La libertà è terapeutica, a 40 anni dalla legge Basaglia

13 Maggio 2018

Il 13 maggio del 1978 entrava in vigore la legge 180 che portò alla chiusura dei manicomi in Italia. Ripercorriamo questi anni e guardiamo alle prospettive attraverso la voce degli operatori della salute mentale e l’impegno della categoria.

La libertà è terapeutica. Parole che fanno estrema sintesi di ciò che ha rappresentato la ‘rivoluzione’ determinata dalla legge 180. Sono passati 40 anni. Era il 13 maggio 1978, il giorno in cui, dopo anni di lotte, entrò in vigore la Legge Basaglia che portò alla chiusura dei manicomi in Italia, cancellando per questa via l’impostazione repressiva della psichiatria. A 40 anni dalla sua approvazione è tempo di bilanci e di individuare il giusto processo celebrativo di una legge unica e rivoluzionaria riflettendo, anche attraverso il contributo degli operatori sul campo, sulle prospettive, sul come perseguire obiettivi di miglioramento, perché la legge trovi la sua piena applicazione.


Un po’ di storia

Siamo nel 1978, l’anno della morte di Aldo Moro e di Peppino Impastato, ma anche l’anno di grandi avanzamenti sul fronte dei diritti civili e sociali, attraverso l’approvazione della legge 833 che istituì il Servizio Sanitario nazionale, della legge 194 per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza e, infine, della legge 180.
Sembrano tempi così lontani. Si percepisce quasi una distanza etica, civile, oltre che temporale. Eppure, prima dell’approvazione della Basaglia, i cosiddetti “matti”, in Italia, venivano rinchiusi dentro i manicomi e subivano trattamenti restrittivi, inumani, che li privavano di ogni identità. Fantasmi, tutti uguali, all’interno di strutture isolate dal resto del mondo, come a rimarcare l’assenza di qualsiasi identità, di qualsiasi cittadinanza. È stata proprio la visione di questi corpi privi di ogni vitalità e personalità, simili l’uno all’altro nella totale assenza di qualsiasi caratterizzazione personale, a spingere Basaglia a perseguire la strada della chiusura dei manicomi.
Così come i malati, anche gli operatori per anni hanno dovuto lavorare in luoghi isolati dal resto della città, con la frustrazione di non poter mettere in atto ciò che sapevano fare: prendersi cura. Il ruolo del personale dei manicomi era infatti più di controllo che di cura. Un modus operandi che sviliva la loro professionalità, semplici atti di forza che non mettevano nessuna competenza in campo.
E il 13 maggio 1978 finalmente la legge entrò in vigore, seppure con i suoi tempi di applicazione, che si sono prolungati fino al 2000, anno della chiusura dell’ultimo manicomio del nostro paese.


Bilancio e prospettive, la voce degli operatori

Per riflettere sulla legge Basaglia abbiamo intervistato degli operator perché ci indicassero la via da perseguire per dare continuità alla rivoluzione targata Basaglia. Tra questi, Andrea Filippi, psichiatra e segretario nazionale della Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn: “Bisogna fare in modo che la malattia mentale non produca più cronicità, bisogna puntare sulla promozione della salute e sulla prevenzione – afferma Filippi -. Le risorse disponibili, già carenti, sono destinate per l’87% all’assistenza dei cronici e sono invece scarsissime quelle destinate al prevenire la patologia ed evitare, per questa via, la cronicizzazione della malattia”. La linea indicata da Filippi è quindi quella di “produrre salute mentale nella cittadinanza a livello preventivo”.

Il tema della carenza di risorse disponibili, umane ed economiche, torna anche nelle parole di Massimo Cozza, direttore del Dipartimento salute mentale della Asl Roma 2, che, sul fronte della salute mentale, rileva come ci sia una rete molto radicata in tutto il paese ma sulla quale incidono delle criticità. “Quella maggiore a livello nazionale – spiega Cozza – è la carenza di personale. Mancano circa 9 mila operatori. Una carenza importante visto che nel segmento della salute mentale comunitaria, nata dopo la 180, la relazione umana è quella fondamentale”. Per Cozza servono quindi “maggiori investimenti in un settore che ad oggi registra un costo pari al 3,5% sul Fondo sanitario nazionale, lontano dalla cifra minima individuata del 5%”. Un primo passo sarebbe quello di promuovere una nuova conferenza nazionale sulla salute mentale, l’ultima è quella del 2001, “per rinnovare gli impegni e attuare i principi ancora validi della legge 180”.

Dalla sua esperienza nel sud Carlo Minervini, direttore dell’Unità operativa di salute mentale Mesagne e San Pancrazio dell’Asl di Brindisi, sottolinea con forza il ‘tradimento’ che ha subito la Basaglia. A distanza di quarant’anni, infatti, afferma, “non c’è nulla da celebrare. La 180 è stata tradita, soprattutto nel secondo ventennio, perché non si è fatta una vera deistituzionalizzazione, al contrario i servizi nati con la legge sono sempre meno aperti”, in ragione dello scarso investimento nel settore. Ed è per questo che sottolinea il bisogno di ripartire dai principi della legge e dalla consapevolezza di quello stesso processo storico: “Voglio che legge 180 abbia ancora vita, riprendendone i principi. Ed è per questo che non voglio celebrarla ma voglio applicarla”.

