Il potenziamento e la stabilizzazione del servizio sociale territoriale sono al centro delle politiche emerse dall’ultima legge di bilancio, che ha messo in campo un incremento di risorse, stabili, centrate anche e finalmente all’assunzione di assistenti sociali a tempo indeterminato, con un incentivo, tutt’altro che nascosto, alla reinternalizzazione dei servizi sociali.

Per un paese che spende un terzo delle risorse medie europee per i servizi sociali (lo 0,7% del PIL contro il 2,1-2,2 della media UE) è un importante primo passo in avanti. La stabilizzazione dei servizi sociali professionali resta ancora oggi la base, l’architrave su cui ancorare l’integrazione sociale del nostro paese.

La stabilizzazione dei servizi sociali, la definizione dei livelli essenziali è direttamente collegata però alla stabilizzazione degli operatori e al superamento della precarietà.

Purtroppo la lotta e il contrasto alla povertà nel nostro paese continuano ad essere garantiti, invece, da lavoratrici e lavoratori precari, che si devono occupare di un tema esplosivo, come la marea crescente di sofferenza legata alla povertà, quasi incontrollabile con l’avvio della pandemia da Sars Cov-2.

Oramai da vari anni, abbiamo oltre duemila lavoratrici e lavoratori, la metà assistenti sociali e per l’altra metà psicologi, educatori, sociologi, mediatori, tecnici, lavoratrici e lavoratori amministrativi e altri operatori sociali, che operano, al meglio con contratti a tempo determinato, ma anche in altre forme di precariato e lavoro flessibile, negli enti locali, nei consorzi, negli ambiti e nei distretti, finanziati anche, ma non solo, attraverso il cofinanziamento europeo del Pon inclusione e attraverso la quota servizi del Fondo povertà.

Migliaia di lavoratrici e lavoratori che hanno garantito il funzionamento di misure come il Sostegno per l’inclusione attiva e il Reddito di inclusione e che oggi garantiscono il funzionamento di misure di contrasto alla povertà, anche di carattere regionale, e sopratutto del Reddito di cittadinanza, in particolare per il Patto per l’inclusione sociale (PaIS). Al momento a beneficiare del Reddito di Cittadinanza sono 1,2 milioni di nuclei familiari (sono al Sud il 63,3 per cento delle famiglie che percepiscono la misura), per un totale di 2,8 milioni di persone coinvolte. Si tenga conto che nel 2019 (prima del Covid) 1,7 milioni di famiglie vivevano in condizioni di povertà assoluta. Le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni equivalenti al 7,7% della popolazione. Secondo la Corte dei Conti (2020), la legge sul Reddito di cittadinanza, sempre prima del Covid. è stata in grado di intercettare e supportare solo il 50,8% delle famiglie in povertà assoluta e solo il 28,3% di quelle in povertà relativa.

Chiaramente l’intervento dei servizi offerti tramite il Pon e il Fondo povertà sono stati decisivi. Non solo, i servizi di contrasto alla povertà, le lavoratrici e i lavoratori del Pon Inclusione e del Fondo povertà, sono stati rappresentativi di come si possa intendere e declinare una svolta qualitativa del servizio sociale sul territorio. Le equipe multidisciplinari, capaci cioè di affrontare le tante dimensioni della lotta alla povertà, restano in equilibrio tra la stabilizzazione della loro esperienza tra le differenze territoriali e le esigenze di un livello essenziale dell’intervento multiprofessionale e della propria composizione.

Questi duemila lavoratori e lavoratrici sono continuamente a confrontarsi con la scadenza del loro contratto, impegnati ad aspettare le proroghe del ministero del Lavoro e a sperare in un emendamento nel Milleproroghe che garantisca la proroga stessa, che non è solo proroga del loro contratto ma proroga e continuità e garanzia del servizio che loro stessi garantiscono.

La FP CGIL è impegnata con assemblee regionali con assistenti sociali e tutto il personale coinvolto, iniziative e vertenze sul territorio, interlocuzione con il Parlamento, forze politiche, ordini professionali, lavoro comune con i comitati autorganizzati dei precari, per garantire la stabilizzazione di questo personale assieme al rafforzamento strutturale dei servizi sociali nel territorio.

