Lavoratori pubblici sempre meno e più anziani, con contratti scaduti. Sabato 8 giugno in piazza a Roma perché ‘Il Futuro è Servizi Pubblici’

Sempre meno e più anziani, con retribuzioni che risentono dei lunghi anni di blocco dei contratti, risorse al minimo per i prossimi rinnovi. È il quadro dei Servizi Pubblici che rischiano di implodere, sotto il peso di scelte politiche che li hanno svuotati.

In un report di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa sui numeri che disegnano lo stato dei Servizi Pubblici le ragioni della manifestazione in programma sabato 8 giugno in piazza del Popolo, a Roma, dal titolo ‘Il Futuro è Servizi Pubblici’, a difesa del valore dei servizi pubblici. L’appuntamento è alle ore 9 in piazza della Repubblica, con un corteo che arriverà fino in piazza del Popolo dove si terranno gli interventi conclusivi. Parteciperanno anche i segretari generali confederali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

Numero di dipendenti, età media e pensionamenti

Secondo una rielaborazione del Conto Annuale fatta dalle categorie dei servizi pubblici di Cgil, Cisl e Uil emerge che dal 2008 al 2017 ci sia stato un grave fenomeno di decrescita del numero di lavoratori nel pubblico impiego. Infatti, nel giro di appena 9 anni c’è stata una riduzione di personale pari al 7,5%, complessivamente 257.661 unità. In Italia 13 lavoratori su 100 lavorano nel pubblico, 7 persone in meno rispetto alla Francia, dove gli impiegati pubblici sono 20 su 100. Inoltre, il personale dei servizi pubblici ha un’età media che negli anni è avanzata, passando dai 47 anni medi del 2001 ai 51 anni del 2017. Attualmente, i dipendenti che superano i 60 anni di età sono 394 mila; sono invece 658 mila quelli tra i 55 e i 59 anni di età. Secondo le stime, dunque, nei prossimi tre anni saranno almeno 500 mila i pensionamenti previsti (anche in relazione all’entrata in vigore di Quota 100), rimpiazzati unicamente da 33 mila assunzioni straordinarie previste dalla legge di Bilancio 2019. Assunzioni che non saranno immediate ma cui, al contrario, si procederà nei prossimi 5 anni.

 

Retribuzione

Nell’elaborazione dei dati del Conto Annuale, un piccolo focus è stato dedicato alla retribuzione media complessiva dei dipendenti pubblici. Ciò che ne è emerso è che negli ultimi 9 anni, dal 2010 ad oggi, la crescita delle retribuzioni si è sostanzialmente arrestata. Infatti, nel 2010 la retribuzione media di un dipendente pubblico era di 34.687 euro, nel 2017 si è persino scesi a 34.491 euro. Il costo della vita aumenta e le retribuzioni rimangono ferme.

Contratti

Per quanto riguarda i contratti nazionali di lavoro del pubblico impiego, secondo le risorse stanziate dalla legge di Bilancio per il 2019, sono previsti – fanno sapere i sindacati – degli incrementi molto contenuti. In percentuale, gli incrementi previsti sono dell’1,3% per il 2019, 1,65% per il 2020 e 1,95% per il 2021. Sottolineano le categorie che lo scorso rinnovo contrattuale (2016-2018), aveva previsto un incremento del 3,48%, cui risultò un aumento medio di 85 euro lordi. Il previsto incremento dell’1,95% consentirebbe, dunque, aumenti inferiori.

Per quanto riguarda, invece, i contratti privati, di settori che erogano servizi pubblici, molti di questi sono fermi da diversi anni. È il caso, per esempio, della sanità privata, con un contratto bloccato dal 2006, e che interessa una platea di 300 mila lavoratori, tra infermieri, radiologi, operatori socio-sanitari, fisioterapisti e tutti i professionisti della salute. Così come la gran parte dei contratti del terzo settore, per circa 400 mila lavoratori, sono in attesa di rinnovo.

Conclusioni

Quello che emerge è un quadro dei servizi pubblici nel nostro paese al collasso, in mancanza di risorse adeguate per fornire servizi efficienti e di qualità ai cittadini. Una tendenza di svalutazione e delegittimazione che va invertita attraverso investimenti adeguati per il rinnovo dei contratti e un piano straordinario di assunzioni che sopperisca all’elevato numero di pensionamenti. Per questo saremo in piazza, per difendere il valore dei servizi pubblici. Perché non c’è futuro senza lavoro. E non c’è uguaglianza senza servizi pubblici.

