Il confronto sul sistema di misurazione della performance individuale è proseguito nella serata di ieri, quando le organizzazioni sindacali hanno discusso con l’Amministrazione l’ultima bozza trasmessa.
Le modifiche ivi riportate non mutano il quadro che abbiamo tracciato a valle dei precedenti incontri, permanendo elementi incongruenti che è difficile ignorare.
Per il comparto
L’Amministrazione non retrocede rispetto alla proposta di rivedere ancora una volta a ribasso il peso assegnato agli obiettivi di gruppo. Un elemento di instabilità sistemica che da anni censuriamo. Di più: la formazione continua a essere un elemento della valutazione del singolo, come ventilato da qualche organizzazione nei mesi passati, che ha interpretato – forse suo malgrado – il ruolo di suggeritore occulto. Ciò senza ancoraggi normativi o direttive ministeriali di riferimento. Un elemento che rappresenta un punto di caduta evidente.
In più ai dipendenti è ancora inibita la possibilità di essere parte attiva nel processo di valutazione: l’Amministrazione concepisce il sistema in maniera gerarchica. Così facendo, la valutazione dal basso resta una traccia inutile, priva di ricadute, disancorata dal contesto, appannaggio dei soli titolari di posizione organizzativa. Dopo anni, era lecito aspettarsi più coraggio dalla controparte.
Basta? No. Nella sottosezione per la finalità economica, l’Amministrazione evidenzia che “per valutazione negativa si intende il conseguimento di un punteggio di sintesi finale uguale o inferiore a 85“. Ciò crea un’asimmetria rispetto ai CCNI, dove per avere il trattamento pieno (100%) bastava il punteggio di 90.
È un altro regalo che la contrattazione integrativa intende riservarci, quello dell’innalzamento della soglia? L’Amministrazione, poi, rende il colloquio obbligatorio – nel caso di divergenze valutative – laddove ci sia un punteggio uguale o inferiore a 95. Ma che senso ha fissare la soglia dell’obbligo quando il punteggio richiamato non viene neppure considerato negativo dallo stesso testo?
Per i dirigenti
Nessun passo avanti sostanziale neanche per la valutazione dei Dirigenti dell’Istituto. La timida sperimentazione della valutazione bottom up e peer to peer, a carattere facoltativo e limitato, non fornisce nessun rimedio strutturale a quello che rappresenta invece il vero problema dei dirigenti: la disomogeneità dei metri di giudizio.
Il sistema di valutazione resta strettamente gerarchico, monocratico, esposto a personalismi e sostanzialmente inappellabile. Unico valutatore è sempre e soltanto il superiore diretto, che valuta i comportamenti organizzativi esclusivamente secondo il suo metro soggettivo, senza alcun meccanismo formale di temperamento e di confronto collegiale (Calibrazione).
Ecco che, a parità di caratteristiche osservate, gli stessi comportamenti organizzativi continueranno a sortire valutazioni diverse a seconda del valutatore. In una realtà che si vuole dinamica, flessibile, aperta, collaborativa, gli strumenti di valutazione, gestione e sviluppo delle carriere dei dirigenti oggi sembrano andare in tutt’altra direzione, col rischio di spingere i dirigenti stessi a cercare la benevolenza ed il rapporto personale col capo di turno, anziché stimolare una performance individuale virtuosa.
Il sistema prevede solo un correttivo ex post. Peccato che la richiesta di riesame ad un soggetto terzo si riveli un rimedio blando, se non sterile, considerato che il valutatore non è obbligato a cambiare il proprio “giudizio” neanche qualora questo sia considerato errato. Né, tra i numerosissimi compiti assegnati dal SMVPI al Direttore Generale, figura il potere di rivedere una valutazione palesemente errata!
In questo quadro, abbiamo ribadito l’opportunità di introdurre almeno alcuni correttivi per rendere il sistema più equo, quanto meno dal punto di vista procedimentale, quali una rappresentanza equilibrata del territorio nelle commissioni che decidono i criteri e le eccellenze e la previsione di almeno due verifiche e colloqui infra-annuali di valutazione.
Per i medici e i professionisti
L’unico cambiamento di rilievo nel testo proposto è l’introduzione di una precisa tempistica, al pari che per la dirigenza e per il comparto, per la conclusione del procedimento di gestione delle divergenze tra valutatore e valutato, aspetto questo che inspiegabilmente mancava per professionisti e medici nelle precedenti versioni del testo fin qui proposte.
Per il resto non si ravvisa nel testo proposto nessuno dei miglioramenti richiesti, né sul piano dell’impianto metodologico né su quello lessicale. Permangono anzi le seguenti gravi lacune:
nel Comitato di garanzia per le performance individuali, che ha il compito di indicare ai valutatori indirizzi volti a garantire un processo omogeneo, equo e trasparente, sono presenti solo dirigenti e non anche i coordinatori generali dei professionisti o dei medici;
non è previsto che a coadiuvare il Direttore generale nell’esame delle schede di valutazione di professionisti e medici, siano chiamati i Coordinatori generali né alcun altro soggetto dotato della specifica professionalità;
nella valutazione dei Coordinatori Generali di professionisti e medici, in caso di divergenze valutative, non è previsto, a differenza che per la dirigenza, l’intervento di un comitato di valutazione quale soggetto terzo fra valutato e valutatore.
Modello che potrebbe essere reso peraltro più efficiente a partire, lo ribadiamo, dallo snellimento del catalogo delle “competenze professionali” sulle quali viene espressa la valutazione: troppe
voci, spesso sovrapposte tra loro, assai lontane dalla concreta, quotidiana e gravosissima attività lavorativa di professionisti e medici in INPS.
Con particolare riferimento all’area medica, la distanza tra attese e proposte si fa ancor più evidente. Manca, innanzitutto, il necessario riferimento al codice deontologico – peraltro correttamente richiamato per gli altri professionisti a pag. 27 – nonostante la qualità della prestazione clinico-assistenziale venga descritta come funzione diretta della coerenza con missione e valori istituzionali: un’assenza che appare tanto più paradossale quanto più l’Amministrazione pretende di ancorare la valutazione alle responsabilità proprie dell’agire professionale.
Inoltre, resta nebuloso il perimetro operativo delle UOS funzionali, centrali e periferiche: non figurano tra i coordinamenti centrali, regionali o metropolitani, né viene chiarito quale ruolo assumano, con quali responsabilità e con quali metriche debbano essere valutate.
Come se non bastasse, la descrizione delle competenze continua a rimanere sospesa in un registro di eccessiva generalità, priva di quella necessaria specificità che – sola – potrebbe garantire oggettività, trasparenza e uniformità applicativa.
Un quadro, insomma, che invita più alla prudenza che all’adesione, e che chiede ancora molto lavoro prima di potersi definire compiuto.
Giuseppe Lombardo
Alessandro Casile
Giuseppe Cipriani
Francesco Reali