Dirigenza Penitenziaria: Audizione Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

22 Luglio 2021

Alla Commissione Parlamentare
di inchiesta sul fenomeno delle mafie
e

sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Audizione 21 luglio 2021

Rappresentanti sindacali della Dirigenza Penitenziaria in tema di gestione dei regimi carcerari ex art 4 bis e ex art 41 bis dell’ordinamento penitenziario

Si ringrazia questa Commissione per avere valutato utile il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali della dirigenza penitenziaria nelle audizioni sul tema della gestione dei detenuti appartenenti ad associazioni di stampo mafioso e terroristico ristrette negli istituti penitenziari italiani.

Giova in primo luogo segnalare che l’Ordinamento penitenziario sin dal 1975 ha assegnato al Direttore d’istituto il ruolo di garanzia di attuazione del dettato costituzionale.

Da allora ad oggi il direttore dell’istituto penitenziario è chiamato ad assicurare la necessaria sintesi tra le esigenze di sicurezza e quelle trattamentali.

Responsabile in via diretta di tutte le attività che si svolgono in carcere anche quelle nelle quali ha un ristretto margine di autonomia. Sul punto rappresentiamo quanto segue:

  1. La carenza di organico .

La pianta organica della Dirigenza penitenziari prevede 300 unità. Con i percorsi di pensionamento alla fine dell’anno in corso saranno 240 i dirigenti con una carenza di organico pari a 60 unità. Il 40% degli istituti penitenziari del territorio nazionale è sprovvisto di un direttore titolare.

Tra questi anche istituti dove sono ubicate le sezioni detentive destinate ai detenuti in regime di 41 bis .

Segnalo al riguardo l’Istituto di Bancali (SS) dove c’è la dirigente in missione che è titolare dell’istituto di Nuoro sede anche di sezione ex art. 41 bis e anche incaricata dell’istituto di Mamone. L’attuale consistenza degli organici è il risultato di 20 anni di assenza di concorsi dedicati (l’ultima immissione in ruolo risale al 1997).

Allo stato sono circa 80 i posti di funzione mancanti (direttori e vice direttori) ed il programmato concorso per 46 posti da dirigente penitenziario non soddisferà le carenze organiche che, fino alla sua conclusione con l’immissione in ruolo dei vincitori, aumenteranno per via dei progressivi trattamenti di quiescenza.

I dirigenti penitenziari, responsabili per legge della sicurezza dell’istituto, della gestione amministrativa contabile (sono anche funzionari delegati), della sicurezza dei luoghi di lavoro (a norma della legge 81/2008), rappresentanti di parte pubblica nelle contrattazioni sindacali decentrate e responsabili della gestione del personale, sono i presidenti dell’equipe di osservazione e trattamento, responsabili delle linee d’indirizzo delle azioni trattamentali e rieducative da realizzare nei confronti della popolazione detenuta, delle cui sorti restano sempre e comunque responsabili anche per le conseguenze di decisioni non direttamente a loro imputabili.

Tutto questo senza tutela legale né assicurativa per l’esposizione a rischio legato alle responsabilità professionali che la legge attribuisce. Perché alla dirigenza penitenziaria riformata con la legge Meduri del 2005 e con il decreto legislativo del 2006 che ne ha declinato i contenuti dell’ordinamento professionale, non ha fatto seguito il contratto. E questa mancata definizione ha lasciato i dirigenti in un limbo operativo che nonostante le disposizioni di legge ordinaria, hanno di fatto indebolito il ruolo della dirigenza a fronte di una aumento esponenziale di responsabilità attribuite ope legis ma non riconosciute e disciplinate anche ai fine di prevedere le tutele.

La disciplina contrattuale deve essere realizzata come prima azione nel programma di riordino dell’amministrazione ed in parallelo con una riorganizzazione degli istituti penitenziari finalizzata ad istituire e disciplinare la figura e le competenze dei direttori delle diverse aree operative di cui si compone la struttura organizzativa di ogni istituto penitenziario (amministrativa , contabile, trattamentale e della sicurezza).

  1. La riforma dell’organizzazione

Il carcere rappresenta la cartina tornasole della complessità della società odierna. La complessità dell’utenza la fragilità psicologica oggi presente anche in numerosi detenuti dei circuiti di Alta sicurezza e di alcuni quelli ristretti in regime speciale di 41 bis testimonia un mutamento del paradigma criminale. Alcuni di questi detenuti che un tempo si definivano “uomini d’onore” oggi fanno i conti con loro personali fragilità e disagio psichico anche in ragione della lunga permanenza in isolamento.