Dal lavoro in Emilia Romagna, invece, Pietro Pellegrini, direttore del Dipartimento assistenziale integrato salute mentale dell’Ausl di Parma, sottolinea invece il valore terapeutico della ‘comunità’. “Per la realizzazione della 180 – osserva Pellegrini – occorrono non soltanto adeguate risorse per i dipartimenti della salute mentale ma che il tema della salute mentale, della persona, si veda nella comunità”. La salute mentale diventa quindi un compito dell’intera comunità e dell’insieme delle persone che la costituiscono. “Certo i dipartimenti hanno bisogno di adeguate risorse ma deve essere tutta la comunità nel suo insieme a dare maggiore possibilità di realizzazione dei diritti di cittadinanza, dal lavoro alla casa”.

Infine, chiudiamo con Trieste, luogo simbolo della Basaglia. “C’è un tema di risorse, c’è un tema di migliorare e realizzare i Lea e c’è un tema legato ai percorsi”, afferma Roberto Mezzina, direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste. “Non possiamo più ragionare solo sulle strutture da realizzare, dobbiamo invece farlo sui percorsi che il cittadino può compiere perché possa trovare risposte ai suoi bisogni, che non sono solo quelli del paziente ma del suo nucleo familiare, del territorio che lo circonda, del contesto sociale allargato”. Dall’esperienza maturata in luogo simbolico, qual è Trieste nel percorso della Basaglia, Mezzina spiega: “Fare salute mentale è una sfida per tutti. Torniamo perciò sul tema dei servizi ma rilanciamo la battaglia culturale: la salute mentale è di tutti”.


Risorse e occupazione, i dati della salute mentale

In occasione del 40° anniversario dalla legge Basaglia siamo in grado di scattare una fotografia dei servizi sanitari per la salute mentale grazie ai dati forniti dal Rapporto sulla Salute mentale in Italia del 2016 (RSM 2016) del Ministero della Salute.
Sono circa 2 milioni le persone che presentano disturbi psichiatrici in Italia. A queste vanno aggiunti più di 4 milioni di persone a rischio di disturbi ansiosi e/o depressivi, secondo gli ultimi dati Istat disponibili. Oltre 6 milioni complessivi. Di questi sono 807.035 le persone seguite dai servizi di salute mentale. Le prestazioni erogate, invece, sono pari a 11.860.073. Dunque si effettuano circa 15 prestazioni a utente richiedente. I posti letto previsti sono invece circa 10 ogni 100 mila abitanti (maggiorenni).
Per quanto riguarda i dipendenti, invece, sono 31.586 gli operatori che si occupano di salute mentale, in un rapporto di circa 62 dipendenti ogni 100 mila abitanti, a fronte dello standard – fissato da Progetto obiettivo 1999 – di circa 67 dipendenti ogni 100 mila abitanti, ovvero uno ogni 1.500.
Infine, per quanto riguarda la spesa per i servizi di salute mentale, è previsto che essa sia pari al 5% della spesa totale del Sistema sanitario nazionale. In Italia, invece, si riserva alla salute mentale appena il 3,5% della spesa complessiva.


L’impegno Fp Cgil, tenere insieme diritti delle persone e di chi lavora

Non una semplice celebrazione. A 40 anni dall’approvazione della legge Basaglia che portò alla chiusura dei manicomi, il nostro impegno si rinnova per garantire il diritto alla salute mentale su tutto il territorio nazionale. Molto è stato fatto in questi quarant’anni di ‘rivoluzione’, grazie ad una legge, la 180, che ha letteralmente ‘aperto le porte’, offrendo un contributo fondamentale alla democrazia e alle libertà nel nostro paese.
Qui c’è il valore della legge: nella sua spinta liberatrice e nell’idea di società che include, accoglie e soccorre, in cui ogni essere umano ha piena cittadinanza. Quel diritto di cittadinanza che ci ha sempre mosso, come è stato ad esempio nel corso degli ultimi anni con la mobilitazione per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e da ultimo con la campagna ‘e tu slegalo subito’ per l’abolizione della contenzione nei luoghi della cura.
Ed è lungo questo insegnamento, nel tenere insieme i diritti delle persone, dei cittadini, e quelli di chi lavora, che da sempre contrastiamo le politiche restrittive nei confronti del servizio sanitario nazionale e del sistema di welfare.
I servizi territoriali sono in sofferenza, a fronte di una malintesa idea di sostenibilità del sistema sanitario che di fatto procede alla definanziazione del sistema stesso. Così come sul fronte dell’occupazione, subiamo una carenza di personale pari a circa 9 mila operatori nel segmento della salute mentale. Eppure la cura passa per la relazione umana perché ‘il malato, prima di tutto, è una persona e come tale deve essere considerata’. C’è bisogno di nuova attenzione, di una nuova battaglia culturale sul tema della salute mentale, specie perché il modo più giusto per ricordare Basaglia è rinnovare l’impegno per dimostrare che “l’impossibile può diventare possibile.

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