Webinar ETUC – PICUM – CARITAS sulla regolarizzazione dei Migranti Irregolari

31 Marzo 2021

Webinar ETUC – PICUM – CARITAS sulla regolarizzazione dei Migranti Irregolari
(29 Marzo 2021)
Il webinar, organizzato dalla PICUM (Piattaforma per la Cooperazione Internazionale sui
Migranti Irregolari), ha raggruppato esperti di varie identità politiche al fine di stimolare il
dibattito sulla regolarizzazione dei migranti irregolari nel nuovo contesto COVID.
Sono intervenuti, nell’ordine: Shanon Pfohman (Caritas Europe), Neil O’Boyle (MRCI
Irlanda), Albert Kraler (Danube University), Gian Luca Castaldi (Caritas IT), Claudia
Pereira (Segretario di Stato per le politiche migratorie del Portogallo), Elisabet Puigdollers
(B&J’s), Ludovic Voet (ETUC) e Monica Alfaro (DG HOME EC).
I relatori hanno auspicato un prossimo cambio di paradigma nella gestione dei migranti
economici (es). Le NU stanno vagliando vari schemi di regolarizzazione e, dopo anni di
silenzio nel dibattito pubblico (A.Kraler), si sta riaccendendo in diversi paesi europei una
rinnovata sensibilità sull’argomento (S.Pfohman, come nel caso belga o svedese).
In numeri (A.Kraler), il fenomeno riguarda circa 4.8 milioni di persone in tutta Europa, un
numero incrementato tra il 2014 e il 2017 dopo un decennio di decrescita (tra il 2002 e il
2008 il loro numero era sceso da 5.3 milioni a 3.3 milioni).
La questione non riguarda solo la sicurezza interna, ma anche l’economia sommersa (S.
Pfohman) e il caporalato (G.Castaldi). Prendendo il Case Study Irlandese (N.O’Boyle), su
un campione di 1.000 persone irregolari, ben il 93% di esso ha un impiego; il 75% riporta
inoltre di risiedere nel paese da più di 5 anni ed occupare il medesimo posto di lavoro negli
ultimi 3. Si tratta per il 70% di individui ricompresi in un range anagrafico di 25-44 anni,
a maggioranza femminile (59%, per 1/3 dalle Filippine). Tuttavia, il 26% di essi riceve una
paga al di sotto del salario minimo e il 46% lavora più di 40 ore alla settimana.
La condizione di irregolare (sans papier/undocumented) incide non solo nell’impotenza di
fronte a condizioni di lavoro illegali e indecorose, ma anche sulla vita personale. Gli
“irregolari” non possono infatti denunciare un crimine, né avere accesso alle cure sanitarie
o alla sicurezza sociale, senza mettere a rischio la propria permanenza. Eppure, secondo
la Migrants’ Right Center Irlandese, la regolarizzazione permetterebbe un maggiore gettito
fiscale al paese ospitante, un maggior controllo sul lavoro sottopagato, una spinta ai
consumi interni e al prodotto interno (per effetto di un reddito superiore conseguibile da
questi individui).
Negli scorsi anni sono stati regolarizzati ben 3.5 milioni di essi (S.Pfohman), grazie in
particolare ai programmi di regolarizzazione, anche temporanea, italiano e portoghese.
L’esperimento portoghese (C.Pereira) ha preso piede a causa della pandemia di marzo
2020. L’emanazione di un decreto di regolarizzazione temporanea ha permesso l’emissione
di migliaia di codici fiscali (social security numbers n.d.r.), e la proroga delle scadenze di
documenti e permessi temporanei. Sono stati quindi resi accessibili servizi fondamentali
come quelli sanitari e di sicurezza sociale, ed ha avuto un grande impatto sociale.
Secondo studi dell’Università del Danubio (A.Kraler), gli argomenti maggiormente diffusi
contro la regolarizzazione sono quelli che rispondo alla logica preventiva: secondo
l’opinione pubblica, remunerare condotte ad oggi criminali con la regolarizzazione
minerebbe la certezza e lo stato di diritto, non sarebbe fiscalmente sostenibile e
discriminerebbe quei migranti che tentano di entrare regolarmente. Sarebbe poi un segnale di attrazione maggiore per ulteriori migrazioni non controllate (il così detto “pull-factor”,
una teoria in circolazione dagli anni 70’). In effetti, quando un gruppo di lavoro informale
della Commissione Europea presentò una proposta al riguardo, attorno al 2008, fu
rigettata all’unanimità dagli Stati Membri proprio perché, pretesamente, avrebbe mandato
un messaggio sbagliato all’opinione pubblica.
Eppure, queste obiezioni non sono sembrate suffragate dai dati a tutti i relatori intervenuti.
La regolarizzazione è consentita dal Diritto dell’Unione in base al patto del 2008
sull’immigrazione e l’asilo e alla Direttiva Rientri (Directive 2008/115/EC). La
differenziazione fra regolari e irregolari è alquanto labile (S.Pfohman) e risiede in
mutamenti legislativi (spesso contradditori e non sistematici) o la presenza di un rapporto
di lavoro regolare.
I relatori hanno quindi concordato sulla necessità di rimodulare gli schemi continentali
(sul punto è pendente una procedura di revisione legislativa eu) al fine di ridisegnarli su
criteri trasparenti, stabili ma soprattutto realistici (S.Pfohman), basati cioè su richieste
documentali ragionevoli e su procedure online sicure ed economiche (N.O’Boyle), che
allarghino quanto più possibile la platea regolarizzabile. Parallelamente (L.Voet) è
necessario rafforzare l’ispettorato del lavoro, e lavorare a piattaforme sindacali contro il
lavoro in nero.

Andrea Mosca, Membro del Yoth network di Epsu

X
Questo sito usa i cookie per offrirti la migliore esperienza possibile. Procedendo con la navigazione sul sito o scrollando la pagina, accetti implicitamente l'utilizzo dei cookie sul tuo dispositivo. Informativa sull'utilizzo dei cookie Accetto