Com’era facilmente prevedibile, la prossima espulsione dal lavoro di decine di migliaia di precari del Pubblico Impiego inizia a preoccupare sia le Amministrazioni delle Regioni e degli Enti Locali, che dello Stato e delle Funzioni Centrali, per la tenuta dei servizi e delle attività, in particolare quelle rivolte direttamente ai singoli cittadini come ad es. le prestazioni del welfare locale, le attività mediche ed infermieristiche, i servizi educativi all’infanzia.
Sale quindi la richiesta d’indicazioni alla Funzione Pubblica per trovare il modo di dare continuità a quei servizi che oggi sono erogati da precari che presto dovranno andare via, grazie alle nuove disposizioni stabilite dalla legge 133/2008 sull’utilizzo del lavoro flessibile nelle Pubbliche Amministrazioni.
Ciò non fa altro che confermare la giustezza delle critiche avanzate dalla CGIL nei confronti delle misure restrittive adottate dal Governo sul lavoro pubblico, concepite sul presupposto che la Pubblica Amministrazione rappresenta un ingombrante costo che impedisce lo sviluppo piuttosto che una importante risorsa per il paese.
Un atteggiamento questo che ha determinato come conseguenza il taglio indiscriminato delle spese per fare cassa, trascurando le esigenze dei cittadini che, molto opportunamente, il precedente Governo aveva recepito nel Memorandum Governo-Sindacati rendendoli protagonisti dei processi di riorganizzazione e crescita delle attività; la mortificazione dei lavoratori pubblici ai quali in questo modo sono state sottratte risorse preziose che dovevano servire ad attivare processi formativi e di valorizzazione professionale nonché a per stabilizzare i precari.
Per queste ragioni riteniamo importante l’allegato parere del Dipartimento della Funzione Pubblica rilasciato all’ANCI per rispondere all’esigenza degli Enti Locali di garantire la continuità del servizio educativo e dei nidi, attraverso l’utilizzo del personale a tempo determinato inserito nelle graduatorie.
La risposta data all’ANCI dal Dipartimento della Funzione Pubblica, per sua stessa ammissione, è la dimostrazione che il problema della gestibilità dei servizi minacciati di chiusura per i motivi sopra esposti è oramai ineludibile e non può trovare risposte attraverso il comma 3 dell’art 36.
La soluzione indicata deve essere un’altra.
Purtroppo su quella fornita dal Dipartimento non possiamo che esprimere forti riserve e contrarietà perché non fa altro che perpetuare a vita la condizione di precarietà attraverso un’ escamotage giuridico che non risolve in alcun modo le problematiche gestionali legate al precariato delle amministrazioni pubbliche.
Infatti, la soluzione ideata riconduce il tema del tempo determinato, oggetto della richiesta di chiarimento da parte dell’ANCI, nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato nell’impresa normati dal dlgs 368/2001, così come modificato dall’art 21 della legge 133/2008.
Al riguardo si ricorda che su questa specifica disposizione pesa da tempo il forte giudizio critico da parte della CGIL; in particolare sul delicato tema della successione dei contratti che la norma in questione rimanda alla contrattazione territoriale e/o aziendale per il rinnovo dei medesimi, anche oltre i 36 mesi in alternativa alla stabilizzazione, in deroga a quanto disciplinato dai CCNL stravolgendo così l’attuale ordinamento giuslavoristico in tema di gerarchia delle fonti.
Segnaliamo inoltre, con questo parere, una nuova lettura del comma 3 dell’art 49 della 133 secondo cui il vincolo dei tre anni nei 5 anni opera solo nel caso in cui il lavoratore abbia avuto rapporti di lavoro flessibile di natura diversa con la medesima amministrazione; non in presenza di continuità della tipologia lavorativa per la quale, invece, si dovrà applicare la specifica disciplina contrattuale.
Per non parlare della pleonastica precisazione secondo la quale l’aver vinto un concorso pubblico per un nuovo contratto esaurisce l’eventuale limite massimo di 36 mesi raggiunti in precedenza presso la stessa amministrazione.
Come si vede le certezze di questo Governo iniziano a venir meno ai primi problemi sollevati riguardo l’applicazione dei recenti provvedimenti governativi sul lavoro pubblico; in particolare notiamo come la scelta di bloccare il processo di superamento del precariato abbia effetti pesanti sulla stessa funzionalità delle Pubbliche amministrazioni.
Se non si stabilizza e non si mantiene in servizio, è ovvio, il problema non è solo dei lavoratori ma anche delle amministrazioni .