Tra i primi passi la richiesta, ed anche l’apertura di confronti e vertenze dove necessario, che lo sviluppo dei servizi sociali, così come individuato, nella legge di bilancio 2021 ai commi 791 e 792 , e specificatamente nel Fondo di solidarietà comunale serva anche a rendere stabili lavoratrici e lavoratori, delle equipe multidisciplinari legate al Pon inclusione e al Fondo povertà, dei servizi di contrasto alla povertà.

dadone sindacati

I lavoratori attendono risposte su risorse, assunzioni e contratti

“Bene l’apertura di Fabiana Dadone ai sindacati per discutere della situazione del pubblico impiego, ma il tempo passa e i lavoratori sono in attesa di risposte. Per questo proseguiremo con assemblee e iniziative di mobilitazione e saremo disposti a intensificare l’azione sindacale se non riceveremo a breve un riscontro concreto su assunzioni, risorse e contratti”. Questa la posizione di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa sulle dichiarazioni rilasciate da Fabiana Dadone, Ministro della Funzione Pubblica, questa mattina durante la presentazione del rapporto Cnel sui servizi della Pa.

“La Pubblica Amministrazione sta assistendo a un vero e proprio esodo di lavoratori, dovuto al blocco delle assunzioni degli ultimi anni e all’introduzione di Quota 100 che vanno a incidere su un personale con un’età media molto elevata – fanno sapere le categorie di Cgil Cisl e Uil dei servizi pubblici -. Basti pensare che l’età media è di circa 51 anni e i dipendenti sotto i 30 anni di età rappresentano appena il 2,8% del totale. Le uscite previste per i prossimi due anni sono di circa 500 mila persone. È quindi necessario procedere con un nuovo piano straordinario di assunzioni che non garantisca solo il ricambio generazionale ma che intensifichi i servizi pubblici, con un 30% di assunzioni oltre il numero di pensionamenti previsti”. Questo il quadro della situazione fornito da i segretari generali delle quattro categorie: Serena Sorrentino (Fp Cgil), Maurizio Petriccioli (Cisl Fp), Michelangelo Librandi (Uil Fpl) e Nicola Turco (Uil Pa).

“Abbiamo già annunciato le prossime mobilitazioni: quella dei dipendenti delle Agenzie Fiscali, prevista per i prossimi 23 gennaio e 6 febbraio, e lo stato di agitazione dei 5 mila lavoratori dell’Inl. Saranno solo le prime di una serie di iniziative sindacali che metteremo in campo se non riceveremo un serio e immediato riscontro per intervenire su risorse, assunzioni e contratti nel pubblico impiego”, concludono.

Ci siamo. Mancano pochi giorni alla grande manifestazione nazionale dei servizi pubblici che si terrà a Roma sabato 8 giugno, in piazza del Popolo. Anche le temperature della Capitale si sono unite alla causa, il cielo si è aperto e la pioggia è scomparsa. Tutto è pronto per un appuntamento che ci riguarda tutti, perché siamo tutti cittadini e lavoratori. Sabato 8 giugno scendiamo in piazza per difendere il valore dei servizi pubblici.

L’appuntamento:

Il concentramento della manifestazione ‘Il Futuro È Servizi Pubblici’ sarà alle ore 9, in piazza della Repubblica da cui partirà un corteo che sfilerà lungo via Vittorio Emanuele Orlando in direzione largo di Santa Susanna, per poi passare in piazza Barberini e risalire da via Sistina verso piazza della Trinità dei Monti, e poi riscendere fino a piazza del Popolo, dove si terranno gli interventi conclusivi. Alla manifestazione parteciperanno i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, oltre che i segretari delle categorie dei servizi Pubblici, Serena Sorrentino, Maurizio Petriccioli, Michelangelo Librandi e Nicola Turco.