Nelle Marche in media 110 giorni di attesa, aumenta la spesa verso le visite private

Un’attesa lunga due mesi per effettuare una visita medica nella sanità pubblica, a fronte di una sola settimana nel privato, “effetto di un progressivo definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale”. Sono sempre più lunghi, infatti, i tempi di attesa per visite nel pubblico e costi sempre meno distanti con il privato, come emerge dal secondo Rapporto ‘Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni sanitarie nei Sistemi Sanitari Regionali’, promosso dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Fondazione Luoghi Comuni e elaborato da Crea. Uno studio che prende in considerazione 11 prestazioni sanitarie (specialistiche e diagnostiche) senza esplicita indicazione di urgenza, erogate da 8 regioni e da 326 strutture sanitarie (195 private e 131 pubbliche).

 

Tempi di attesa.

Il primo dato evidente che emerge dallo studio è che i tempi medi di attesa per effettuare una visita medica attraverso il Sistema Sanitario Nazionale sono nettamente maggiori rispetto a quelli dell’offerta privata: 60 giorni nel pubblico (due mesi) a fronte di 9 nell’intramoenia, 7 nel privato e 39 per il privato convenzionato. Nel dettaglio delle prestazioni, i giorni di attesa della Sanità pubblica sono estremamente lunghi: per esempio, 112 giorni per una Colonscopia (quasi quattro mesi di attesa), contro 11 giorni di attesa in intra-moenia, 79 nel privato convenzionato e appena 11 nel privato. Attese medie che risultano aumentare rispetto allo scorso anno, tranne che per il privato che si mantiene stabile.

 

Costi.

Per quanto riguarda i costi delle prestazioni sanitarie, dallo studio Fp Cgil emerge un dato sconcertante. Circa la metà delle prestazioni mediche prese in considerazione ha un costo inferiore nel privato piuttosto che in intra-moenia. È il caso, per esempio, della ecocardiografia, che in intra-moenia costa in media 109 euro, contro i 98 del privato. Insomma, non solo costi competitivi, in considerazione di tempi di attesa enormemente inferiori, ma addirittura spesso sovrapponibili o più economici dei costi sostenuti per il ticket. Questo spiega il sempre più frequente ricorso a spese ‘out of pocket’ (di tasca propria) per effettuare visite mediche private. La spesa privata dei cittadini, infatti, arriva a quasi 35 miliardi di euro, di cui ben il 92% out of pocket.

 

Confronto tra regioni.

Aspetto importante e significativo, che rappresenta un valore aggiunto rispetto allo studio della Funzione Pubblica Cgil dello scorso anno, è quello che, partendo dai valori medi dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie pubbliche, indaga il confronto tra le regioni, scattando una fotografia della situazione della sanità pubblica in Italia. Si mostra infatti evidente il divario che intercorre tra alcune regioni del paese. La regione che eccelle, in termini di tempi di attesa per le prestazioni mediche, è l’Emilia Romagna con una media di 30 giorni di attesa, a seguire Liguria e Campania, poi il Veneto, la Sicilia, la Lombardia, il Lazio, per ultima le Marche con una media di 110 giorni di attesa per una visita nella sanità pubblica. Nello specifico delle visite specialistiche, ad esempio per una visita ortopedica sono 19 i giorni di attesa in Emilia Romagna, contro addirittura i 91 giorni delle Marche.

 

Conclusioni.

“Alla luce di quanto emerso, risulta evidente quanto sia urgente e non più rinviabile un investimento straordinario in termini di risorse, personale, professionalità e tecnologie in tutto il nostro Servizio Sanitario nazionale che mostra evidenti segni di collasso con gravi e profonde ripercussioni sulle sue caratteristiche di universalità”, commenta la Funzione Pubblica Cgil. “Uno dei principali obiettivi della sanità pubblica è l’universalità del servizio. Un principio che però, di fatto, si scontra con la realtà – sottolinea -: allo stato attuale il Servizio Sanitario Nazionale spesso non è in grado di garantire servizi adeguati. Assistiamo da una parte ad un incremento dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, dall’altra ad una progressiva dilatazione della spesa ‘out of pocket’ (di tasca propria) per visite mediche private. Il progressivo definanziamento del Servizio Sanitario nazionale – prosegue la categoria della Cgil dei servizi pubblici – ha creato inefficienze che portano ad allungare le liste di attesa e incentivano lo sviluppo di un’offerta privata spesso concorrenziale, tanto per il costo quanto per i tempi di risposta”.

