Quando venne sottoscritto il CCNL 2022-2024, la nostra organizzazione denunciò il metodo scelto dal Governo e dall’ARAN. Evidenziammo subito come quell’accordo fosse stato firmato con la più risicata maggioranza mai vista nella storia della contrattazione: un precedente pericoloso.
Il principio che regge il sistema delle relazioni sindacali pubbliche non è quello della mera “maggioranza numerica”, ma quello della ricerca del più ampio consenso possibile. Questo garantisce contratti stabili, regole condivise e un equilibrio tra le diverse rappresentanze. Quando si abbandona questa logica, e ci si accontenta di un 51%, si trasforma la contrattazione in un gioco di schieramenti, favorendo accordi fragili e divisivi, spesso frutto della compiacenza di pochi.
Per questo non ci sorprende vedere lo smarrimento di alcune sigle che allora scelsero di avallare quel metodo e che oggi, di fronte al CCNI 2025 sottoscritto da una sola organizzazione sindacale (sempre la stessa…), scoprono l’amara verità: senza un consenso largo e condiviso, gli accordi non sono autorevoli, non durano e finiscono col danneggiare l’intero sistema.
Il sindacato non può ridursi a una logica di numeri minimi: la sua forza sta nella rappresentanza corale di tutte le lavoratrici e i lavoratori. Difendere il principio del più ampio consenso, per noi che facciamo sindacato per davvero, significa difendere la qualità stessa dei contratti, la dignità della contrattazione collettiva.
Veniamo all’INPS, dove il CCNI 2025 firmato in solitaria segna un arretramento senza precedenti per chi lavora nell’Istituto. Non solo vengono bruciati oltre 3.000 differenziali,
deludendo le legittime aspettative di migliaia di colleghi; non solo si crea un “cono d’ombra” in cui molti rischiano di restare senza alcuna possibilità di ottenere la prima progressione economica prevista dal nuovo sistema; ma i criteri scelti aggravano disuguaglianze e penalizzazioni.
Le valutazioni individuali sono sempre più arbitrarie: pesano 42 punti, caso unico nelle Funzioni Centrali, consegnando ai dirigenti un potere discrezionale sugli avanzamenti.
I titoli di studio sono ormai svalutati: l’impegno, dentro e fuori l’Istituto, viene ignorato, premiando logiche corporative.
Gli incentivi sono iniqui: c’è un’evidente disparità nella distribuzione tra territori e tra generazioni. Chi va in pensione nell’anno ottiene un bonus di 20 punti, mentre agli assunti del 2023 – ai quali erano state fatte tante promesse – resta la bocca asciutta.
E mentre chi lavora allo sportello, ogni giorno a contatto con i cittadini, riceve solo una maggiorazione ridicola, l’Amministrazione già prepara di fatto il suo superamento con la consulenza online, alla quale naturalmente non viene riconosciuto alcun compenso aggiuntivo. Questo non è un contratto integrativo: è un contratto che mortifica il lavoro e alimenta ingiustizie. È, in definitiva, l’ennesima dimostrazione di cosa accade quando si firmano intese fragili. Già il fatto che ci sia confusione sull’iter di certificazione tra le stesse organizzazioni che siedono al tavolo la dice lunga sul percorso intrapreso.
Serve una contrattazione vera, trasparente e partecipata, capace di garantire equità. E si può realizzare soltanto se tutte le forze rappresentative siedono al tavolo. Questa è la prova del nove.
Giuseppe Lombardo