Vivere e lavorare in carcere: si può #StareBeneDentro?

21 Ottobre 2020

La Fp Cgil lancia una campagna per gli uomini e le donne della polizia penitenziaria. Una serie di proposte consegnate alla politica: dai casi di suicidio al problema della genitorialità, fino al divario tra uomini e donne, ecco i principali punti da cambiare

 

Il carcere, una realtà tra le più complesse, per chi vi “risiede” e per chi ci lavora trascorrendo diverse ore al giorno. Un ambiente spesso aggressivo, trascurato e ai limiti della sicurezza. Non è un caso che aumenti progressivamente, anno dopo anno, il numero dei suicidi di agenti di polizia penitenziaria insieme al numero di aggressioni. Basti pensare che nel solo 2020 siamo già arrivati a sei casi di suicidio. Un fenomeno in spaventosa crescita.

Ma cos’è che non funziona nel carcere oggi? Cosa rende difficile la permanenza e le ore di lavoro negli istituti penitenziari? La Fp Cgil lo ha chiesto agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria di tutta Italia, ha visitato carceri, ha ascoltato esperienze dirette e testimonianze. E ha ricostruito tutto quello che manca nel sistema, o almeno una parte.

Oggi nelle carceri alcuni diritti basilari, che si direbbero acquisiti, al contrario mancano completamente. Non concessioni, ma veri e propri elementi di civiltà. Per questo la Funzione pubblica lancia la campagna #StareBeneDentro, una campagna fatta di proposte per migliorare la realtà delle carceri. Proposte consegnate a Bernardo Petralia, capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. “È arrivato il momento di chiedere alla politica una risposta, che sia chiara, che sia netta. È un fenomeno che non può più essere ignorato o messo in secondo piano”, commenta il sindacato.

Ma cosa manca nel carcere? Cosa rende le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria così difficile? Ecco una carrellata di alcuni punti.

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