Polizia Penitenziaria – Nota al Sottosegretario Delmastro Delle Vedove sulla promozione alla qualifica di “sostituto commissario” del personale maschile del Corpo di polizia penitenziaria – decorrenza 1° gennaio 2022. – scrutinio per merito comparativo a ruolo chiuso a 58 posti ruolo maschile.

09 Agosto 2023

Al Sottosegretario alla Giustizia
On.le Andre DELMASTRO DELLE
VEDOVE
ROMA

e, per conoscenza;

Al Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Pres. Giovanni RUSSO
ROMA

Al Vice Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Pres. Lina DI DOMENICO
ROMA

Al Direttore Generale
del Personale e delle Risorse
Dott. Massimo PARISI
ROMA

All’Ufficio Relazioni Sindacali
con il Pubblico del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Dott.ssa Ida DEL GROSSO
R O M A

OGGETTO: Promozione alla qualifica di “sostituto commissario” del personale maschile del Corpo di polizia penitenziaria – decorrenza 1° gennaio 2022. – scrutinio per merito comparativo a ruolo chiuso a 58 posti ruolo maschile.

Preg.mo Sottosegretario,
la scrivente Organizzazione Sindacale, in riferimento alla nota del 10.7.2023, informativa n. 0020674.U del 18 gennaio 2023, con la quale il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha comunicato l’esito dello scrutinio per merito comparativo, a ruolo chiuso, a 58 posti ruolo maschile per la promozione alla qualifica di “Sostituto Commissario” della Polizia Penitenziaria, con decorrenza 1° gennaio 2022, la scrivente O.S., con il presente atto intende richiedere, in sede di autotutela, l’annullamento di tale atto, per violazione di diritti costituzionalmente garantiti, per contrarietà alle norme di Legge relative alla parità di genere ed alle pari opportunità.
Ed infatti l’atto di cui si tratta verrebbe a ledere la pari opportunità di carriera per uomini e donne appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria per il ruolo degli Ispettori, ruolo che non prevede un contatto diretto con i detenuti e non presentano quindi problemi legati al genere, non prevedendo necessariamente il lavoro in sezione.
La qualifica in questione, infatti, è relativa ad un ruolo di coordinamento, per cui limitare la partecipazione allo scrutinio suddetto solo al personale maschile appare atto estremamente ed ingiustificatamente discriminatorio.
E’ del tutto evidente che la pari opportunità di progressione in carriera per il personale di Polizia penitenziaria deve essere salvaguardata, come diritto costituzionalmente garantito, non riguardando semplicemente la carriera, comunque importante per chi lavora, ma anche ciò che questo rappresenta, ovvero il fondamentale diritto di essere in grado di partecipare alle scelte
del proprio futuro e a quello della propria comunità, senza vincoli legati al genere.
Va poi rilevato che la istituzione del ruolo direttivo della Polizia penitenziaria non prevede alcuna ripartizione tra ruolo maschile e ruolo femminile, tant’è che il pubblico concorso di accesso è unico, non prevedendo alcuna ripartizione tra uomini e donne.
All’esito del corso di formazione iniziale, i vice commissari sono destinati agli incarichi secondo un meccanismo uniforme.
Per quanto riguarda il ruolo degli ispettori, l’impiego del personale femminile avviene anche nelle sezioni maschili e viceversa.
In sintesi, per i ruoli apicali, e le funzioni di comandante di reparto, tale diversificazione di impiego non è prevista.
Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, peraltro, opera sia il generale principio di eguaglianza “senza distinzione di sesso”, proclamato dall’art. 3, primo comma, Cost., sia il principio di eguaglianza nel lavoro, che è quello espresso dall’art. 37, primo comma, Cost., laddove proclama che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”: da ciò discende un generale divieto di discriminazione di genere, arricchito da un generale obbligo di protezione della “essenziale funzione familiare” e di madre della donna lavoratrice (art. 37, primo comma, Cost.).
Questo apparato di tutele raggiunge una maggiore incisività grazie alle disposizioni contenute nella legislazione ordinaria e, in particolare, nel Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs. 198\2006), che si connota altresì per un’ampia e dettagliata formulazione del divieto di discriminazione di genere.
