La Corte costituzionale con
la sentenza n. 133 depositata il 10 giugno 2016 ha dichiarato infondate le
questioni di incostituzionalità sul c.d. decreto legge Madia (convertito nella
legge n. 114 del 2014), che aveva disposto il divieto di trattenimento in servizio
per i dipendenti pubblici.
Le eccezioni erano state sollevate a proposito di alcuni
casi relativi a docenti universitari e avvocati dello Stato.
Per la generalità del pubblico impiego la possibilità
di rinviare la pensione ha avuto termine il 31 ottobre 2014, mentre una deroga
è stata concessa ai magistrati per i quali, pur con alcuni limiti, la scadenza
è fissata alla fine del 2016.
La Consulta ha rilevato che la norma che prevede l’eliminazione del
trattenimento in servizio si inserisce tra le misure volte a «favorire la più
razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici», come afferma la legge stessa,
e «costituisce – scrive la Corte, giustificando l’uso del decreto legge – un
primo intervento, peraltro puntuale e circoscritto, di un processo laborioso,
destinato a dipanarsi in un arco temporale più lungo, volto a realizzare il
ricambio generazionale nel settore».
La legge Madia, afferma la Consulta, si propone « di favorire politiche di ricambio
generazionale a fronte della crisi economica. Gli effetti positivi attesi
dall’abrogazione del trattenimento in servizio sono connessi alla necessità di
realizzare progressivi risparmi da cessazione che, in relazione al regime del
turn over, alimenterebbero le risorse utilizzabili per le nuove assunzioni».
La censura
di irragionevole disparità di trattamento è palesemente priva di fondamento
Richiamando precedenti sentenze, la Consulta
ribadisce che «il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto
dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età»,
posto che «il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di
accrescimento dell’efficienza organizzativa».