Cambia il profilo sociale e criminale dei detenuti e l’amministrazione penitenziaria deve farsi trovare pronta aggiornata e l’aggiornamento si può fare solo investendo sul capitale umano. Dove per “capitale umano” non ci riferiamo solo alla Polizia penitenziaria ma a tutte le componenti professionali che operano all’interno degli istituti penitenziari perché in carcere, molto di più che in altri luoghi, si può lavorare bene SOLO se si realizza un clima di collaborazione e coordinamento positivi con tutte le diverse componenti professionali che fanno capo all’amministrazione penitenziaria ma anche con i servizi sanitari che lo ricordiamo sono responsabili della tutela della salute dei detenuti.

I principi della legge 354 del 1975, tutti ancora attuali, individuano chiaramente i diritti che devono essere garantiti alle persone ristrette e lle procedure da adottare perché questi diritti possano essere esercitati legittimamente, perché possano essere facilmente accessibili e fruibili da tutti i detenuti.

Per anni la politica ha voluto considerare il carcere una realtà residuale ordinaria da disciplinare alla stregua di altri assetti organizzativi della P.A . Pur facendo parte del Ministero della Giustizia noi non possiamo essere considerati come i dirigenti delle cancellerie dei tribunali che hanno si un loro ambito di responsabilità ma certamente inferiore e meno variegato di quello di un dirigente penitenziario.

Lo stesso vale per i funzionari giuridico pedagogici ( oggi considerati alla stregua dei funzionari degli uffici giudiziari) quando invece il loro lavoro quali operatori del trattamento deve essere oggi declinato attraverso un ripensamento del loro ordinamento professionale che preveda anche il ruolo di direttore di area trattamentale , titolato ad assumere decisioni e a coordinare quel gruppo di operatori ( compresi insegnati e volontari) incaricati di programmare le attività trattamentali , il lavoro, l’istruzione.

Accanto a loro occorre prevedere l’istituzione e l’ingresso in carcere di nuove figure professionali in grado di accompagnare percorsi trattamentali per coadiuvare la gestione dei detenuti in carcere (penso ai mediatori non solo per facilitare la comunicazione con i detenuti stranieri, ma a figure professionali esperte nel lavoro di comunità in grado di coadiuvare il lavoro degli operatori del trattamento facilitando la comunicazione tra la popolazione detenuta e tutto il personale compresa la polizia penitenziaria).

All’ indomani della riforma del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria( DM del 2015) che ha visto la migrazione dell’ Ufficio e dei servizi territoriali dell’Esecuzione penale esterna nel nuovo Dipartimento della Giustizia minorile e di comunita’, gli assistenti sociali incaricate delle inchieste familiari (indispensabili per finalizzare le relazioni dell’equipe e per stabilire la possibile fruizione di misure premiali ed alternative) hanno diminuito sensibilmente la loro presenza negli istituti di pena e nonostante il recente aumento di organico (circa 300 unità) il loro impiego prioritario è orientato alla predisposizione delle relazioni per la concessione dei provvedimenti di messa alla prova emanati direttamente dall’ autorità giudiziaria nel corso del procedimento penale.

La loro assenza all’interno del carcere, viene percepita dai detenuti come una causa che concorre nel ritardare l’accesso alle misure premiali e alle misure alternative e quindi concorre ad amplificare le tensioni che poi si riversano nelle relazioni quotidiane con i compagni di detenzione e con il personale di sorveglianza.

Una realtà organizzativa complessa dove in questi ultimi anni si è proceduto con l’andatura del gambero un passo avanti e tre indietro. Si sono rincorse le istanze securitarie dimenticando i diritti dei detenuti ma anche quelli dei lavoratori. E’ mancato un serio approfondimento delle conseguenze che possono inficiare l’equilibrio psico fisico degli operatori e quindi è mancata una programmazione di interventi per prevenire il disagio da stress da lavoro correlato.

Alla mancanza di risorse umane si è sopperito con turni di lavoro di 12/14 ore al giorno e dove infine a produrre l’effetto tzunami è arrivato un evento imprevedibile quale è stato quello della pandemia.

In questo anno e mezzo, il carcere non ha potuto più beneficiare della presenza dei volontari , che rivestono un ruolo importantissimo nella gestione quotidiana delle attività trattamentali, così come dei corsi di scuola media superiore e i percorsi universitari che sono proseguiti solo negli istituti dove è stato possibile realizzare la didattica a distanza sulla base della disponibilità dei presidi didattici dei territori di riferimento.