Il datore di lavoro, pertanto, sia pubblico che privato, ha dunque l’obbligo di rispettare il principio generale di uguaglianza fra i sessi nella costituzione, nello svolgimento e nella cessazione del rapporto di lavoro, con il conseguente divieto di ogni forma di discriminazione, sia essa diretta o indiretta, ai sensi dell’art. 25 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna.
In particolare, si è in presenza di discriminazione diretta quando, per ragioni legate al sesso, un lavoratore subisce un pregiudizio o viene trattato in modo meno favorevole rispetto ad un altro che si trovi in una situazione analoga; la discriminazione indiretta viene, invece, integrata ogni qualvolta sia adottato un comportamento, una prassi o un patto apparentemente neutri che mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso, a meno che si tratti di requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa.
In tale ambito, di recente, la L. 162\2021 è intervenuta, modificando l’art. 25 del D. Lgs.198\2006 ed introducendo importanti specificazioni sulle discriminazioni.
In particolare, con riferimento alle discriminazioni dirette, tra le fattispecie discriminatorie vengono ora espressamente nominate anche le condotte tenute nei confronti delle candidate e dei candidati in fase di selezione del personale, che producano effetti pregiudizievoli discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso, come nel caso di specie.
In particolare, il Codice delle Pari Opportunità sanziona espressamente colui che vìola il divieto vìola il divieto di discriminazione retributiva (art. 28) ed il divieto di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera (art. 29).
D’altro canto, il lavoratore, a fronte delle condotte discriminatorie di genere può accedere anche alla apposita tutela giudiziale, sia in forma individuale che collettiva.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 38 del D. Lgs. 198\2006, qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei divieti innanzi indicati, il lavoratore o, per sua delega le OO.SS. o il Consigliere di parità, può ricorrere al Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, per tutelare i propri diritti ed ottenere un decreto immediatamente esecutivo che intimi, all’autore della discriminazione, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti da esso derivati.
L’art. 37 si occupa, invece, della legittimazione processuale a tutela di più soggetti e prevede che, laddove le Consigliere o i Consiglieri di Parità regionali e/o nazionali (a seconda della rilevanza territoriale del caso), rilevino l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori o lavoratrici lesi dalle discriminazioni, prima di promuovere l’azione giudiziale, possono chiedere all’autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, entro un termine non superiore a 120 giorni.
In alternativa, l’ordine di adottare un piano di rimozione delle discriminazioni può essere irrogato dal Giudice competente a seguito di ricorso proposto dal Consigliere, anche d’urgenza.
Giova, tra l’altro, ricordare che prima degli interventi legislativi sopra evidenziati, in materia di parità di trattamento dei lavoratori, la normativa di riferimento era costituita dagli artt. 15 e 16 dello Statuto dei Lavoratori. In particolare, l’art. 15 prevede la nullità di qualsiasi atto o patto diretto ai fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.
L’art. 16, comma 1, dispone il divieto di concessione di trattamenti economici di maggior favore, aventi carattere discriminatorio, ex art. 15.
È evidente che tutta la normativa attuale è orientata ad impedire che un qualsiasi elemento differenziale dell’identità personale, fisica o psicologica della persona che lavora o che è in cerca di lavoro possa determinare il realizzarsi di pregiudizi o discriminazioni che limitino le opportunità, il talento umano, lo sviluppo della persona e la sua professionalità.
In definitiva si chiede di voler annullare il detto provvedimento, in uno a tutti gli atti presupposti e conseguenziali, ripetendo il procedimento con la eliminazione della preclusione per il genere femminile.

Comunque, in caso di mancato riscontro o di diniego del richiesto annullamento, ci si riserva espressamente di procedere alla attivazione di tutti gli strumenti previsti per la tutela delle lavoratrici, fino alla impugnazione giudiziale, anche attraverso singoli soggetti interessati, del provvedimento in questione.
Distinti saluti.

p.la FP CGIL Nazionale

Mirko Manna

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