Il CCNI 2025 dell’INPS, firmato in solitaria da chi accetta compromessi al ribasso, non è un vero contratto integrativo: è un accordo che divide, genera ingiustizie e soprattutto tradisce le promesse rivolte ai più giovani.
Intendiamoci: quando parliamo di “giovani” ci riferiamo all’anzianità professionale, non all’età anagrafica. Parliamo di quella parte del personale che, dal 2018 in poi, ha portato energie nuove e competenze all’Istituto, senza però trovare in questo contratto alcun riconoscimento o prospettiva.
Ma andiamo con ordine.
Un integrativo non è un elenco di disposizioni: è lo strumento che regola la vita lavorativa di migliaia di persone. Per questo deve sempre garantire equilibrio: tra territori, profili professionali, generazioni. Rompere il patto che sta dietro un contratto significa minare nelle fondamenta la costruzione istituzionale dell’istituto. Proprio quello che accadrà con l’accordo ‘25.
Differenziali: la sforbiciata selvaggia – A fronte di oltre 6.000 lavoratori in attesa di entrare nel nuovo ordinamento, i passaggi previsti sono poco più di 3.000. Risultato? Migliaia di colleghi resteranno fermi al palo. E non “per un giro”.
Un gruppo folto, pieno di povere anime, che dall’anno prossimo dovrà infatti scontare una nuova pena: quella di essere in una terra di mezzo tra i consulenti incardinati nel 2023 e chi, nello stesso anno, ha ottenuto il primo differenziale, pronto a ripresentarsi ai nastri di partenza.
Praticamente si sta battezzando la guerra tra poveri.
Valutazioni arbitrarie: la piaggeria come metodo – L’unico meccanismo per forzare il sistema potrebbe essere la “pagellina”, rafforzata dall’Amministrazione – e vorremmo ben vedere – per premiare “i meritevoli”.
Ci chiediamo come sia possibile criticare le valutazioni individuali per eccesso di arbitrarietà e poi dare ai dirigenti di sede libero mandato per decidere le sorti dei lavoratori con un pollice verso, espresso alla stregua di un giudizio universale.
Chi vorrà recuperare il gap sarà premiato solo se si trasformerà in uno yes-man?
Studiare fa schifo! – Non è uno sfogo liceale, ma la posizione di chi ha firmato il CCNI. Quando c’è da redistribuire i pesi, la ragioneria sindacale tira fuori il meglio di sé, penalizzando sempre la formazione universitaria e post-universitaria, con uno schiacciamento della forbice sui titoli di studio. Almeno in questo si registra coerenza.
Il risultato è che studiare non conviene, alla faccia della volontà dell’Ente di costruire consulenze di “altissimo livello”.
Incentivo…alla pensione – Infine l’ultimo schiaffo. Chi va in pensione nell’anno ottiene una maggiorazione del coefficiente di 20 punti, mentre agli altri spettano le briciole. Così facendo non si bloccano solo le prospettive di crescita per via di quanto abbiamo detto, si distribuiscono risorse senza una logica produttiva o di sistema.
Il messaggio che questo contratto manda a chi ha 10, 20 o 30 anni di carriera davanti è chiaro: non c’è spazio per voi, non vi aspettate nulla e non resterete delusi.
Stessa solfa per chi è stato per anni nel limbo del mansionismo. Nessuna valorizzazione della professionalità, nessuna prospettiva di carriera, nessuna equità tra generazioni.
Noi non accettiamo che il futuro dell’INPS venga costruito a tavolino escludendo proprio il motore del cambiamento. Un cambiamento che non passa dalle sirene sulla mobilità (peraltro già tradite) o dalle lusinghe sullo Smart, ma da un investimento serio sulla professionalità di ogni attore che opera in INPS, garantendo la qualità dei servizi e presidiando il perimetro dei diritti essenziali.
Serve un cambio di rotta: il futuro non può aspettare il gioco delle tre carte del bollino verde.
Giuseppe Lombardo