 

Ogni realtà nazionale fa perno proprio sull’efficienza dei servizi che offre ai cittadini. Senza una pubblica amministrazione di qualità, senza prendersi cura dei servizi pubblici erogati dal privato, i paesi finiscono al collasso. Ed è quello che sta succedendo in Italia, a causa di una politica che negli ultimi anni ha svilito i servizi pubblici, ha disinvestito, ha tagliato le spese, lasciando i servizi in balia del caos, a dover far fronte ad una grande richiesta da parte dei cittadini ma con le risorse e gli strumenti al minimo. Noi dobbiamo invertire questa tendenza, questa progressiva delegittimazione del valore dei servizi pubblici. Non esiste paese vivibile senza un servizio ai cittadini che si rispetti.

Ripartire non è possibile con i soli slogan elettorali. Rimettere in moto la macchina del nostro paese significa ridare dignità e qualità ai servizi che si offrono. Una causa che restituirebbe non solo orgoglio a tutte le lavoratrici e i lavoratori che si occupano della collettività, ma anche servizi efficienti sui quali si può tornare a contare come cittadini, senza doversi rassegnare a liste d’attesa lunghe mesi, a servizi scadenti e al limite delle possibilità.

La battaglia di sabato 8 giugno è una battaglia che ci riguarda tutti, la cui eco dovrà convertirsi in un cambio di rotta della politica. Assunzioni, contratti e dignità al lavoro: questi i tre grandi temi su cui verterà la nostra azione rivendicativa. Dobbiamo partire dalle assunzioni, perché avere meno personale vuol dire penalizzare la qualità e la quantità dei servizi che si offrono ai cittadini. Bisogna rinnovare tutti i contratti, e con le risorse necessarie, non al ribasso. Dobbiamo difendere il valore dei servizi pubblici garantendo investimenti adeguati.

 

I nostri obiettivi:

• lo sblocco immediato del turn-over, un Piano straordinario di assunzioni e la stabilizzazione di precari, perché le pubbliche amministrazioni sono al collasso ed avere meno personale significa non solo carichi di lavoro insostenibili ma anche una penalizzazione per la qualità e la quantità dei servizi che si è in grado di offrire ai cittadini
• il Rinnovo di tutti i contratti, pubblici per i quali ad oggi non ci sono risorse adeguate e privati alcuni dei quali non vengono rinnovati da più di 12 anni eppure parliamo di persone che si occupano della nostra Salute, della nostra assistenza e di quelli dei nostri cari e delle persone più fragili
• cancellare le iniquità e le disparità nel sistema previdenziale sia nel settore pubblico riguardo al trattamento di fine rapporto, sia su quota 100 e sui lavori gravosi nei nostri settori pubblici e privati
• una contrattazione piena sui processi di riorganizzazione e sulle questioni del personale per dare più valore alla contrattazione decentrata, per tutelare la dignità dei lavoratori e contro ogni forma di delegittimazione della funzione e del lavoro dei pubblici e contro ogni forma di controllo invasivo, dalle impronte alle telecamere
• rivendicare più investimenti nei servizi pubblici per il loro rafforzamento e per contrastare i processi di esternalizzazione dei servizi pubblici che determinano dumping contrattuale e mancata universalità dei diritti per i cittadini
• un taglio netto a consulenze e una revisione immediata del codice degli appalti pubblici, soprattutto per rafforzare la clausola sociale e la parità di trattamento tra lavoratori del settore pubblico e del settore privato
• l’avvio di un vero processo di razionalizzazione della spesa pubblica e di lotta agli sprechi e alla corruzione, di investimenti seri per il potenziamento dei servizi ispettivi e maggiore tutela e garanzie per la sicurezza sul lavoro e per la lotta alla illegalità
• finanziamenti adeguati per il Servizio Sanitario Nazionale, per le Politiche Sociali, per un vero investimento a sostegno dell’infanzia e della non autosufficienza.
• che il Governo e le Autonomie Locali aprano un vero confronto con i Sindacati Confederali, sia sul rinnovo dei Contratti che sul Welfare
• che le Associazioni Datoriali diano risposte sui Contratti a partire da quello della Sanità Privata

Scendiamo in Piazza perché cittadine e imprese hanno bisogno di una pubblica amministrazione efficace, di politiche che guardino alla dignità ed al benessere di tutti, perché i servizi pubblici garantiscono realmente equità nel nostro Paese se potenziati e garantiti.

