Nel pomeriggio di ieri l’Amministrazione ha presentato alle organizzazioni sindacali una bozza rivisitata del Sistema di Misurazione e Valutazione della Performance Individuale, destinato a entrare in vigore in INPS dal 2026.
Purtroppo il documento condiviso non solo non lascia spazio all’ottimismo, ma conferma un trend che sta progressivamente alterando gli equilibri che un tempo garantivano la tenuta dell’intero sistema.
Come organizzazione sindacale, evidenziamo alcune criticità sulle quali chiediamo un intervento tempestivo.
Con notevole astuzia, l’Amministrazione riduce (ancora una volta) il peso degli obiettivi di gruppo e inserisce tra le componenti della valutazione individuale la formazione annuale, spostando di fatto – almeno in parte – l’onere del processo di sviluppo delle competenze dal livello organizzativo al singolo lavoratore.
Ma quale disposizione consentirebbe un simile ribaltamento delle responsabilità? Non risulta alcuna indicazione della Funzione Pubblica, né alcun atto o linea guida che giustifichi questa impostazione.
Non si può accettare che la formazione diventi un adempimento aggiuntivo e oneroso per chi ogni giorno assicura il funzionamento delle sedi, quando la crescita professionale dovrebbe essere sostenuta da un sistema organizzativo strutturato e coerente.
In un modello moderno di gestione, infatti, lo sviluppo delle competenze è un processo condiviso e accompagnato dall’organizzazione, non un compito rimesso alla buona volontà dei singoli.
Con riferimento al comparto emerge un’ulteriore criticità: il dipendente che non è soddisfatto del giudizio, e vuole presentare istanza di conciliazione, deve indicare con precisione gli aspetti contestati. Questo nonostante nelle schede di valutazione non sia richiesta altrettanta precisione nella compilazione delle diverse componenti che concorrono al giudizio finale.
Di più: l’istanza di conciliazione deve essere supportata “da ogni evidenza utile e idonea a rivestire carattere probatorio”. Un linguaggio quasi giudiziario, che restituisce l’idea del fastidio con cui viene percepito il processo di gestione delle divergenze.
Ma, a questo punto, come si può contestare puntualmente un giudizio che è, di per sé, generico?
Su nostra insistente richiesta, viene introdotta la valutazione dal basso, a livello sperimentale. Le modalità, però, rischiano di svuotare di significato quello che dovrebbe invece essere un passo avanti verso un sistema più compiuto.
La valutazione dal basso – che, per come è stata presentata dall’Amministrazione, non produrrà alcun effetto economico sul dirigente valutato – sarà “volontaria” e “facoltativa”. A esprimere la valutazione dovrebbero essere esclusivamente i titolari di posizione organizzativa, peraltro individuati dallo stesso dirigente che dovrebbero valutare.
La sperimentazione sarà svolta in Direzione Generale, mentre il territorio è ancora una volta tenuto fuori, e non se ne capisce il motivo. Il coinvolgimento di ogni livello rappresenterebbe, semmai, una garanzia di completezza ed effettività della sperimentazione stessa.
Un simile approccio appare inadeguato a coprire una lacuna che, se colmata, consentirebbe invece di sganciare i dirigenti dall’esclusivo e solitario giudizio da parte del singolo valutatore gerarchico.
La valutazione dal basso, peraltro, risulta declinata in maniera abbastanza striminzita: non considera elementi che pure la direttiva del 2023 introduce. Pensiamo alla capacità di superare gli schemi consolidati, all’assunzione del rischio e alla proattività, allo spirito di squadra che si sa creare, al modello di integrità ed etica che il dirigente deve rappresentare.
La dirigenza territoriale resta ai margini anche su altri aspetti: non se ne fa menzione nella composizione del Comitato per la valutazione e nulla si dice sulla nostra proposta di una rappresentanza più equilibrata nell’ambito del Comitato per le eccellenze, così come della necessaria rotazione dei dirigenti ai fini dell’attribuzione del bonus reputazionale.