Le carenze di organico esistenti cui si è fatto cenno sopra e che riguardano in pari misura tutte le figure professionali, il rischio di contagio , i contagi e le quarantene hanno prodotto enormi vuoti organizzativi che nell’emergenza non è stato facile colmare. E soprattutto alle carenze organizzative gestionali non si può solo sopperire con la presenza della polizia penitenziaria che NON può essere lasciata sola nella gestione quotidiana. La polizia penitenziaria è parte di un sistema organizzativo quello dell’esecuzione penale dove la componete sicurezza è SOLO una parte dell’intero sistema fatto di altre componenti come bene ci indica la nostra Costituzione.

  1. Il regime speciale e i circuiti di Alta sicurezza

Ci viene chiesto da questa autorevole Commissione di riferire in tema di criticità della gestione dei regimi del 4 bis e del 41 bis O:P.

Riteniamo utile in primo luogo sottolineare che le previsioni di cui all’art. 4 bis non definiscono un regime , bensì definiscono per alcuni autori di reati condizioni che non consentono agli stessi di potere accedere ai benefici premiali e alle misure alternative previsti dall’ordinamento. L’art 4 bis prevede inoltre alcune limitazioni sul numero delle telefonate e dei colloqui.

Dalla previsione di cui al 4 bis o.p. non discende alcun regime. Se l’autorevole Commissione fa riferimento alle sezioni di alta sicurezza (AS1- AS2-AS3) che sono state introdotte all’interno dell’ organizzazione del sistema penitenziario allora la definizione corretta è quella dei circuiti.

Con l’espressione “circuito penitenziario” ci si riferisce ad una entità di natura logistica, rappresentata da un insieme di camere di pernottamento ed ambienti comuni ai quali sono destinati particolari tipologie di detenuti, selezionati in primo luogo in base al titolo detentivo. Il circuito implica, dunque, diversi livelli di sicurezza e di trattamento a seconda della categoria di soggetti lì ristretti.

Gli obiettivi trattamentali della pena, impongono di scongiurare le influenze reciproche negative tra gli stessi detenuti, sicché le categorizzazioni di cui sopra sono parametrate a criteri generali di sicurezza e prevenzione e si concretizzano con la realizzazione dei circuiti penitenziari, originariamente distinti in alta sicurezza, media sicurezza e custodia attenuata. E nell’ambito dell’alta sicurezza con disposizioni amministrative si è proceduto alla creazione di tre diversi circuiti dove vengono assegnati i detenuti in ragione del titolo del reato per il quale sono arrestati o per il quale scontano una pena.

A questa autorevole Commissione riferiamo che complessivamente nei nostri 190 istituti penitenziai sono ristretti circa 10.000 detenuti assegnati ai circuiti di alta sicurezza. in questo numero consideriamo anche i 756 detenuti in regime di 41 bis.

L’art 41 bis O.P., definisce invece un regime penitenziario diverso da quelli applicati agli altri detenuti e che è stato realizzato come tutti ben sappiamo per rispondere alla primaria esigenza di interrompere, recidere i flussi di comunicazione con l’esterno che l’esperienza ci ha insegnato che rappresentano la linfa vitale delle organizzazioni criminali.

Pertanto con il termine regime si fa riferimento ad un insieme di regole di vita penitenziaria che, pur senza incidere sulla qualità e quantità della pena, derogano – anche per rilevanti profili – alle norme “che regolano la vita quotidiana all’interno degli istituti” e a quelle che disciplinano il trattamento della generalità dei detenuti. Nel rispetto del principio di legalità, la sottoposizione ad uno speciale regime, vista la sua natura derogatoria della disciplina penitenziaria ordinaria, può essere disposta dall’Autorità amministrativa soltanto nei casi e nei modi indicati dalla legge e avverso tali provvedimenti è possibile proporre reclamo in sede giurisdizionale.

Le difficoltà di gestione assumono toni meno drammatici in questi contesti organizzativi dedicati alla gestione di questa tipologia di detenuti se lo compariamo alla gestione del disagio che invece e’ necessario gestire nelle sezioni dedicate ai detenuti di media sicurezza e che rappresentano circa l’ 85% della popolazione detenuta attualemente presente in carcere.

