Quando venne firmata la Direttiva Zangrillo, la nostra organizzazione – da sempre attenta alla valorizzazione dei processi formativi – sollevò diverse obiezioni, guadagnandosi le facili ironie di chi lamentava “un’opposizione pretestuosa”.
In realtà non serviva la sfera di cristallo per immaginare che la “formazione obbligatoria” si sarebbe potuta trasformare, presto o tardi, in un esercizio di stile, più attento alle caselle da spuntare che alla crescita reale delle competenze di chi opera per conto dello Stato.
L’obiettivo delle PA, e delle lavoratrici e dei lavoratori che ne guidano i processi, dovrebbe essere migliorare i servizi ai cittadini, non produrre attestati da archiviare.
Ma di fronte a queste osservazioni critiche sul metodo individuato, di fronte a chi denunciava il rischio di creare un guscio vuoto, Zangrillo enfatizzò Syllabus: il perno di un progetto formativo che avrebbe finalmente dotato i dipendenti statali di strumenti adeguati.
La registrazione dei corsi non è comunicata immediatamente alle singole amministrazioni, perché le procedure non interagiscono.
La piattaforma va a rilento, ogni tanto espelle gli utenti, non è intuitiva.
Il catalogo dei corsi è ancora limitato.
A pagarne dazio siamo stati noi. Noi dipendenti delle Funzioni Centrali, condannati a subire gli effetti di un contratto a perdere; noi dipendenti dell’INPS, esclusi perfino dal d.l. PA.
Alla fine della fiera un dato è evidente: il Ministro pretende formazione, ma non ci crede e infatti non investe sulle persone.
Veniamo all’INPS. Il messaggio 2637/2025, diffuso ieri dall’Amministrazione, chiarisce un punto essenziale della direttiva. Se le 40 ore di formazione non vengono rispettate, la responsabilità ricade sul dirigente nell’ambito della sua performance individuale, e non sul funzionario, sull’assistente o sull’operatore. Si tratta di un aspetto già evidente a chiunque avesse letto con attenzione la direttiva, ma che in INPS sembra essere stato curiosamente trascurato.
A quattro mesi dalla chiusura dell’anno, i dirigenti rischiano di trovarsi tra l’incudine e il martello: da un lato c’è la corsa alla produzione, dall’altro gli obblighi formativi finora sottovalutati. In mezzo? C’è la solita retorica di chi pure avrebbe modo di avvicinare il ministro per metterne la procedura alla sbarra (con la s minuscola, per carità).
Che fare, allora? Come FP CGIL avanziamo alcune proposte:
Va rimosso, innanzitutto, il vincolo d’incompatibilità tra Smart Working e Formazione. PAPERless non può dettare i tempi al sistema. Si arriva al paradosso: chi lavora deve recarsi in sede per seguire un corso da remoto. Surreale.
Vanno rivisti i vincoli imposti sulla gestione delle ferie arretrate, anche con accordi locali da immaginare nel confronto con le RSU. La rigidità voluta da quelle organizzazioni che hanno firmato un contratto collettivo a perdere è insensata: basta un nonnulla e il sistema salta.
Giuseppe Lombardo