Decreto Salvini, 6 mesi dopo tabula rasa del sistema accoglienza

06 Aprile 2019

A 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto, sono 18mila gli operatori a perdere il lavoro

Sono passati 6 mesi dal momento in cui il decreto sicurezza – anche detto decreto Salvini – è entrato in vigore, lo scorso ottobre 2018. Una nuova misura i cui punti cardine ruotano attorno al tema dell’immigrazione e della sicurezza pubblica. Accostamento di temi discutibile ma nient’affatto casuale. L’intervento del ministro Salvini sull’immigrazione, e quindi su tutto il sistema dell’accoglienza, è stato piuttosto massiccio, ha determinato la chiusura di diversi centri di accoglienza, drasticamente diminuito il numero delle ore di lavoro dedicate ai servizi e ridotto da 35 a circa 21 euro lordi pro capite la spesa per l’accoglienza di ciascun migrante al giorno.

Ospiti, lavoratori ed esuberi. I numeri.

Ma cosa è cambiato concretamente in questi sei mesi? E come è cambiata la rete dell’accoglienza? Vediamolo coi numeri alla mano. Cominciamo col dire che attualmente in Italia ci sono circa 131mila ospiti, lo 0,27% della popolazione residente, secondi i dati forniti da UNHCR. Nel 2017, con il decreto Minniti, i lavoratori impegnati nel sistema accoglienza, in rapporto al numero di ospiti, era di meno di un terzo, ovvero circa 40 mila operatori, tra Cara, Cas e Sprar. Secondo una stima della Fp Cgil, ad oggi, con l’attuazione del decreto Salvini, circa il 40% di questi lavoratori rischia il posto di lavoro, a seguito della riduzione delle ore di lavoro da dedicare al sistema accoglienza, prevista dal decreto stesso. Circa 18mila operatori che perderanno il posto nei prossimi mesi: medici, infermieri, mediatori culturali, insegnanti, psicologi e avvocati, molti dei quali giovani sotto i 35 anni di età. Se così fosse il rapporto tra numero di operatori e numero di ospiti arriverebbe ad essere di 1 a 8. Gli esuberi in corso sono già tantissimi, in alcuni casi hanno svuotato anche le strutture più ampie. È il caso, ad esempio, di Auxilium, a Castelnuovo di Porto, con 194 esuberi; o di Medihospes, una realtà che ha già subito 350 esuberi in ben 12 regioni; infine c’è il Progetto Arca, che ha subito 118 esuberi a Milano, Varese e Lecco. Queste sono solo alcune delle realtà più grandi e quindi più evidenti che sono state investite dal cambiamento portato dal decreto sicurezza, ma insieme a queste ci sono tante medio-piccole realtà che vivono le stesse condizioni. Da un monitoraggio svolto nei territori risultano essere circa 5mila i lavoratori già interessati da procedure di esubero. Un duro colpo per l’occupazione e per tutte queste persone messe alla porta da un giorno all’altro, indipendentemente dalla propria professionalità e dedizione.

 

 

Centri di accoglienza: come cambiano i servizi, dalle figure coinvolte al numero di ore.

Per capire la reale portata del cambiamento in corso, proviamo ad indagare come sono cambiati dal 2017-2018 ad oggi i numeri di un centro di accoglienza di medie dimensioni, con un bacino che va dai 151 ai 300 posti per ospiti. Per cominciare, il numero di operatori previsto durante il giorno è passato dagli 8 ai 2. Da 3 a 1 invece cala il numero di operatori notturni. Uno per 300 ospiti. Ma anche le figure più delicate e rilevanti hanno subito un drastico taglio in quanto a numero di ore lavorate. Ad esempio, con il decreto Minniti era prevista nei centri di accoglienza una presenza costante di infermieri, 24 ore su 24. Ora è prevista una presenza di sole 6 ore al giorno. I medici invece passano dalle 24 ore al giorno alle 24 a settimana, gli assistenti sociali dalle 36 ore a settimana alle 20 e i mediatori linguistici addirittura da 108 ore a settimana a sole 24. Sono state invece del tutto abolite le ore dedicate all’insegnamento della lingua e al sostegno. Insomma, una riduzione dei servizi nei centri di accoglienza di un quarto, nei casi più fortunati.

 

 

“Con le sue scelte il governo sta buttando fuori circa 18mila lavoratori – fa sapere la Fp Cgil -. Persone che, oltre a perdere il lavoro, non godono neanche di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, non previsti per i loro profili. È necessario individuare per loro percorsi di riqualificazione e ricollocazione nel sistema dei servizi e introdurre misure di sostegno al reddito”. Una misura utile nell’immediato ma non esaustiva, precisa il sindacato. “Va ridefinito l’intero sistema immigrazione con la costruzione di una politica dell’integrazione che elimini le tensioni sociali”. Il modello Sprar, secondo la Fp Cgil, è quello che maggiormente ha dato risposte di integrazione e inclusione. “Dovremmo sostenerlo e ampliarlo”, conclude.
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