Dunque, sabato 8 giugno scendiamo tutti insieme in piazza, cittadini e lavoratori, per difendere il valore del lavoro. Perché non c’è futuro senza lavoro, e non c’è uguaglianza senza servizi pubblici.

 


 

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“Condizioni di vita di qualità favoriscono la salute dei pazienti”

 

“A che pro curare le persone per poi riportarle nelle condizioni che le hanno fatte ammalare?”. È con questo interrogativo che si apre l’intervento di Sir. Michael Marmot, professore di Epidemologia e Sanità pubblica alla University College di Londra, alla terza giornata dell’XI Congresso della Fp, nel quale spiega come salute e fattori sociali siano strettamente correlati, argomento di cui parla nel suo libro ‘The Health Gap’.

Il professor Mormot illustra come le aspettative di vita in Gran Bretagna (e non solo), cresciute costantemente negli ultimi cent’anni, stiano invece subendo un’importante inversione di rotta dal 2011. “Un rallentamento che va’ di pari passo con la crisi economica degli ultimi anni e le politiche di austerità e che spiega, dunque, come la salute sconti gli effetti dei fattori sociali, dell’equità e, quindi, delle disparità sociali”.
Le politiche di governo possono dunque fare moltissimo per arrestare il fenomeno, secondo il famoso epidemiologo. “Cosa si può fare? Intervenire, fin dalla primissima età sulla qualità della vita, a partire dall’educazione e dalla formazione. Un buon rendimento scolastico prefigura la possibilità di proseguire gli studi, di avere un posto di lavoro di migliore qualità e dunque, a cascata, un reddito più elevato, un alloggio migliore e, infine, uno stato di salute migliore”.

Marmot, nel suo intervento, dedica un focus anche allo stato dei servizi pubblici. “Vi sono stati tagli impietosi che hanno contribuito all’andamento delle aspettative di vita degli ultimi anni”. Infatti, secondo il professore, i dati mostrano un chiaro nesso tra le morti premature e la mancanza di risorse: quanto più elevata è la mortalità precoce, maggiore è il taglio effettuato alle risorse destinate ai servizi. “Nella salute pubblica si vuole che i governi spendano i propri fondi, ma da dove derivano questi fondi? Dal gettito fiscale e tributario. Il che significa che evasione ed elusione fiscale diventano potenzialmente un problema di salute pubblica”. Con questa provocazione il professor Marmot chiude il suo intervento, e con la raccomandazione a prestare attenzione ai fattori sociali, elemento determinante per la salute e il benessere dei pazienti della sanità pubblica.

 

“Leggo che il ministro Bongiorno risponde alle nostre critiche e annuncia provvedimenti ad hoc. Le diciamo che apprezziamo il fatto che risponda alla Cgil ma che comunque chiediamo di essere convocati al più presto e che non ci siano solo annunci, basta penalizzare i dipendenti pubblici. Vogliamo, in questo caso sì, ‘concretezza’”. Così la segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino, replica alle parole del ministro della Pa, Giulia Bongiorno, che “oggi risponde alle nostre denunce e alla richiesta esplicita che ieri le abbiamo avanzato durante un’iniziativa pubblica in cui erano presenti i responsabili del personale di grandi amministrazioni, su concorsi e pensioni, annunciando misure specifiche”.

Proprio ieri, infatti, “abbiamo presentato – aggiunge – uno studio che dimostra la necessità di un piano straordinario di assunzioni nella pubblica amministrazione che vada oltre il turn over al 100%. Dai nostri dati emerge che se guardiamo a ritroso, andando a vedere da quando ha avuto effetto il blocco del turnover, scopriamo che il solo sblocco seppur al 100% non ci consentirà di avere abbastanza personale e, di conseguenza, adeguati servizi ai cittadini”. Per questo, precisa Sorrentino, “parliamo di piano straordinario di assunzioni. Rimangono due nodi da affrontare in via emergenziale: il primo è che tra tempi di espletamento delle procedure concorsuali e uscite per pensionamenti c’è un disallineamento che rischia di mettere in crisi quei settori dove è più forte l’impatto con l’utenza: sanità, servizi educativi e sociali, enti previdenziali, uffici territoriali di Comuni e Ministeri. Il secondo, che parlare di turn over selettivo e stabilire ex ante i criteri rischia di vanificare la costruzione dei fabbisogni basati sulla programmazione dei servizi e non su criteri decisi dall’alto”.