Manca ancora inoltre, nel documento trasmesso, ogni riferimento al meccanismo di calibrazione per le valutazioni della dirigenza, che dovrebbe rappresentare il perno centrale per garantire simmetria e fiducia nel sistema e ridurre le inevitabili differenze soggettive tra valutatori.
La stessa direttiva Zangrillo prevede un meccanismo di collegialità: in questo caso non una valutazione tra pari, ma l’affiancamento del valutatore gerarchico con un gruppo di colleghi di pari grado, così da assicurare criteri il più possibile omogenei.
Eppure, le possibili modalità applicative non mancherebbero: un coordinamento centrale, che ha la visione complessiva dei dati nazionali, affiancato magari da soluzioni territoriali, come un confronto tra tre direttori regionali sui risultati delle valutazioni dei propri dirigenti. Molteplici sono le opzioni che, se si estendesse la sperimentazione, i dirigenti stessi potrebbero suggerire.
Tra gli altri elementi critici abbiamo sottolineato l’indicazione generica fornita nella descrizione delle competenze valutate: si prenda a titolo di esempio la parte dedicata ai medici dell’Istituto, ancora vaga. Tale indeterminatezza non consente un ancoraggio a elementi stabili: così si rischia di rendere le valutazioni eccessivamente discrezionali.
Permane, poi, la sovraesposizione del Direttore generale, chiamato a:
– gestire le divergenze relative alla valutazione dei dirigenti dell’area manageriale di Direzione generale, regionale, di coordinamento metropolitano, nonché dei direttori di Filiale metropolitana e dei direttori provinciali;
– garantire la coerenza dell’intero sistema, sia nell’applicazione sia nella validazione dei giudizi;
– definire, con apposito atto, le modalità di realizzazione della fase di valutazione;
– supervisionare tutte le schede dei professionisti e dei medici, al fine di assicurare l’omogeneizzazione dei valori espressi.
Resta, poi, sullo sfondo un tema.
Nell’impianto valutativo adottato per Medici e Professionisti, continuiamo a rilevare un vulnus. Infatti:
– nel Comitato di garanzia per le performance individuali, che ha il compito di indicare ai valutatori indirizzi volti a garantire un processo equo e trasparente, sono presenti solo dirigenti e non anche i coordinatori generali dei professionisti o dei medici;
– non è previsto che a coadiuvare il Direttore generale nell’esame delle schede di valutazione di professionisti e medici, siano chiamati esponenti di tali categorie;
– nella valutazione dei Coordinatori Generali di professionisti e medici, in caso di divergenze valutative, non è previsto, a differenza che per la dirigenza, l’intervento di un comitato di valutazione quale soggetto terzo fra valutato e valutatore.
Ne deriva un modello che affida alla sola dirigenza la gestione delle eventuali divergenze, senza peraltro indicare in alcun modo né tempi né modalità procedurali. Pur riconoscendo le prerogative connesse ai ruoli, tale impostazione evidentemente non risulta idonea ad assicurare l’autonomia e l’indipendenza del professionista nell’esercizio della sua attività professionale.
Ancora, occorre snellire il catalogo delle “competenze professionali” sulle quali viene espressa la valutazione: troppe voci, spesso sovrapposte tra loro, ma che soprattutto sembrano lontane dalla concreta, quotidiana e gravosissima attività lavorativa di professionisti e medici in INPS.
Infine: perché dalla valutazione dal basso dovrebbero essere esclusi i Coordinatori Generali dei rami professionali Legale, Tecnico edilizio, Statistico-attuariale e Medico-legale?
Anche per loro, come per la dirigenza, la partecipazione dal basso al processo di valutazione appare uno strumento utile, quanto meno in via sperimentale, alla valutazione di aspetti fondamentali quali la gestione delle risorse, la valorizzazione dei collaboratori, la promozione dello scambio di informazioni e del lavoro di squadra. Perché no?
Roma, 18.11.2025
FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo
Alessandro Casile
Giuseppe Cipriani
Francesco Reali