Rispetto a questo modo di operare, la Cgil continuerà ad opporsi ed a battersi affinché vengano portate a termine le procedure di stabilizzazione avviate in precedenza ai sensi delle leggi 296/06 e 244/07 e che, in ogni caso, siano mantenuti in servizio i lavoratori ai quali sia stato riconosciuto il diritto alla stabilizzazione, fino alla definitiva assunzione per garantire la continuità dei servizi pubblici ed agli stessi una prospettiva di dignità nella propria vita le nel lavoro.
Con la riserva di ulteriori informazioni al riguardo.
p. Dipartimento Welfare-MdL – Gian Guido Santucci
Roma, 5 dicembre 2008
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OGGETTO: Art. 36, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 come modificato
dall’art. 49 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Applicazione della disposizione alle scuole
gestite dalle autonomie locali.
Si fa riferimento alla nota n. 973/CG/VN/IPR/AD/ml-08 del 3 settembre 2008 nella quale si rappresentano le difficoltà applicative della disposizione indicata in oggetto in relazione alle esigenze di copertura delle sezioni vacanti delle scuole di infanzia paritarie e degli Asili nido gestiti dagli Enti locali.
In particolare, la nuova formulazione dell’art. 36 del d.lgs n. 165 del 2001, come sostituito dall’art. 49 del d.l. n. 112 del 2008, prevede, al comma 3, che le amministrazioni non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio.
Il rispetto di detto limite comporta la necessità di subordinare il conferimento di un incarico di supplenza alla previa verifica che i tempi lavorati nel singolo ente dal possibile supplente, mediante il ricorso a più tipologie contrattuali, non raggiungano, cumulati complessivamente, il limite dei tre anni nel quinquennio.
Poiché il superamento del predetto limite potrebbe ricorrere in maniera diffusa, codesta Associazione paventa effetti negativi sulla continuità del servizio scolastico, che trova il suo fondamento nei diritti, costituzionalmente garantiti, all’educazione, all’istruzione ed allo studio (art. 33 e 34 della Costituzione), effetti negativi dovuti al rischio di non poter utilizzare il personale inserito nelle graduatorie.
A tutela dei predetti diritti la Circolare del 18 marzo 2008, n. 3, dello scrivente Dipartimento, che interveniva per dettare linee di indirizzo in merito alla stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in attuazione delle modifiche apportate all’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 dall’articolo 3, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), aveva, in via interpretativa, ritenuto che le scuole di infanzia paritarie e gli Asili nido gestiti dagli Enti locali potessero derogare alla rigida disciplina introdotta dalla novella all’art. 36 ed ispirarsi alla disciplina prevista per le scuole statali tenuto anche conto dei principi di cui al CCNL del comparto Regioni ed autonomie locali, sottoscritto il 14 settembre 2000, che dedica una particolare attenzione all’attività didattica ed educativa svolta dal predetto personale docente delle scuole materne e delle scuole gestite appunto dagli enti locali, nonché a quella svolta dal personale educativo degli asili nido.
La predetta soluzione interpretativa era finalizzata a superare la rigida disciplina antiprecariato introdotta dal previgente art. 36 che prevedeva, per il contratto a tempo determinato, una durata massima pari a 3 mesi; durata che, ovviamente, non si poteva conciliare con la frequente necessità di conferire incarichi di supplenza annuali e quindi con l’esigenza di una costante garanzia della continuità del servizio scolastico. Il limite massimo dei tre anni oggi previsto, invece, non confligge con il conferimento di supplenze annuali.
Ciò rappresentato occorre, tuttavia, puntualizzare alcuni aspetti fondamentali. Il limite previsto dal vigente art. 36, comma 3, del d.lgs. 165/2001, secondo cui le amministrazioni non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio, si applica solo nel caso in cui il soggetto sia stato utilizzato con più tipologie contrattuali di tipo flessibile diverse, ferma restando per la medesima tipologia di contratto la disciplina sulla durata prevista dalla normativa specifica.
In sostanza l’art. 36 non interviene per modificare con una disposizione speciale il regime previsto dalla legislazione ordinaria sulla durata del singolo contratto. La normativa dettata per ogni tipo di lavoro flessibile dovrebbe contenere già in sé le misure volte ad evitare l’abuso del tipo contrattuale.