Il regime del 41bis O:P si avvale del proficuo supporto del personale del GRUPPO OPERATIVO MOBILE sul quale questa Commissione già possiede ogni utile informazione e valutazione. Operatori di polizia penitenziaria selezionati, addestrati e formati per questa specialità operativa che come tutti sapete è unica sia in Europa che nel mondo. Posto che solo l’ITALIA per le sue peculiari vicende storiche e sociali ha introdotto nel sistema legislativo dell’esecuzione penale, il regime del 41 bis.

Questa peculiarità ci viene puntualmente contestata e per questo è fatta oggetto di costante monitoraggio dagli organismi nazionali di garanzia (istituiti all’indomani della ratifica del protocollo opzionale della Convenzione ONU contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti). Ci riferiamo qui all’ organismo del Garante nazionale istituito con dleg.tivo del dicembre 2013 e convertito in legge nel febbraio del 2014. Ma anche al Comitato per la Prevenzione della Tortura, organo del Consiglio d’Europa che visita annualmente gli istituti penitenziari ed i luoghi di detenzione con l’obiettivo di verificare e monitorare il trattamento riservato alle persone private della libertà presso le istituzioni degli Stati ( 47) che hanno firmato la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti.

Questo sistema rappresenta una importante garanzia per le istituzioni penitenziarie italiane. Il ruolo di questi organismi insieme al ruolo che svolge la magistratura di sorveglianza – sia nella sua composizione monocratica che collegiale – rappresenta un costante stimolo alla riflessione, alla revisione di procedure e regole. Si tratta di un confronto davvero utile e costruttivo che mantiene alta l’attenzione di tutti gli operatori circa la fruizione dei diritti e delle condizioni logistiche in cui questi detenuti possono esercitarli.

Il sistema di garanzie anche giurisdizionali introdotte nel nostro Ordinamento per tutelare i diritti dei detenuti ha aperto un nuovo ambito di competenza per il direttore dell’istituto penitenziario che deve impegnarsi anche nella produzione di memorie scritte a difesa dell’Amministrazione penitenziaria chiamata in giudizio. Il dirigente penitenziario agisce un ruolo attivo nella difesa delle scelte operate dall’Amministrazione penitenziaria.

I margini di discrezionalità circa la gestione dei detenuti in regime speciale è molto ridotta in quanto e’ il Dipartimento che decide e dispone in materia.

Puo’ anche accadere che il dirigente direttore dell’istituto penitenziario, chiamato ad eleborare note difensive in nome e per conto dell’Ammnistrazione penitenziaria, sia poi anche individuato dal Magistrato di sorveglianza come commissario ad acta per dare attuazione al dispositivo dell’ordinanza emanata all’esito del ricorso presentato dal detenuto. Quindi il dirigente penitenziario si trova ad agire quale organo di garanzia su disposizione del magistrato spesso per dare esecuzione ad un provvedimento per il quale aveva motivato parere opposto al suo accoglimento.

Le sezioni di 41bis non sono tutte uguali cosi’ come sono diverse tra loro tutte le 190 strutture penitenziarie del nostro territorio nazionale. Ciascuna conserva proprie caratteristiche connesse alle scelte architettoniche risalenti agli anni della sua costruzione. Dette scelte possono non corrispondere agli standard attualmente richiesti. Modificare tali assetti non è semplice in ragione dei tempi necessari per gli adeguamenti strutturali ( dalla progettazione alla realizzazione) e per la disponibilita’ dei fondi. In questo contetso le 12 sezioni destinate ad ospitare i detenuti in 41 bis non fanno eccezione.

Spesso al dirigente penitenziario vengono contestate condizioni strutturali di detenzione sulle quali purtroppo non esiste sufficiente autonomia decisionale e gestionale.

La programmazione finanziaria che il dirigente propone annualmente viene poi valutata dal Provveditore regionale che trasmette il programma finanziario per l’intera regione alla sede centrale del Dipartimento responsabile della programmazione finanziaria a livello nazionale e quindi anche delle scelte relative alla programmazione e relativo finanziamento delle manutenzioni straordinarie e di nuove costruzioni. Questo per affermare che la struttura organizzativa si muove su diversi livelli di responsabilità e con diverse colorazioni della responsabilità stessa. Ma il dirigente penitenziario in sede locale deve rispondere anche di questo agli organi della magistratura.

In questi giorni di particolare complessità abbiamo ascoltato le parole della Ministra della Giustizia Cartabia e quelle del Presidente del Consiglio Draghi. Emerge chiara l’intenzione di dare corso ad una riforma ordinamentale.

