Smart working nei settori pubblici: a che punto siamo?

05 Febbraio 2021

È quasi un anno che lo smart working è entrato prepotentemente nella vita dei lavoratori, per adesso il bilancio non è straordinariamente positivo.
Come Fp Cgil abbiamo sempre sostenuto che lo smart working usato come strumento emergenziale in pandemia fosse una misura necessaria ma profondamente da modificare una volta trasformato a regime come modalità di esecuzione del lavoro da remoto nelle pubbliche amministrazioni.
Non è solo un problema di performance individuale bensì un problema che rimanda all’organizzazione del lavoro.
Non è un caso, infatti, che le Amministrazioni non siano state in grado di rispettare la scadenza di presentazione dei Pola (Piani organizzativi lavoro agile) previste per lo scorso 31 gennaio e che difatti sono state prorogate fino al 30 aprile 2021 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 23 del 29 gennaio 2021 decreto 20 gennaio 2021).
Vengono di fatto confermate le modalità organizzative, i criteri e i principi in materia di flessibilità del lavoro pubblico ma le difficoltà emerse già nella fase di prima sperimentazione e messa a regime nella seconda fase di pandemia non trovano ancora risposta, né tantomeno si affrontano i nodi relativi alla qualità, regolazione e riconoscimento del lavoro attraverso la contrattazione.
Ricordiamo che nei Pola ciascuna Amministrazione dovrà prevedere la possibilità di collocare in modalità lavorativa agile almeno il 60% dei dipendenti per le attività che possono essere svolte in smart working, mentre nel caso non lo adotti dovrà garantire l’applicazione del lavoro agile almeno al 30% dei lavoratori “ove lo richiedano”. In entrambe le ipotesi resta ferma la volontarietà dell’adesione a tale strumento da parte dei lavoratori.
Lo smart working ha cambiato il modo di lavorare dei dipendenti ma non sempre ha modificato i modelli organizzativi delle amministrazioni che sembrano in attesa che tutto torni come prima.
Di fronte alla sfida della digitalizzazione e innovazione prevista dal PNRR e ai dati forniti dal Dipartimento di Funzione Pubblica si ha la conferma che senza un serio investimento nella formazione e nella riforma della pubblica amministrazione, la sola introduzione del lavoro agile non può rappresentare l’unico elemento di cambiamento.
Digitalizzare il lavoro nella pubblica amministrazione non vuol dire automaticamente rendere maggiormente accessibili i servizi per i cittadini né più aperta e trasparente l’attività amministrativa.
Dallo studio pubblicato dal dipartimento di Funzione Pubblica, il 70% delle amministrazioni dichiara che il principale vantaggio derivante dall’adozione del lavoro agile è l’aumento nelle competenze digitali dei dipendenti. Così come le stesse amministrazioni ritengono un vantaggio i risparmi derivanti dal lavoro da remoto, non preoccupandosi degli effettivi esiti e di strutturare programmi di formazione e sostegno agli smart worker.
Tra i dati messi a disposizione dal Dipartimento, tuttavia, non c’è il numero complessivo di quanti siano i lavoratori in tutta la Pa, ad oggi, coinvolti dallo smart working, né tantomeno un’analisi della diversa condizione nelle quali si trovano a riorganizzare l’attività da remoto le amministrazioni centrali e quelle locali e tutte le altre amministrazioni, dalla sicurezza alla sanità, che seppur in piccola parte ne hanno fatto ricorso e che hanno bisogno di strumenti e risorse per rendere efficace la riconversione del lavoro da presenza a remoto e viceversa.
Da tempo avevamo avanzato alcuni punti sui quali concentrare l’azione regolativa attraverso la contrattazione a partire dall’individuazione delle attività e le fasi di lavorazione che possono essere svolte da remoto e che devono essere individuate attraverso gli strumenti della partecipazione sindacale e delle rappresentanze dei lavoratori, sia a livello centrale sia a livello di posto di lavoro; dalla definizione delle platee di lavoratrici e lavoratori a cui dare priorità poiché lavorare da remoto è anche un’opportunità per conciliare il lavoro con particolari condizioni individuali: lavoratori “fragili”, titolari di legge 104, lavoratrici in gravidanza ed ulteriori criteri di priorità come ad esempio la tutela della genitorialità o l’abbattimento dell’impatto ambientale degli spostamenti da/per i luoghi di lavoro a forte conurbazione; normare attraverso la contrattazione il diritto alla disconnessione per il lavoratore e una organizzazione del lavoro in Smart Working che individui, dove necessario, le fasce orarie di contattabilità in virtù della tipologia di lavoro svolto; un confronto sul tema della strumentazione che le amministrazioni dovranno progressivamente fornire ai lavoratori in Smart Working la necessaria dotazione informatica hardware e software, colmando quella sperequazione fotografata ad oggi tra amministrazioni ricche che hanno fornito i device ai dipendenti e quelle che non hanno potuto far altro che imporre ai dipendenti l’utilizzo di risorse proprie; alla necessità di una formazione continua dei dipendenti pubblici che li aiuti nella transizione tecnologica e aumenti le competenze diffuse in modo sistematico e non scaricandole sui percorsi di autoformazione troppo spesso delegati alla buona volontà dei singoli o alla lungimiranza di qualche dirigente.
Riteniamo che debba essere normata per via contrattuale la casistica relativa a giornate in cui si renda necessaria una prestazione “mista” (giornate lavorate parzialmente in ufficio e in parte in modalità agile) in modo da garantire al lavoratore il pieno riconoscimento del lavoro svolto e prevedere un adeguato preavviso nel caso in cui il datore di lavoro richieda la presenza in ufficio per parte della giornata prevista da remoto; nonché una definizione contrattuale omogenea degli istituti previsti dai CCNL vigenti che vedono il lavoratori trattato con un doppio regime: nel giorno in presenza con la regolazione contrattuale, il giorno in smart working con la regolazione normativa.
Diritti dei lavoratori e servizi ai cittadini non possono poggiarsi sulla inadeguatezza organizzativa delle amministrazioni e sull’incertezza regolativa che sta creando caos, disfunzioni, e rischia di compromettere l’efficacia del ricorso al lavoro agile come strumento di una parte di innovazione della pubblica amministrazione.
Ci auguriamo che questo possa essere uno dei temi di confronto che si affronti al più presto con Governo, Regioni e Autonomie Locali insieme a quei necessari processi riformatori, tra cui la riforma del sistema di classificazione professionale, delle pubbliche amministrazioni che sono precondizione per vincere la scommessa dell’innovazione e di un sistema pubblico più rispondente ai bisogni del Paese.

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