Altro aspetto non trascurabile, secondo la Fp Cgil è quello delle “forti disparità regionali, in termini di equità e di carenze organizzative, con il dato di eccellenza di regioni come l’Emilia Romagna, un esempio di ‘best practice’ che dimostra come sia in effetti possibile migliorare, in un tempo relativamente breve, le performance. Non è un caso – aggiunge – che l’Emilia Romagna nell’ultimo biennio abbia investito sul personale (con oltre 5mila assunzioni, di cui 1.450 precari stabilizzati) e sui sistemi di controllo informatizzati, strumento fondamentale per un governo pubblico e trasparente dei flussi di accesso alle prestazioni sanitarie. Quello delle liste di attesa rimane ad oggi un problema che si colloca in cima alla lista delle ragioni di insoddisfazione dei cittadini verso il servizio sanitario. Il caso dell’Emilia Romagna, per altro, emerge anche per il forte investimento nella qualità delle relazioni negoziali con il Sindacato su questi temi e gli esiti di questo processo ne sono il frutto”, conclude la Fp Cgil.

Studio Fp e Fdv su 15 anni in comparti Funzioni Centrali, Locali e Sanità

Occupazione in progressiva diminuzione nella Pa, sia quella stabile che flessibile, con un’anzianità media in continua crescita. Sono infatti circa 75 mila gli occupati stabili in meno in quindici anni. Una flessione, registrata tra il 2001 e il 2015, che investe principalmente gli uomini, calati di -156.450 unità, a fronte di una crescita per le donne di +28.232 unità. Mentre l’occupazione flessibile cala, lungo questo stesso periodo, di oltre 40 mila unità. Sono alcuni dei dati che emergono dal ‘Primo report annuale sull’occupazione nelle pubbliche amministrazioni’, nello specifico per quanto riguarda i comparti Funzioni Centrali, Funzioni Locali e Sanità, realizzato dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio: uno studio che ripercorre l’andamento dell’occupazione nelle pubbliche amministrazioni, della sua qualità e delle prospettive che chiamano in causa il tema del turn over, di piani assunzionali e di processi di stabilizzazione del lavoro precario.

Occupazione stabile – Nel dettaglio di questi primi numeri, che forniscono la cornice del rapporto, la dinamica occupazionale registrata tra il 2001 e il 2015 è decrescente lungo tutto il periodo (per un totale di -75.368 unità). Sempre prendendo in considerazione la dinamica dell’occupazione stabile, lungo i 15 anni in esame, il rapporto della Cgil evidenzia la crescita del part time che aumenta di +29.498 unità a fronte di un calo del full time di -104.866 unità. Un dato che in percentuale registra una crescita del part time pari all’85% e un calo del full time del 18%. Entrando nello specifico dei comparti, la dinamica dell’occupazione stabile a fine 2015 era così costituita: 19% enti centrali, 36% enti locali, 42% sanità (e 2% varie). In termini assoluti sono le amministrazioni del comparto Enti Locali a subire la maggiore riduzione, pari a -80.695 unità, a seguire le Funzioni Centrali, con -47.537 unità. Il comparto Sanità, sempre lungo i 15 anni presi in esame, si riduce di 35.026 unità, pari al 5% dell’organico stabile.

Occupazione flessibile – La dinamica dell’occupazione flessibile registra anch’essa una flessione lungo il periodo in esame. Tra il 2001 e il 2015, infatti, le unità annue con contratto di tipo flessibile diminuiscono da 138.849 a 98.405 per un totale di -40.444 unità. Dal punto di vista delle tipologie contrattuali che danno vita a questi rapporti di lavoro, l’andamento rilevato è dipeso in larga misura dalla dinamica del lavoro a termine e degli Lsu. Quest’ultima componente è quella che perde più terreno. Le variazioni del lavoro a termine invece spingono verso l’alto il numero di unità tra il 2001 e il 2007 per poi contribuire insieme agli Lsu alla riduzione fino al 2015.

Anzianità – Nel 2015 i lavoratori stabili con anzianità superiore a 36 anni è pari a 103.099 unità. Il 39% di questi lavoratori presta attualmente servizio pressi gli Enti Locali, mentre il 34% nella Sanità e il restante 29% negli enti del comparto centrale. Dai dati del rapporto emerge, inoltre, proprio in ragione di un’anzianità di servizio in crescita, che le cessazioni legate al collocamento a riposto per limiti di età e dimissioni con diritto alla pensioni risultano essere in progressione: 30.082 nel 2013, 36.745 nel 2014 e 52.679 nel 2015. Lungo questo trend si prevede che in tutta la pubblica amministrazione nel 2020 circa 262.000 lavoratori si troveranno nella classe 65 – 67 e 621.000 nella fascia 60-64. Dall’analisi dei dati del Conto Annuale a fine 2016 nelle Funzioni centrali i lavoratori con più di 60 anni di età erano 124.737 in sanità 230.057 e 199.692 nelle funzioni locali. Possiamo ragionevolmente prevedere che circa il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori dei tre comparti presi in esame nei prossimi 3-6 anni potrebbe raggiungere i requisiti per la pensione. Per mantenere almeno l’attuale livello dei servizi e delle prestazioni negli stessi comparti è necessario assumere nei prossimi 3-6 anni 500.000 lavoratori.

Spesa per il personale – Nonostante il blocco delle retribuzioni, la spesa per macro aggregati è aumentata lungo il periodo in esame, sebbene il numero di occupati stabili diminuisca di 75 mila unità nei quindici anni presi in esame. Tale dinamica trova la sua origine nell’interazione tra blocco del turn over, così come della contrattazione a partire dal 2009, e differimento dell’età pensionabile che mantiene in servizio lavoratrici e lavoratori molto sopra la media.

Conclusioni simili a quelle già evidenziate dalla Ragioneria dello Stato. Per quanto riguarda il costo del lavoro flessibile, tra il 2001 e il 2015 si rileva un aumento del 56%, concentrato tra il 2001 e il 2007 (picco a 3,8 miliardi), coerentemente con l’aumento del numero di unità lavorate, per poi calare. Nel 2015 la spesa per costo del lavoro flessibile rimane inferiore di circa 870 milioni rispetto al 2007.

La distribuzione assoluta per tipologia di lavoro flessibile è coerente con i dati del personale occupato. In particolare, il lavoro a termine occupa nel 2015 il 77,5% del costo totale per il lavoro flessibile in aumento rispetto al 62,7% del 2001. Diminuisce il costo per le collaborazioni, che passa dal 17% al 10% e quello degli Lsu dall’8,2% all’1,6%, coerentemente con la dinamica del numero di unità annue.

Conclusioni – Il quadro che emerge da un’analisi di medio periodo dell’impiego nelle funzioni pubbliche evidenzia una dinamica a due fasi: la prima, relativa al periodo 2001-2008, dove la riduzione del personale stabile si è accompagnata all’aumento del precariato senza che questo risultasse in un risparmio per le casse dello Stato. La seconda fase, iniziata con la crisi del 2008, si caratterizza per una riduzione sia del personale stabile che di quello precario.

Le politiche economiche a monte di tale andamento, concentrate principalmente nel blocco del turn over e dei contratti, a cui va aggiunta la riforma sulle pensioni, rivelano i propri limiti nel raggiungere gli obiettivi formalmente dichiarati di contenimento della spesa pubblica. Infatti, se da un lato la compressione della spesa, cioè il suo minore aumento, è avvenuto grazie al contenimento dell’occupazione pubblica; dall’altro, la composizione dell’occupazione per anzianità e tipologia crea un disequilibrio nel medio periodo.

È necessario iniziare a programmare un piano di assunzioni coerente con le esigenze della Pa di garantire un adeguato livello di servizi, tenendo conto non soltanto delle variazioni intervenute in questi ultimi anni ma soprattutto delle esigenze della società a cui la risponde il servizio pubblico.

Andamento e prospettive nel lavoro pubblico, a Roma in via Leopoldo Serra alle 14.30

Primo report annuale sull’occupazione nelle pubbliche amministrazioni. Appuntamento giovedì 5 aprile a Roma presso la sede nazionale della Funzione Pubblica Cgil in via Leopoldo Serra 31 alle ore 14.30 dove la Funzione Pubblica Cgil e la Fondazione Di Vittorio presenteranno il primo rapporto sul lavoro nei servizi pubblici, centrato sul tema occupazione, a cura della ricercatrice e Phd in economics alla SciencesPo di Parigi, Marta Fana.

Alla presentazione del rapporto, oltre a Marta Fana, parteciperanno Daniele De Angelis, coordinatore Nazionale Tirocinanti Giustizia Fp Cgil; Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio; Elisa Marchetti, Unione degli Universitari; Alessio Mercanti, presidente Comitato idonei concorsi pubblici ‘27 Ottobre’; Serena Sorrentino, segretaria generale Fp Cgil; Claudio Treves, segretario generale Nidil Cgil; Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil.

Il report, che nasce dall’Osservatorio nazionale sul lavoro nel sistema dei servizi pubblici istituito da Funzione Pubblica Cgil e Fondazione Di Vittorio, ripercorre l’andamento dell’occupazione nelle pubbliche amministrazioni, della sua qualità e delle prospettive che chiamano in causa il tema del turn over, di piani assunzionali e di processi di stabilizzazione del lavoro precario. Appuntamento quindi a Roma il 5 aprile alle ore 14.30 nella sede nazionale della Funzione Pubblica Cgil in via Leopoldo Serra.

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