INPS – Chi avrà la settimana corta

30 Giugno 2025

Anziché concentrarsi sui differenziali stipendiali, cioè sui soldi che seimila lavoratrici e lavoratori attendono, il tavolo del CCNI sta sollecitando l’adozione della “settimana corta”. Giova un ripasso per gli smemorati. Nel mondo occidentale questa espressione evoca una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: ciò per garantire un maggiore benessere a chi lavora e quindi, in maniera indotta, una migliore produzione alla parte datoriale.

Nelle Funzioni Centrali, invece, si è declinato il principio “all’italiana”: con la ratifica del CCNL 2022-2024 si è sancito che la settimana corta comporta lo stesso identico orario lavorativo, ma spalmato su quattro giorni e per giunta con una riduzione simmetrica delle ferie e la perdita dei relativi buoni pasto. Praticamente un affare.

Ebbene, com’è noto l’applicazione di questa sperimentazione è rimessa alla discrezionalità delle Amministrazioni. E qui casca l’asino: perché in INPS la controparte non ha la convinzione che ciò possa portare a un maggior benessere.

Il perché è presto detto: che succede se il dirigente territoriale si muove con pressioni indebite per favorire la sperimentazione? L’opportunità di fare economia sui buoni pasto, e magari risparmiare anche sulla vigilanza se lo strumento diventa la regola anziché l’eccezione, c’è, specie considerando l’interpretazione camaleontica delle regole. In quel caso, come si dovrebbero tutelare i singoli?

E come si fa a dire che un simile provvedimento è un beneficio per i genitori, i quali “guadagnano” un giorno a casa (non si sa bene quale) a patto di montare le tende in ufficio nei quattro giorni di servizio?

E quali sono le conseguenze per chi utilizza lo smart? Deve rinunciare definitivamente al lavoro agile?

Da qui un atteggiamento prudenziale da parte dell’Ente, che sta provocando più di un mal di pancia alle organizzazioni firmatarie, le quali – da par loro – rivendicano l’esigenza di piantare una bandierina, qualcosa che gli consenta di salvare la faccia.

Fin qui il confronto interno. Come se non bastasse, ci si mette di mezzo anche la politica a sbugiardare i nostri eroi.

Capita così che il ministro Ciriani proponga di ridurre l’orario lavorativo dei parlamentari, chiudendo le sedute al giovedì pomeriggio vista la difficoltà nel garantire la presenza di ministri e sottosegretari alle interpellanze del venerdì.

C’è della poesia: la settimana corta prevede lo stesso orario di lavoro se operi in una PA, ma se devi legiferare nell’interesse del paese – se cioè a quelle PA devi dare un chiaro mandato – allora è lecito dare una bella sforbiciata all’orario di servizio.

Stupisce? No di certo. È solo un’altra contraddizione che rivela il carattere penalizzante del “contratto della vergogna”: come dimenticare che mentre ai lavoratori veniva offerto il proverbiale piatto di lenticchie, il Governo – lo stesso che non metteva risorse a sufficienza per la stagione dei rinnovi – si batteva per il riconoscimento di un rimborso straordinario destinato ai Ministri non eletti in Parlamento, il tutto nel mutismo di alcune sedicenti organizzazioni?

Vi avevano detto che col passare dei mesi, alla chetichella, le singole realtà che hanno avversato il CCNL sarebbero andate a firmare. L’unica firma vista, però, è quella che ha portato qualcuno a sedersi tra i banchi del Governo. Ecco, giusto per lui la settimana potrebbe essere corta…Per davvero.

Coordinatore nazionale FP CGIL INPS

Giuseppe Lombardo

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