Lettera a ‘La Repubblica’: Perché lo sciopero del 9 dicembre è per il paese e non contro

25 Novembre 2020

A seguire il testo della lettera unitaria inviata al direttore de ‘La Repubblica’ in merito all’intervento pubblicato dal quotidiano a firma di Tito Boeri e Stefano Perotti

Perché lo sciopero del 9 dicembre è per il paese e non contro

Caro Direttore,
Abbiamo letto l’intervento di Boeri e Perotti che si schierano nella filiera di chi fomenta rancore nei confronti della categoria dei dipendenti pubblici. Alcuni nostri chiarimenti sono però d’obbligo, perché tutti possano formarsi un’opinione.
Lo sciopero del 9 dicembre è per rivendicare più assunzioni, garantire maggiore sicurezza per i lavoratori dei servizi pubblici (mancano, ad esempio, ancora guanti in sanità mentre le educatrici dei nidi chiedono mascherine Ffp2) e sì anche per il rinnovo di un contratto scaduto da due anni.
Parliamo di un contratto che riguarda oltre 3,2 milioni di lavoratrici e lavoratori, ed è per questo che sono in stato di agitazione tutti i comparti pubblici: Funzioni Centrali, Locali e Sanità.
Da Boeri e Perotti – che vivendo in una condizione di privilegio forse sono troppo distanti dalla difficile realtà dei lavoratori dipendenti – ci aspetteremmo un po’ meno qualunquismo e un po’ più di competenza.
Non sono gli “statali” a scioperare ma tutti i pubblici, e lo fanno per chiedere maggiori investimenti, per il loro salario e per innovare la Pa.
Il 4% di incremento citato da Boeri e Perotti è la base per tutti, tiene insieme cioè il magistrato e il cancelliere, il prefetto e il poliziotto, il dirigente e l’educatore, l’operatore sanitario, l’infermiere e il tecnico di radiologia ma anche il direttore generale di un grande ente pubblico.
Una media del pollo che falsa l’esito: il governo ha stanziato risorse che nella forbice della diseguaglianza del nostro sistema di contrattazione non produce i 107 euro stimati da alcuni ma, ad esempio, circa 70 euro, al netto dell’indennità di vacanza contrattuale, per quegli operatori sanitari che stanno affrontando la pandemia e con il rischio di perdere altri 19 euro (per un lavoratore inquadrato in D in sanità) di retribuzione se non si procede a stabilizzare l’elemento perequativo, ovvero quella misura che colmò il divario nel 2018 di chi non raggiungeva aumenti pari a 85 euro medi mensili lordi dopo dieci anni di blocco della contrattazione.
I 400 milioni previsti dalla manovra, in sostanza, andranno in larga parte alla dirigenza e, ad esempio, non ci consentiranno di fare la riforma del sistema di classificazione del personale.
Non vogliamo perdere la scommessa del miglioramento della Pa, chiediamo per questo di aprire un confronto (al momento negato) per poter affrontare questi e altri nodi.
Si potrebbe ragionare di premiare chi in questi mesi ha dato un contributo importante per la gestione dell’emergenza, costruendo maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse. Quello che non è giustificabile è contrapporre diritti e lavoratori.
Togliere qualcosa ad un dipendente pubblico che guadagna poco più di mille euro non aiuta il precario che ne guadagna un po’ meno.
Il problema è assumere i precari, avere salari dignitosi tutti, pubblici e privati, far ripartire l’economia e contrastare l’emergenza sanitaria con più sicurezza.
Il governo è il nostro datore di lavoro e, da quando gli abbiamo inviato le piattaforme per il rinnovo dei contratti, non ha mai avviato il confronto sul rinnovo.
Questa è l’ultima legge di Bilancio che può intervenire, a normativa vigente nel settore pubblico, sul triennio contrattuale.
Allora serve il dialogo. Se non ora quando?

I segretari generali:

Fp Cgil – Sorrentino
Cisl Fp – Petriccioli
Uil Fpl – Librandi
Uil Pa – Turco

 

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