L’art. 36 mira a colpire un altro fenomeno diffuso che è quello di ricorrere a diverse tipologie di lavoro flessibile per eludere i vincoli temporali previsti dalla normativa del singolo istituto contrattuale e continuare così a mantenere il rapporto di lavoro con il medesimo soggetto. Questo fenomeno è espressione di un ricorso patologico al lavoro flessibile perché un utilizzo costante e continuativo di un lavoratore è espressione non di un bisogno di carattere temporaneo ma piuttosto di un’esigenza avente altrettante caratteristiche di continuità e durata. Si tratterebbe in sostanza di utilizzare lavoro flessibile per un fabbisogno ordinario e permanente che, come noto, non è ammesso in quanto a detto tipo di fabbisogno occorre far fronte esclusivamente con assunzioni a tempo indeterminato, per evitare oltretutto un’elusione della disciplina in materia di vincoli al regime assunzionale a tempo indeterminato.
Le supplenze scolastiche vengono conferite mediante contratti di lavoro a tempo determinato. Trattandosi di una stessa tipologia di contratto è inappropriato, per quanto riguarda la durata, il richiamo al predetto art. 36, comma 3, che riguarda il cumulo di periodi riferiti a contratti diversi.
E’ invece corretto fare riferimento al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 in materia di successione di contratti a tempo determinato (art. 5) e di esclusioni e disciplina specifica (art. 10).
Il nuovo testo dell’art. 36, infatti, a differenza di quello previgente che dettava una normativa del tutto speciale per le amministrazioni pubbliche, riconduce ora il regime del tempo determinato alla legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e quindi appunto al citato d.lgs. 368/2001.
L’art. 5, comma 4-bis, dello stesso decreto legislativo, comma aggiunto dal comma 40 dell’art. 1, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 e poi modificato dall’art. 21, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, prevede che, ferma restando la disciplina della successione di contratti e “fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto”.
Si aggiunge inoltre che l’art. 10 del predetto d.lgs 368/2001 prevede esclusioni e discipline specifiche senza dare indicazioni rispetto al settore scolastico che possano consentire di individuare deroghe ex lege.
Rimane da verificare se la richiesta di codesta Associazione di un’interpretazione volta a superare il limite massimo dei 3 anni per il contratto a tempo determinato, per rispondere alle peculiarità del servizio scolastico, possa trovare una soluzione favorevole nelle previsioni contenute nei “contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” come indicato anche dal
citato articolo 5, comma 4-bis, del d.lgs. 368/2001.
In tal senso non sono di aiuto le disposizioni dettate in materia dal CCNL per il personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali successivo a quello dell’1.4.1999, sottoscritto il 14 settembre 2000 che, per quanto riguarda il personale delle scuole, sull’applicazione dell’istituto delle supplenze, rinvia alla disciplina dell’art 7, comma 3, dello stesso contratto, che a sua volta rinvia agli art. 35 e 36 del d.lg. 165/2001 e quindi alla disciplina prevista in materia di assunzioni e di forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa.
Nella sostanza i Contratti collettivi in materia di personale scolastico non prevedono eccezioni rispetto alla durata massima di 36 mesi dei contratti a tempo determinato prescritta dal d.lgs. 368/2001 né si può giungere in via interpretativa al superamento del predetto limite, fissato per evitare l’abuso del lavoro flessibile e quindi forme di precariato tra l’altro tipiche anche del settore scuola.
Laddove non sia possibile ricorrere ad altra assunzione, la necessità di garantire la continuità del servizio scolastico mediante conferimento di supplenza annuale, potrà essere valutata come motivazione atta a consentire agli enti locali di stipulare un ulteriore successivo contratto a termine per una sola volta.
Quanto sopra conferma che il regime restrittivo fissato per tutti i lavoratori, anche del settore privato, può essere superato con gli strumenti indicati dall’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs 368/2001, ovvero da un intervento in sede di contrattazione collettiva oppure ricorrendo per una sola volta alla stipula del contratto presso la direzione provinciale del lavoro con le modalità indicate dalla norma stessa.
Si aggiunge infine che il limite massimo dei 36 mesi va riferito ad ogni singola procedura di concorso pubblico e quindi va conteggiato separatamente per ogni graduatoria concorsuale. Ogni procedura di reclutamento a tempo determinato, nel rigoroso rispetto della normativa di cui all’art. 35 del d.lgs. 165/2001, rispondendo ad un fabbisogno temporaneo di volta in volta nuovo, è assimilabile al caso di mansioni non equivalenti ed azzera, pertanto, i periodi di contratto di lavoro flessibile precedentemente stipulati con la stessa amministrazione. Detta lettura della norma risulta coerente anche con l’art. 51 della Costituzione.
Il Capo Dipartimento
Antonio Naddeo