente forte
perdita di professionalità di questi lavoratori e la grande penalizzazione che
ne subisce il servizio pubblico in termini di qualità. I dipendenti della CRI
sono esplicitamente esclusi dal contingente di 2000 unità in mobilità verso il
Ministero della Giustizia ex L.132/2015 e, con un’evidente disparità di
trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori, è sancita solo per loro la
non applicazione del meccanismo dell’assegno ad personam anche nel caso di
mobilità obbligatoria.

La proposta avanzata dalla Cgil va
nella direzione esattamente contraria a quella voluta dal Governo, frutto di
politiche miopi e discriminatorie e di continui tagli agli enti locali, e
prevede l’estensione a tutta la mobilità obbligatoria delle norme del comma 96
della Legge 56/2014 in modo da congelare i trattamenti economici in essere,
senza oneri per la finanza pubblica.

 

 

CGIL            FP CGIL            FLC CGIL

 
 
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