Nelle ultime settimane si rincorrono voci confuse sulla mobilità inter-enti. Mentre la nostra organizzazione richiede sul punto piena trasparenza – e cioè una ricognizione formale dell’Istituto sulle carenze d’organico, con una mappatura sede per sede e agenzia per agenzia delle difficoltà registrate – altre realtà sembrano più intente a promettere corsie preferenziali verso il centro-sud a chi proviene da altre PA.
A dispetto dei diversi concorsi che si sono susseguiti dal 2018 in avanti, la pesante riduzione del personale che colpisce questo ente non sembra conoscere battute d’arresto. Non a caso abbiamo parlato, nel recente passato, di un’autentica città fantasma.
Ogni mese il deficit di unità si aggrava, con il progressivo aumento dei pensionamenti e malgrado le revisioni sul fabbisogno necessario. Ma la terapia d’urto, ovvero l’immissione di nuove unità e la stabilizzazione di chi già opera in INPS (tutti, inclusi gli art. 42 bis d.lgs. 151/2001, abbandonati dall’Amministrazione), non può sovvertire ogni regola.
Non è possibile immaginare che qualcuno ambisca a trovare una scappatoia per entrare prima in una data sede, mentre altre risorse – già presenti in Istituto – attendono una procedura di mobilità, specie dopo le promesse dei vertici dal 2023 in avanti.
È una questione di serietà e di rispetto verso chi lavora in INPS e ha lasciato la famiglia dall’altra parte dello Stivale, con l’idea di tornare appena se ne sarebbero create le condizioni. Ma è anche una questione di serietà e rispetto verso l’utenza, che vede in discussione la tenuta
della linea dei diritti sul territorio, elemento su cui, come organizzazione confederale, non siamo disposti a transigere.
Chi la pensa diversamente, tradisce tutti.
Giuseppe Lombardo