I disturbi mentali sono in aumento ma nonostante questo stigmatizzati e non seguiti come dovrebbero: mancano i medici e la spesa è ridotta all’osso. Una battaglia prima di tutto culturale.

L’aumento di un fenomeno lascerebbe immaginare una progressiva e approfondita conoscenza dello stesso. Eppure non avviene questo per la salute mentale in Italia. Aumenta, infatti, il numero di persone che presentano disturbi psichiatrici ma questo non ne impedisce la stigmatizzazione, portando queste persone a vivere la malattia in solitudine e con una certa vergogna. Un problema culturale che non investe solo l’opinione pubblica ma anche chi sta dall’altra parte e dovrebbe garantire il benessere e la salute dei cittadini, oltre che la diffusione della cultura. Infatti la politica investe nella salute mentale risorse che sono al minimo, impedendo la realizzazione di servizi alla persona che siano efficienti, tempestivi e adeguati. Ma vediamolo con i numeri.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia sono circa 6 milioni le persone con disturbi psichiatrici o a rischio di disturbi ansiosi e depressivi. Di questi ne vengono seguiti appena 800 mila. Si registra inoltre che stia calando di anno in anno il numero di prestazioni sanitarie erogate: ben 400 mila prestazioni in meno in un anno, dal 2016 al 2017 (passando da 11 milioni e 800 mila a 11 e 400 mila circa), secondi i dati diffusi pochi giorni fa dalla Società italiana di Psichiatria, in occasione della Giornata mondiale della Salute Mentale.
D’altro canto sono sempre meno i professionisti che possono occuparsene. Subiamo infatti una carenza di personale nella salute mentale di circa 9 mila operatori.
La causa di tutto questo è da ricercarsi nelle risorse che lo Stato mette a disposizione
. Per i servizi di salute mentale, infatti, è prevista una spesa pari al 5% della spesa totale del Servizio Sanitario Nazionale. In Italia, però, riserviamo alla salute mentale appena il 3,5% della spesa complessiva.

L’assenza di investimenti sulla salute mentale sta creando un circolo vizioso per il quale il fenomeno si accresce. Niente investimenti vuol dire niente personale, niente personale vuol dire l’impossibilità di intervenire adeguatamente e per tempo nella cura della persona. I pochi medici a disposizione non hanno modo di dedicarsi alla prevenzione e di seguire adolescenti e giovani, sin dalla comparsa dei primi disturbi d’ansia, evitandone il peggioramento o la cronicizzazione. La scarsità di risorse obbliga il personale a intervenire esclusivamente su situazioni già gravi e croniche.

Ciò che deve cambiare, infatti, è prima di tutto la cultura che ruota intorno al tema della salute mentale, ancora stigmatizzata e poco conosciuta nel nostro Paese nonostante i tempi in cui viviamo. Tre dunque i grandi obiettivi della Funzione Pubblica Cgil in merito: potenziare i servizi per diminuire i casi di cronicità, più psicoterapia nei servizi pubblici e soprattutto prevenzione. “La malattia mentale non è una vergogna, è una malattia come tutte le altre. Recuperare l’idea di una cura possibile consente di abbattere quelle mura che lo stigma nei confronti della malattia ha creato”, commenta così Andrea Filippi, segretario nazionale della Fp Cgil Medici e prosegue: “Dobbiamo rilanciare la promozione della salute e rilanciare la prevenzione”.

Quando capiremo l’importanza di trattare il tema della salute mentale con cura, allora forse saranno destinate più risorse, aumenteranno i medici in grado di curare e spesso non sarà neanche più necessario curare perché si sarà saputo prevenire.

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