Quanto al tema pensioni ed effetti sulla Pa, Sorrentino afferma: “Le modifiche che si annunciano sulle pensioni, ancorché non essere la cancellazione della legge Fornero, rischiano di non affrontare la penalizzazione che si determina nel pubblico impiego data dalla minore entità dell’assegno previdenziale, in virtù dell’anticipo di uscita rispetto al requisito ad oggi in essere per l’anzianità contributiva, e l’erogazione del trattamento di fine rapporto dopo 27 mesi dal pensionamento. Se comunque una quota di dipendenti deciderà di accedere a quota 100, l’effetto di esodo previsto nei prossimi tre anni si aggraverà. Per questo servono misure urgenti e straordinarie per lo scorrimento rapido delle graduatorie in essere, procedure concorsuali tempestive e stabilizzazione dei precari”, conclude.

Studio Fp e Fdv su 15 anni in comparti Funzioni Centrali, Locali e Sanità

Occupazione in progressiva diminuzione nella Pa, sia quella stabile che flessibile, con un’anzianità media in continua crescita. Sono infatti circa 75 mila gli occupati stabili in meno in quindici anni. Una flessione, registrata tra il 2001 e il 2015, che investe principalmente gli uomini, calati di -156.450 unità, a fronte di una crescita per le donne di +28.232 unità. Mentre l’occupazione flessibile cala, lungo questo stesso periodo, di oltre 40 mila unità. Sono alcuni dei dati che emergono dal ‘Primo report annuale sull’occupazione nelle pubbliche amministrazioni’, nello specifico per quanto riguarda i comparti Funzioni Centrali, Funzioni Locali e Sanità, realizzato dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio: uno studio che ripercorre l’andamento dell’occupazione nelle pubbliche amministrazioni, della sua qualità e delle prospettive che chiamano in causa il tema del turn over, di piani assunzionali e di processi di stabilizzazione del lavoro precario.

Occupazione stabile – Nel dettaglio di questi primi numeri, che forniscono la cornice del rapporto, la dinamica occupazionale registrata tra il 2001 e il 2015 è decrescente lungo tutto il periodo (per un totale di -75.368 unità). Sempre prendendo in considerazione la dinamica dell’occupazione stabile, lungo i 15 anni in esame, il rapporto della Cgil evidenzia la crescita del part time che aumenta di +29.498 unità a fronte di un calo del full time di -104.866 unità. Un dato che in percentuale registra una crescita del part time pari all’85% e un calo del full time del 18%. Entrando nello specifico dei comparti, la dinamica dell’occupazione stabile a fine 2015 era così costituita: 19% enti centrali, 36% enti locali, 42% sanità (e 2% varie). In termini assoluti sono le amministrazioni del comparto Enti Locali a subire la maggiore riduzione, pari a -80.695 unità, a seguire le Funzioni Centrali, con -47.537 unità. Il comparto Sanità, sempre lungo i 15 anni presi in esame, si riduce di 35.026 unità, pari al 5% dell’organico stabile.

Occupazione flessibile – La dinamica dell’occupazione flessibile registra anch’essa una flessione lungo il periodo in esame. Tra il 2001 e il 2015, infatti, le unità annue con contratto di tipo flessibile diminuiscono da 138.849 a 98.405 per un totale di -40.444 unità. Dal punto di vista delle tipologie contrattuali che danno vita a questi rapporti di lavoro, l’andamento rilevato è dipeso in larga misura dalla dinamica del lavoro a termine e degli Lsu. Quest’ultima componente è quella che perde più terreno. Le variazioni del lavoro a termine invece spingono verso l’alto il numero di unità tra il 2001 e il 2007 per poi contribuire insieme agli Lsu alla riduzione fino al 2015.

