EPSU – Under Pressure – Trade Union Support for Young People Facing Stress and Anxiety – Webinar

16 Novembre 2020

Under Pressure – Trade Union Support for Young People Facing Stress and Anxiety – Webinar

Gli interventi sono stati aperti da una breve presentazione di Jakob Embacher: secondo recenti stime, il 55% dei giovani in Europa è oggi a rischio depressione1. Tale rischio copre sia chi è già nel mercato nel lavoro che coloro, e a maggior ragione, che ne sono ancora fuori.
Hana Llabjiani: la prima relatrice a prendere la parola è la rappresentante del sindacato del Kosovo. Ha sottolineato in particolar modo l’esposizione dei/delle lavoratori/lavoratrici del settore sanitario. Paura di contagio (per loro e per la loro famiglia), turni particolarmente lunghi e stress emotivo/psicologico sono gli elementi che ne hanno caratterizzato gli ultimi mesi di lavoro in tale settore. Sebbene questi lavoratori e lavoratrici abbiano dimostrato una grande resilienza sino ad oggi, il colpo di coda di questi mesi sarà pagato in termini di ansia e depressione.
Le consultazioni intercorse con tali operatori hanno infatti sottolineato la penuria di dispositivi di protezione per il personale, la lunghezza dei turni e una non adeguata turnazione con i periodi di riposo, oltre che l’insorgere di forme di stress dovute anche alla responsabilità morale da loro sentita nei confronti dei pazienti. Allo stato dei fatti, non sono garantite condizioni di lavoro adeguate e di sicurezza.
La mancata gestione dei rischi di legati allo stress potranno dunque avere gravi ripercussioni psicologiche a lungo termine, verso le quali non v’è adeguata protezione.
Massimiliano Mascherini: secondo relatore della giornata, è responsabile dell’unità inclusione sociale presso Euro-Fund. La sua presentazione si è concentrato sul recente studio EF indetto sugli impatti economici e sociali dell’attuale crisi, effettuato su un campione di 967 persone.
È emerso, in linea con i risultati di altri studi, che gli individui maggiormente colpiti sono gli under-15; tuttavia, gli under-30 sono altrettanto colpiti in termini di ingresso (o permanenza) nel mercato occupazionale e in perdita di benessere.
In particolare (vedasi slides nelle ultime pagine per un più immediato raffronto), gli under30 hanno sperimentato maggiori perdite in termini di posti di lavoro rispetto agli over, maggiori rischi di licenziamento nei prossimi tre mesi e un incremento delle ore lavorative. Per contro, gli over-30 hanno registrato solo una decrescita delle ore lavorative, dovute con ogni probabilità a smart working e confinamento.
I numeri relativi ai rischi di depressione e solitudine da aprile a luglio 2020 rappresentano il medesimo trend, con un maggiore rischio per gli under-30, sebbene questo non abbia intaccato il loro ottimismo verso il futuro post-crisi. In effetti, gli under-30 sono risultati essere più inclini ad avere fiducia nei media main-stream per il reperimento di notizie, nei governi ed istituzioni, nell’Unione Europea e nel sistema sanitario. Questo, come sottolineato dal relatore, riguarda una situazione pre-estate 2020: quello a cui assistiamo ora sono invece la partecipazione ad episodi di rivolta, e il dato potrebbe essere sensibilmente cambiato. In generale, l’unico dato in cui gli over.30 si sono mostrati più fiduciosi è quello nei confronti delle Forze dell’Ordine.