Lo afferma da lungo tempo anche la nostra Organizzazione sindacale e in ogni occasione possibile che ci è stata data lo abbiamo non solo detto ma anche rappresentato in forma scritta proponendo anche le possibili soluzioni e offrendo la piena disponibilità a fornire il nostro contributo.

L’Ordinamento penitenziario rimane una legge moderna che risponde appieno alle esigenze di tutela dei diritti delle persone detenute. L’Ordinamento penitenziario va realizzato e per realizzarlo occorrono risorse umane e finanziarie ed un piano di programmazione corente per i prossimi 5- 10 anni (almeno) che non venga stravolto dall’ alternanza della leadership politica al governo del nostro paese.

Nell’ordinamento penitenziario vanno ora aggiunte previsioni normative che amplino le condizioni per l’accesso alle misure sostitutive ed alternative alla pena detentiva al fine di ridurre la presenza di detenuti in carcere, soprattutto dei detenuti della media sicurezza condannati e con residuo pena inferiore ai 5 anni. Questo a tutto vantaggio di un sistema penitenziario che possa davvero dedicarsi alla gestione, in sicurezza, dei percorsi trattamentali di coloro i quali hanno commesso gravi reati e che devono scontare lunghe pene detentive. Questo consentirebbe di curare con maggiore attenzione i detenuti ristretti nei circuiti di alta sicurezza che oggi invece con la carenza di personale, anche del trattamento, non possono essere seguiti con la necessaria attenzione.

In questo caso, l’osservazione del loro comportamento potrebbe davvero essere puntuale costante e consentire interventi mirati, anche tentando di ingaggiare le loro famiglie e ponendo in essere interventi di concerto con i servizi sociali dei territori di riferimento.

La qualità dell’azione penitenziaria di recupero sociale può essere innalzata e fornire i risultati attesi solo e nel caso in cui si disponga di strumenti adeguati.

A questo proposito e concludendo sul tema della criticità gestionali nell’ambito dell’alta sicurezza si potrebbe valutare di definire per legge e non per disposizione organizzativa, la connotazione dell’alta sicurezza per parlare quindi di regime di alta sicurezza e quindi di dare maggiore definizione ed una disciplina giuridica ( non più amministrativa) ai profili di pericolosità sociale stabiliti all’atto dell’ingresso in istituto sulla base del titolo del reato per il quale si è accusati ovvero condannati. Livelli di pericolosita’ valutati all’atto dell’ingresso in carcere , rivalutati al momento della condanna a pena detentiva passata in giudicato anche sulla base del comportamento serbato in carcere in ossequio al principio del trattamento individualizzato stabilito dal nostro ordinamento penitenziario.

Il percorso di permanenza in un determinato regime ( graduato per livelli di pericolosita’penitenziaria) non dovrebbe basarsi solo sulle informazioni delle AG e delle FFOO , ma anche e soprattutto sul lavoro dell’equipe di osservazione e trattamento (ad organico aumentato) che possa – come previsto gia’ dall’ordinamento penitenziario – costruire un percorso trattamentale ( di studio , lavoro, attività ricreative , incontri con il proprio nucleo familiare) che accompagni il detenuto per tutta la durata della pena e che preveda anche permessi premio e infine la fruizione di misure alternative dove il livello del regime di sicurezza si attenuerebbe consentendo una progressione nel percorso trattamentale in ragione dei risultati positivi via via raggiunti .

Nella Mia esperienza professionale di direttore di carcere, mi sono occupata di alta sicurezza quasi in via esclusiva e so, perché ho sperimentato, che il cambiamento è possibile …non e’ scontato ma e’ possibile perche’ molti detenuti ( 40%) hanno davvero il desiderio di cambiare vita; mentre per il restante 60% esiste il bisogno di una maggiore spinta motivazionale di coraggio e di fiducia in un sistema paese in grado di non condannare SOLO e sempre ma di offrire opportunità di riparazione e di ri-nascita.

Per facilitare tutto questo lo ripetiamo è necessario investire nelle risorse umane qualificate che siano in grado di rappresentare la multidisciplinarità professionale che per i percorsi trattamentali è una esigenza imprescindibile, necessaria per declinare in unica soluzione la funzione trattamentale in sicurezza e la tutela dei diritti ed il rispetto delle persone.

Grazie per la vostra attenzione!

La coordinatrice nazionale

FP CGIL Dirigenza penitenziaria
Carla Ciavarella

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