INPS – Valutazione individuale. La chiusura del cerchio: un sistema fallimentare

09 Novembre 2023

Con la definizione delle ultime procedure di conciliazione, si è chiuso l’iter della valutazione individuale per il 2022 e ancora una volta le perplessità (eufemismo) pesano molto più delle certezze. Partiamo dalla base: se è vero che l’adempimento è un obbligo di legge, è altresì vero che il modo in cui esso si realizza lo sceglie l’Istituto.

La valutazione individuale in INPS oggi segue la logica dei social network: somiglia a un pollice verso che l’Amministrazione mette sulla scheda, senza però fornire elementi interpretativi o ancorarsi a dati oggettivi.

Il giudizio, ancorché diviso in punti (obiettivo di gruppo, consapevolezza e interesse, contributo individuale, cooperazione coi colleghi, professionalità, apertura all’innovazione, orientamento alle relazioni, guida dei processi), è spesso estremamente generico e decifrare le contestazioni è un’attività buona per gli oracoli. Ma andiamo per ordine:

  1. La tempistica rende il processo del tutto irrilevante. Arrivare a una valutazione sull’operato del 2022 nel mese di ottobre del 2023 riduce la dimensione di stimolo che l’Amministrazione rivendica. Come dovrebbe migliorare un dipendente INPS pur disposto a riconoscere la bontà di un giudizio severo? La sussistenza di tempi così dilatati, peraltro, rende la valutazione al contempo permanente e anacronistica: permanente, perché è già partito l’iter per la valutazione intermedia del 2023; anacronistica perché inseguiamo gli adempimenti senza riflettere criticamente sui dati emersi. Questo ha un riflesso anche sul confronto coi responsabili e sulla procedura di conciliazione.

  2. Il tenore del confronto varia da sede a sede: in alcune realtà la procedura è una mera formalità, cui adempiere per rito; in altre la commissione costituita assume il compito col rigore di un tribunale dell’Inquisizione. Emerge, cioè, l’assoluta discrezionalità a seconda del contesto geografico, elemento non inedito in INPS. Arriviamo al paradosso: nella stessa sede un giudizio può cambiare repentinamente in presenza di un nuovo dirigente o un giudizio estremamente critico può diventare estremamente positivo se solo il dipendente si sposta in un’altra realtà (magari territorialmente vicina). La discrezione è la regola.

  3. La scheda definitiva, a valle della conciliazione, non riporta alcuna indicazione rispetto alle tappe della procedura: non registra gli elementi di critica del lavoratore, non riporta le rilevazioni dei rappresentanti. Fotografa il parere del dirigente e non l’interazione che si è creata attorno al giudizio. Risultato? Un dirigente che subentra non ha neppure gli elementi per valutare il pregresso. Ogni anno è un nuovo inizio. Troppa grazia.

  4. Al dipendente si chiede di accettare la scheda di valutazione, ma come già rilevato ai tavoli di confronto sarebbe più opportuno parlare di “presa visione” e la procedura dovrebbe registrare questo feedback. Gli elementi di fragilità esposti rendono difficile, infatti, sentirsi parte di un processo valutativo così strutturato. Un processo che ha una debolezza culturale evidente (in un ente come INPS spesso e volentieri il lavoro di un dipendente inizia quando finisce quello dell’altro e non c’è alcun metro di valutazione oggettiva) e un riflesso pratico: come ci si può proclamare ambasciatori del merito e sponsorizzare un sistema di valutazione che risponde all’umore di chi sta al vertice della struttura?

Ultima constatazione, per dare l’idea del paradosso: le colleghe e i colleghi entrati ad aprile si accingono a ricevere la loro prima valutazione. Peccato che il processo formativo li ha esclusi dalla vita operativa delle strutture nel periodo di riferimento: un sentito augurio a chi, verosimilmente, valuterà con spirito narrativo il contributo delle nuove risorse sulla scorta di una istintiva simpatia. Altri elementi francamente non se ne vedono.

Coordinatore nazionale FP CGIL INPS

Giuseppe Lombardo

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