Anzianità – Nel 2015 i lavoratori stabili con anzianità superiore a 36 anni è pari a 103.099 unità. Il 39% di questi lavoratori presta attualmente servizio pressi gli Enti Locali, mentre il 34% nella Sanità e il restante 29% negli enti del comparto centrale. Dai dati del rapporto emerge, inoltre, proprio in ragione di un’anzianità di servizio in crescita, che le cessazioni legate al collocamento a riposto per limiti di età e dimissioni con diritto alla pensioni risultano essere in progressione: 30.082 nel 2013, 36.745 nel 2014 e 52.679 nel 2015. Lungo questo trend si prevede che in tutta la pubblica amministrazione nel 2020 circa 262.000 lavoratori si troveranno nella classe 65 – 67 e 621.000 nella fascia 60-64. Dall’analisi dei dati del Conto Annuale a fine 2016 nelle Funzioni centrali i lavoratori con più di 60 anni di età erano 124.737 in sanità 230.057 e 199.692 nelle funzioni locali. Possiamo ragionevolmente prevedere che circa il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori dei tre comparti presi in esame nei prossimi 3-6 anni potrebbe raggiungere i requisiti per la pensione. Per mantenere almeno l’attuale livello dei servizi e delle prestazioni negli stessi comparti è necessario assumere nei prossimi 3-6 anni 500.000 lavoratori.

Spesa per il personale – Nonostante il blocco delle retribuzioni, la spesa per macro aggregati è aumentata lungo il periodo in esame, sebbene il numero di occupati stabili diminuisca di 75 mila unità nei quindici anni presi in esame. Tale dinamica trova la sua origine nell’interazione tra blocco del turn over, così come della contrattazione a partire dal 2009, e differimento dell’età pensionabile che mantiene in servizio lavoratrici e lavoratori molto sopra la media.

Conclusioni simili a quelle già evidenziate dalla Ragioneria dello Stato. Per quanto riguarda il costo del lavoro flessibile, tra il 2001 e il 2015 si rileva un aumento del 56%, concentrato tra il 2001 e il 2007 (picco a 3,8 miliardi), coerentemente con l’aumento del numero di unità lavorate, per poi calare. Nel 2015 la spesa per costo del lavoro flessibile rimane inferiore di circa 870 milioni rispetto al 2007.

La distribuzione assoluta per tipologia di lavoro flessibile è coerente con i dati del personale occupato. In particolare, il lavoro a termine occupa nel 2015 il 77,5% del costo totale per il lavoro flessibile in aumento rispetto al 62,7% del 2001. Diminuisce il costo per le collaborazioni, che passa dal 17% al 10% e quello degli Lsu dall’8,2% all’1,6%, coerentemente con la dinamica del numero di unità annue.

Conclusioni – Il quadro che emerge da un’analisi di medio periodo dell’impiego nelle funzioni pubbliche evidenzia una dinamica a due fasi: la prima, relativa al periodo 2001-2008, dove la riduzione del personale stabile si è accompagnata all’aumento del precariato senza che questo risultasse in un risparmio per le casse dello Stato. La seconda fase, iniziata con la crisi del 2008, si caratterizza per una riduzione sia del personale stabile che di quello precario.

Le politiche economiche a monte di tale andamento, concentrate principalmente nel blocco del turn over e dei contratti, a cui va aggiunta la riforma sulle pensioni, rivelano i propri limiti nel raggiungere gli obiettivi formalmente dichiarati di contenimento della spesa pubblica. Infatti, se da un lato la compressione della spesa, cioè il suo minore aumento, è avvenuto grazie al contenimento dell’occupazione pubblica; dall’altro, la composizione dell’occupazione per anzianità e tipologia crea un disequilibrio nel medio periodo.

È necessario iniziare a programmare un piano di assunzioni coerente con le esigenze della Pa di garantire un adeguato livello di servizi, tenendo conto non soltanto delle variazioni intervenute in questi ultimi anni ma soprattutto delle esigenze della società a cui la risponde il servizio pubblico.

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