Negli ultimi giorni il Governo ha lasciato trapelare un possibile intervento per ridurre i tempi di pagamento del TFR ai dipendenti pubblici, prevedendo prestiti all’INPS per anticipare almeno una prima quota della liquidazione.
Ancora una volta, la logica che ispira la misura è difensiva e contingente, dettata più dal timore di una nuova bocciatura della Corte costituzionale che da una visione di equità e rispetto verso chi ha lavorato una vita al servizio dello Stato.
Le sentenze della Corte costituzionale — dalla n. 159 del 2019 alla più recente n. 130 del 2023 — hanno già chiarito che il ritardo pluriennale nell’erogazione del TFR viola il principio costituzionale della giusta retribuzione e determina una perdita economica ingiustificata per i lavoratori. Il differimento dei pagamenti non può essere considerato un sacrificio legittimo e permanente, ma un’eccezione temporanea che si è trasformata in una distorsione strutturale ai danni del personale pubblico.
L’ipotesi di “accelerare” le rate, pur rappresentando un parziale miglioramento, non affronta la radice del problema: il riconoscimento pieno e immediato del diritto al TFR. Non si risolve un’ingiustizia attenuandone l’intensità, ma rimuovendone le cause. I dipendenti pubblici non chiedono privilegi, ma parità di trattamento rispetto ai lavoratori del settore privato, ai quali la liquidazione viene corrisposta senza dilazioni.
La proposta di finanziare l’INPS tramite prestiti — probabilmente con Cassa Depositi e Prestiti in prima linea — rischia di essere solo un palliativo contabile, che rinvia il problema e ne aumenta i costi complessivi.
Serve invece una riforma strutturale, fondata su tre principi chiari:
riconoscimento integrale e tempestivo del TFR come parte della retribuzione differita;
semplificazione delle procedure INPS che oggi aggravano ulteriormente i tempi di pagamento;
garanzia di equità intergenerazionale e parità di trattamento tra pubblico e privato.
Il Governo ha l’occasione — e il dovere — di ristabilire un principio di giustizia sostanziale, non di inseguire il minimo indispensabile per evitare una nuova condanna.
Dopo anni di rinvii e di “inerzia legislativa”, come la stessa Corte ha denunciato, è tempo di un atto di responsabilità: restituire ai lavoratori pubblici ciò che è loro dovuto, nei tempi che la dignità e la Costituzione impongono.
Coordinatore nazionale FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo