Grazie alla mobilitazione unitaria delle lavoratrici e dei lavoratori di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl, messa in campo in tutte le regioni del Paese, ieri sera Aiop ha riaperto di fatto il confronto sul rinnovo del contratto nazionale di sanità privata scaduto da ormai quattro anni.
La delegazione Aiop ha aperto l’incontro definendolo “interlocutorio e utile per un reciproco scambio di idee”, anche a fronte delle differenti situazione in cui operano i vari servizi sanitari regionali.
Aiop ha presentato una nuova proposta oggettivamente differente da quella sulla base della quale si arrestò la trattativa nella primavera scorsa, invitando Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, a riflettere su un “nuovo possibile percorso comune”.
La proposta di Aiop è stata preceduta da una sua chiara manifestazione di volontà a inserirsi fra i soggetti contrattuali della Sanità pubblica nell’ottica di un prossimo contratto collettivo nazionale di lavoro unico – sanità pubblica e privata.
Appare evidente quanto questa dichiarata volontà di AIOP trovi più che d’accordo il sindacato confederale (quella del contratto di settore è sempre stata una nostra precisa richiesta); non possiamo, però, non evidenziare, che quella dichiarata da AIOP è e resta, appunto, una manifestazione di volontà e che per questo non può entrare nel novero delle proposte concrete attorno alle quali convenire un percorso comune per la sottoscrizione dei contratti scaduti (non di quelli non ancora aperti).
Per quanto riguarda, allora, il periodo riferito ai bienni contrattuali, anni 2006 – 2007 e 2008 – 2009, l’AIOP ha proposto la possibilità di adeguamento dei tabellari a regime (comprensivi quindi dei due bienni) con decorrenza dalla data di sottoscrizione dell’accordo, con la possibilità di una tantum/arretrati da negoziare a livello regionale, senza alcun riferimento o vincolo a livello nazionale.
La delegazione Cgil Fp, Cisl Fp e Uil Fpl ha ribadito la precisa volontà di ricercare sempre il confronto con Aiop per giungere ad una soluzione positiva e condivisa, ma altrettanto chiaramente ha riconfermato la denuncia dell’enorme ritardo e del silenzio, eticamente ingiustificabili, che accompagnano questo rinnovo contrattuale, soprattutto in riferimento ad altri contratti di sanità privata e a tutti i contratti dei settori pubblici e privati, già applicati da tempo nel Paese.
Abbiamo sottolineato la palese contraddizione della proposta Aiop che di fatto non vuole pagare gli arretrati dei due bienni contrattuali, 2006 – 2007 e 2008 – 2009, ai lavoratori, chiedendo rispetto per i diritti e per la dignità dei lavoratori e delle loro famiglie dopo quanto accaduto in questi lunghi mesi.
Dopo un scambio di opinioni, per alcuni aspetti anche molto vivace, abbiamo comunque convenuto sull’opportunità di mantenere aperto questo confronto, concordando sulla necessità di un prossimo incontro, a breve per un ulteriore approfondimento degli argomenti oggi presentati.
Questa convocazione conferma la validità del nostro percorso sindacale, condiviso unitariamente, ma soprattutto dimostra che intensificando e continuando le forme di mobilitazione è possibile smuovere questi datori di lavoro Aiop.
Oggi, la posta in gioca è molto alta. Non è in discussione solo il diritto al rinnovo del contratto di lavoro ma il rispetto e la difesa di regole e diritti sindacali più generali. Per questi motivi è strategicamente opportuno e necessario continuare la mobilitazione con organizzazione, presenza, determinazione e sinergia di tutto il sindacato confederale.
Deve continuare il messaggio chiaro e forte sia nei confronti dei grandi gruppi proprietari di sanità privata Aiop e sia nei confronti della politica regionale ancora troppo defilata e assente dalla partita.
Certi del vostro personale responsabile impegno e importante collaborazione cogliamo o l’occasione per porgere i più cordiali saluti.
FP CGIL (Fabrizio Frattini) CISL FP (Daniela Volpato) UIL FPL (Maria Vittoria Gobbo)
Roma 23 novembre 2009
Nota di Fabrizio Rossetti, Fp Cgil Nazionale
Molto presumibilmente, il 30 Maggio p.v. verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri inerente il trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Ricordiamo che il decreto entra in vigore dopo quindici giorni dalla data di sua pubblicazione.
Vale ora, a maggior ragione, l’invito già avanzato nelle scorse settimane ad attivarsi affinché si aprano, laddove non ancora aperti, i tavoli di confronto con le Regioni per la trattazione delle questioni contenute nel DPCM.
Roma, 28 maggio 2008
Il 30/09/2008 la Giunta Regionale piemontese ha approvato la delibera 14-9681 con cui si definisce il nuovo modello organizzativo del servizio sanitario penitenziario.
Dopo la deliberazione 2-8947 del 10/06/08 di recepimento del DPCM 01/04/08, e l’accordo sindacale del 04/07/08, quella odierna costituisce l’importante e definitiva svolta nel percorso di riforma della Sanità penitenziaria.
Il Forum Regionale Piemontese per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute ha fin dall’inizio sostenuto il delicato percorso con un contributo propositivo nell’ambito del Gruppo Tecnico per la tutela della salute in carcere, istituito fin dal Novembre 2007, con un’azione di sensibilizzazione del territorio, e di corretta informazione sui contenuti del processo riformatore.
Nelle prossime settimane l’impegno sarà in tal senso intensificato, e vedrà tra le sue priorità la concretizzazione a livello regionale della significativa attenzione rivolta dal Forum Nazionale alla popolazione detenuta che, al pari di molti operatori coinvolti nel passaggio al SSN, vive tuttora una situazione di ansia e di precarietà.
Oggi è comunque il momento per evidenziare l’importanza di una delibera che, in un panorama nazionale ancora incerto e sovente agli albori di un vero processo di trasformazione, istituisce un impianto organizzativo serio e attento alle complesse e variegate esigenze dell’esecuzione penale in tema di domanda di salute.
Di estrema importanza appare l’istituzione sperimentale di un Dipartimento Regionale per la Tutela della Salute in Carcere (DRTSC), con il compito di garantire un’omogeneità di intervento in ambito regionale e si sovrintendere ad un processo di riordino realmente rispondente all’obiettivo di tutela del diritto di salute in ambito penitenziario.
Nel confermare all’Assessore alla Salute, alla Direzione regionale della Sanità e all’Ufficio regionale per la tutela della salute in ambito penitenziario l’apprezzamento per il lavoro finora svolto, si augura un felice e proficuo prosieguo del lavoro e si auspica che l’attività del neo-istituito DRTSC continui a caratterizzare la Regione Piemonte come uno dei più significativi capisaldi dell’importante processo riformatore.
Il presidente del Forum piemontese
Anna Greco
L’esercizio delle funzioni relative all’assistenza sanitaria in carcere è ormai nella piena titolarità del servizio sanitario nazionale.
Il DPCM del 1.4.2008 e le successive delibere dei Consigli regionali hanno sancito la univoca responsabilità delle ASL nella gestione della salute nei luoghi di privazione della libertà personale.
Sono due, più di altre, le questioni che necessitano a questo punto di un ulteriore avanzamento.
La prima è riferibile alla mancata assunzione delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere da parte delle regioni e delle province autonome a statuto speciale.
Non è più sostenibile questo continuo rinvio nel garantire piena copertura delle funzioni di assistenza sanitaria anche per i cittadini detenuti di quelle regioni.
IL Comitato SALUTE-GIUSTIZIA- REGIONI a STATUTO SPECIALE, previsto a tal fine dal DPCM deve poter finalmente produrre, ed in tempi brevi, un accordo che permetta ai relativi servizi sanitari regionali l’assunzione delle funzioni.
La seconda è riferibile all’attività sanitaria di natura psicologica.
Il DPCM, su questo punto, ha lasciato troppe ambiguità.
L’intervento degli psicologi penitenziari non può non rientrare nelle funzioni sanitarie trasferite al SSN e deve essere parte integrante dei piani di intervento qualiquantitivi di ogni singola ASL.
Le residuali attività legate all’ordinamento penitenziario, osservazione e trattamento rieducativi per i detenuti definitivi, possono continuare ad essere garantiti dall’Amministrazione penitenziaria, ma in un rapporto univoco ed organico con i servizi sanitari regionali, così come lo stesso DPCM impone.
Va subito, quindi, individuata una sede di confronto interistituzionale nella quale mettere a sistema ed a organicità gli interventi degli psicologici penitenziari sui cittadini detenuti, in un rapporto di leale collaborazione fra istituzioni che deve saper garantire i diritti dei cittadini detenuti e dei lavoratori stessi.
In quella sede va, inoltre, affrontata la vicenda dei 39 psicologi vincitori di un concorso bandito dall’Amministrazione penitenziaria per i quali lo stesso DPCM prova ad offrire un punto di possibile prospettiva.
Non si perda tempo.
Roma, 30 marzo 2009
La volontà del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di ampliare considerevolmente i posti letto nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto è inaccettabile.
Un’idea che contrasta la chiara volontà del Legislatore: una legge, un decreto legislativo ed un DPCM, hanno già sancito, da più di un anno, il trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
L’amministrazione penitenziaria NON può più assumere alcuna decisione che riguardi l’assistenza sanitaria in carcere né, tantomento, può assumere iniziative che sul tema della salute mentale in carcere collidano con ciò che la legge ha già chiaramente detto essere l’obiettivo della riforma: il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Un’iniziativa, oltretutto, assunta senza riguardo alle future compatibilità economiche che quest’ampliamento comporterebbe e i cui rischi di ingestibilità si scaricherebbero sul servizio sanitario regionale della Sicilia, già finanziariamente in difficoltà.
Il Dipartimento non ha ancora compreso, o forse non vuol comprendere, i nuovi limiti delle sue responsabilità istituzionali sul tema del diritto alla salute.
Per questo la Fp Cgil ha chiesto al Ministro della Giustizia, On. Angelino Alfano, di dare disposizioni affinché si sospenda immediatamente qualsivoglia operazione che riguardi l’assistenza sanitaria in carcere, compresa quella che deve essere assicurata negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Invece di sperimentarsi in progetti inadeguati, anche sotto il profilo delle compatibilità normative ed istituzionali, il DAP provi a rendere più concreto ed attivo quel principio di lealtà istituzionale alla base della riforma sanitaria penitenziaria.
Lo stesso principio che richiederebbe all’Amministrazione carceraria spinte propulsive e non difensive nel rapporto con le istituzioni democratiche del Servizio Sanitario Nazionale.
Roma 29 Aprile 2009
Prima di sperimentarsi, per l’ennesima volta, in un Piano carceri che, comunque sia, si rivelerà un fallimento, il Governo restituisca ciò che ha maltolto al Servizio Sanitario Nazionale sul tema dell’assistenza sanitaria in carcere.
Sono ormai quasi due anni che i Servizi Sanitari Regionali e le ASL hanno assunto la funzione di assistenza sanitaria per le persone momentaneamente private della libertà personale senza che a ciò sia corrisposto un solo euro in più nei loro bilanci.
Degli oltre 320 milioni di euro previsti dalla legge di riforma per il 2008 e 2009 sono solo 32 quelli che ad oggi sono stati trasferiti nei bilanci delle ASL; i restanti sono ancora nelle mani del Ministro dell’Economia che continua a trattenerli illegittimamente.
E ciò a fronte, oltretutto, del considerevole aumento della popolazione detenuta registratosi negli ultimi 24 mesi.
Come è ulteriormente sostenibile una situazione che vede le ASL aver assunto questa nuova e delicatissima attività senza quelle risorse che lo stesso legislatore aveva ritenuto necessario per il passaggio delle funzioni di assistenza dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale?
All’insostenibilità di questa situazione si aggiungono gli effetti assurdi che questo ritardo sta provocando.
Il primo è che tantissimi Servizi Sanitari Regionali si sono trovati costretti comunque ad investire le già scarse risorse esistenti per l’assistenza ai cittadini liberi per ammodernare e rimettere in sicurezza le obsolete e pericolose strumentazioni sanitarie che il Ministero della Giustizia ha “offerto” in dote al Servizio Sanitario Nazionale.
La seconda è che quello stanziamento, definito da una legge dello Stato per l’esercizio di una specifica funzione di assistenza sanitaria in carcere, rischia di essere risucchiato nelle logiche perverse degli equilibri di bilancio e dei piani di rientro.
C’è bisogno, quindi, di una decisione immediata del Governo che restituisca alle ASL i soldi indebitamente sottratti e di una specifica destinazione di quelle risorse per l’assistenza in carcere, a prescindere dallo “stato di salute” economico finanziario dei servizi sanitari regionali.
Non si può rischiare, così come è già successo in alcune importantissime realtà regionali, che quei soldi, una volta sbloccati, vadano a riempire buchi di bilancio o a sostenere piani di rientro: l’assistenza sanitaria in carcere va garantita a prescindere.
Piano carceri o no.
Roma 13 Gennaio 2010
La scandalosa situazione nella quale versano i cinque Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ancora di fatto gestiti dal Ministero della Giustizia, è il frutto avvelenato di un disimpegno del Governo sull’applicazione della legge di riforma della sanità penitenziaria. La battaglia di civiltà assunta dal Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Ssn, sen. Ignazio Marino, per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziaria è anche nostra.
A più di due anni e mezzo dalla riforma, il Governo non ha completato le procedure per l’assunzione da parte del SSN dell’assistenza sanitaria in carcere.
Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria continua a esercitare responsabilità improprie e illegittime: nelle regioni a statuto speciale, l’assistenza sanitaria, la cura e la prevenzione sono ancora assicurate dall’amministrazione carceraria e il ritardo sul processo di chiusura degli Opg è enorme, come denunciato dalla commissione parlamentare.
Queste le responsabilità politiche.
Ma il Governo, i Ministri Alfano e Tremonti, aggiungono a queste responsabilità politiche quelle morali: solo a settembre del 2010 le ASL hanno ricevuto i fondi per il 2009, mentre mancano ancora quelli per l’anno in corso. Il Governo fa cassa sulla salute dei detenuti, non destinando alle ASL nemmeno i soldi che il Ministero della Giustizia spendeva per l’assistenza sanitaria prima della riforma: fino al 2007 si spendevano circa 350 milioni, solo in parte trasferiti alle regioni.
Nessuna certezza, inoltre, per quanto riguarda la copertura dei finanziamenti per il 2011.
Non si è riusciti nemmeno a completare un riforma a costo zero. Siamo al “sotto zero”.
E’ vergognoso che ciò avvenga su un tema, la salute, e su un settore, le carceri, sui quali normalmente si misura il grado di civiltà di un paese democratico.
Roma 18 Novembre 2010
La legge di riforma dell’assistenza sanitaria in carcere risale al 1999; nove anni di mancata applicazione di una legge dello Stato dovrebbero indignare molto più della legittima decisione del Parlamento e del Governo di prevedere, finalmente, la sua definitiva applicazione.
Il rispetto della volontà popolare, esercitata su questo tema non solo attraverso l’emanazione di ben due leggi votate dal Parlamento, ma finanche dalla riforma del titolo V° della Costituzione, sembra essere, per molti, una variabile assolutamente indipendente, fino a giustificare alcune affermazioni dal senso profondamente comico che dipingono i Ministri della Salute e della Giustizia come prepotenti e frettolosi.
Il passaggio delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al servizio Sanitario Nazionale è atto di grande civiltà: sancire l’universalità del diritto alla salute anche per le persone momentaneamente private della libertà personale è la più grande affermazione della supremazia dei diritti di cittadinanza sui bisogni di contenimento carcerario e definisce, per la prima volta, un quadro di responsabilità istituzionali sul carcere, più allargato, più democratico, più sinergico.
La riforma, quindi, va portata a compimento ed il servizio sanitario nazionale deve poter esercitare quelle competenze che universalmente garantisce e che tutti, comprese le organizzazioni sindacali dissenzienti sulla riforma, gli riconoscono o dovrebbero.