1 https://www.eurofound.europa.eu/pl/publications/blog/youth-in-a-time-of-covid
Quella che è iniziata come una crisi sanitaria si sta manifestando, in conclusione, come un fattore di crisi socio-economica, trasversale a tutte le fasce demografiche della popolazione attiva e come tale deve essere analizzata e affrontata. Prof. Judit Balzas: Professoressa dell’Università di Budapest, presiede la European Psychiatric Association (EPA) la cui missione è incrementare le statistiche di salute mentale nel continente. Circa il 10% dei cittadini europei soffre di disturbi cognitivi (risultanti in depressioni, ansie e abuso di sostanze) dei quali il 20% mostrano sintomi allarmanti. Ha dunque presentato una ricerca condotta per la SEYLE, pubblicata nel Journal of Child Psychology and Psychiatry e avente ad oggetto proprio l’impatto su giovani e teenager del COVID-19 (vedi slide all’ultima pagina).
È emerso che i drivers dei disturbi cognitivi nei giovani sono l’incertezza dovuta a potenziali perdite (dal lavoro alle amicizie al nucleo famigliare), scarso riposo, stress e ansia. Si è registrata altresì una riduzione dell’efficacia dei trattamenti, sicché in definitiva i giovani sono oggi maggiormente a rischio e meno rispondenti alle terapie (spesso perché interrotte per ragioni di distanziamento). Come risposta l’EPA, assieme alla Columbia University di New York, ha dunque implementato una iniziativa denominata Youth Awareness Mental Health (YAMH) allo scopo precipuo di sviluppare interventi di consapevolezza di sé, auto-aiuto, e prevenzione di rete ai rischi di depressione o suicidi, con risultati incoraggianti.
Resta però il dato allarmante che, come in altri settori sanitari, il sistema di prevenzione e contenimento sta saltando.
Josef Holnburger: ultimo relatore del webinar, è rappresentante per il sindacato di Amburgo DBG sezione giovanile (GermTradUniConf. Hambourgh DBGJugen) ed ha presentato uno studio promosso dal sindacato per il 2020 sul tema del “buon lavoro” dei giovani lavoratori (“DBG Index Gute Arbeit”).
Si prende nota del fatto che lo studio era previsto dal 2019 e che dunque attinge a dati pre-Covid. È stato condotto con due approcci: uno individuale (guidence/counseling) a uno di monitoraggio collettivo.
Quello che più interessa (il collettivo) ha rappresentato che il 58% dei lavoratori percepiva il proprio lavoro come molto buono rispetto alla tutela della propria salute, ma il 42% aveva comunque espresso un voto da appena soddisfacente a molto scarso. La principale questione era legata alle ore lavorative; infatti, sebbene la Arbeitszeitgesetz preveda una giornata lavorativa di 8 ore per un massimo di 48 settimanali, la stessa legislazione prevede l’estendibilità in malam partem fino a 10 ore giornaliere (e lo stesso per il tetto settimanale di 48 ore) purché la media mensile non ecceda quella semestrale, che deve restare di 8 ore, e comunque quella giornaliera intesa su 24 ore (in altre parole: solo il riposo continuativo è salvaguardato).
Ciò però aumenta i rischi di malessere psicologico, soprattutto in certe professioni altamente stressanti. Il risultato è che, spesso, il 47% dei lavoratori intervistati ha lavorato per più di 48 settimanali, risultando così in una carenza di sonno e in una crescita delle situazioni di depressione.
Interessante è la metodologia di raccolta dati, che si è riverberata al contempo in uno strumento di aiuto e supporto psicologico per i lavoratori. Il risk assesment è stato infatti condotto attraverso un test online che prevedeva la pubblicazione in bacheca di commenti e di domande (in forma anonima) dei lavoratori. In questo modo, quando gli esperti del sindacato rispondevano, la stessa risposta poteva essere letta da chiunque avesse le stesse
perplessità, un po’ come avveniva nei vecchi forum online, in modo da condividere la conoscenza e la consapevolezza fra i lavoratori. A tal proposito, si è potuto osservare come le questioni inerenti all’orario lavorativo fossero le seconde in termini assoluti di quelle inserite; terze invece quelle relative alla depressione, mentre la malattia professionale si è classificata 10ma.

Andrea Mosca FP CGIL


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