Non potendolo definire un buon contratto — perché brucia tremila differenziali creando disparità nei percorsi di carriera, perché propone un sistema di incentivi schizofrenico, perché rafforza il peso delle pagelline e rende i dipendenti più ricattabili — i promotori del CCNI, all’indomani della sottoscrizione in solitaria, rivendicarono con orgoglio: è il contratto più veloce del West, abbiamo blindato l’accordo.
Ricordiamolo agli smemorati: approvato in sordina a ridosso dell’estate, per evitare confronti sul testo, il contratto integrativo sarebbe dovuto entrare a regime senza l’ansia di fine anno. E invece siamo al 4 dicembre e, dopo i rilievi non banali dei Ministeri vigilanti, il percorso sembra ancora a ostacoli.
Vuoi perché, una volta esitato il testo, occorrerà nuovamente ottenere il benestare dei “controllori”; vuoi perché l’Amministrazione, come più volte ribadito, auspica una condivisione più ampia da parte di chi siede al tavolo.
Ed è difficile non comprendere l’imbarazzo della delegazione trattante di parte datoriale: se da un lato porta a casa un “accordo” che recepisce pressoché tutti gli input proposti (con l’acquiescenza della sedicente organizzazione firmataria), dall’altro si ritrova innanzi un’unica firma, la stessa che peraltro — prendendo per il naso i lavoratori — mette pure a verbale tutta la sua insoddisfazione per le gravi carenze del testo.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: a furia di firmare accordicchi di bassa lega, chi opera al servizio dello Stato comincia a non credere più alle risposte che lo strumento negoziale può offrire.
Si sta svilendo la funzione sindacale, e non basterà una bella dichiarazione congiunta proposta dai caballeros del CCNL per salvare la faccia.
Ribadiamolo allora, ancora una volta. Perché le promesse le abbiamo lette tutti:
almeno cinquemila differenziali;
una maggiorazione allo sportello più consistente;
l’aumento del TEP per ogni dipendente;
un tetto alle risorse destinate alle Elevate Professionalità del vecchio ordinamento;
il ridimensionamento delle pagelline;
il ripristino della vecchia disciplina per la Banca Ore;
l’incremento delle indennità per professionalità rimaste ferme da anni. Sono queste le condizioni poste da chi siede al tavolo per avallare il testo.
Giuseppe Lombardo