Diversa è la questione relativa al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con il quale si trasferiscono risorse economiche, umane e strumentali.
Strumentale e demagogico il rischio agitato rispetto ai possibili licenziamenti di 2500 lavoratori a tempo determinato e di quelli le cui prestazioni professionali sono legate a convenzioni con il Ministero della Giustizia; al contrario con il passaggio si realizzerebbero, innanzitutto, le condizioni per un miglioramento dei sistemi retributivi e dei diritti, oggi fortemente ridotti dalle convenzioni al ribasso previste dal Ministero della Giustizia, e potrebbe aprirsi in futuro anche un processo di graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro.
Così come inesistenti i rischi di una perdita di quote di salario nel passaggio da un contratto di lavoro (Ministeri) all’altro (Sanità): la bozza di DPCM non solo garantisce che ciò non avvenga, ma i lavoratori ai quali verrebbe applicato il contratto della sanità si vedrebbero riconosciute molte indennità operative, di rischio professionale e quote di produttività che oggi sono loro negate. Una serie di “finte” accuse che nascondono, purtroppo, posizioni di netta contrarietà ai principi definiti dalla legge di riforma, spesso animata da un bisogno di difesa corporativo molto forte nel sistema carcerario.
La Fp Cgil è, quindi, per l’immediata applicazione della legge 230/99; questo però non ci esime dal chiedere, così come stiamo facendo in queste ore che il DPCM venga emendato in alcune sue parti, prima fra tutte quella che non prevede l’esercizio del diritto di opzione da parte dei lavoratori.
Chiediamo che la conferenza delle Regioni fissata per domani valuti le richieste dei sindacati ancora non soddisfatte e che trasmetta al Presidente Prodi una bozza di DPCM più vicina agli interessi dei lavoratori e dei cittadini ristretti e che, infine, sin da subito apra un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali su tutte le questioni collegate al lavoro sanitario nelle carceri a cominciare dai rapporti cd. precari e dai vincitori di concorsi già espletati per infermiere professionale nell’ambito penitenziario.
Roma 19 marzo 2008
Ieri il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il decreto per il passaggio delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Di seguito la dichiarazione stampa di Rossana Dettori, segretaria nazionale Fp Cgil.
Riforma sanità penitenziaria: un atto di civiltà. Ora si operi per la sua concreta applicazione.
Con la firma del Presidente del Consiglio si da avvio al processo di trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Una riforma che il sistema penitenziario italiano aspettava da decenni e che di fatto rappresenta il più importante intervento legislativo sulla condizione carceraria dalla Gozzini in avanti: sancire l’universalità del diritto alla salute anche per le persone momentaneamente private della libertà personale è la più grande affermazione della supremazia dei diritti di cittadinanza sui bisogni di contenimento carcerario.
Per gli attuali 52.000 detenuti la riforma sancisce la parità di trattamento con i cittadini liberi e garantisce interventi a tutela della salute nelle carceri in maniera complementare ed organica all’obiettivo più generale della risocializzazione dei condannati.
Ora Regioni, Aziende Sanitarie, Comuni, istituzioni centrali ed istituti penitenziari dovranno operare in sinergia per realizzare condizioni di protezione della salute iniziando dalle conoscenze epidemiologiche tipiche del regime detentivo per passare a vere e proprie azioni di promozione della salute: particolare importanza assumeranno l’attività fisica, l’alimentazione, il contrasto all’abuso di alcool ed alle dipendenze da fumo, la garanzia di salubrità degli ambienti di vita e il rispetto della legge sulla sicurezza dei luoghi, di lavoro e di vita.
Una particolare attenzione dovrà essere rivolta a quelle patologie che comportano interventi a lungo termine (HIV, malattie mentali, tossicodipendenze ecc) e risulterà indispensabile attivare sistemi di valutazione della qualità dell’intervento a cominciare dall’utilizzo della farmaceutica e della diagnostica.
Una legge che interessa anche più di 5.000 operatori sanitari fra dipendenti di ruolo del Ministero della Giustizia e professionisti sanitari con contratti atipici che con la firma del decreto transiteranno alle dipendenze del servizio sanitario nazionale migliorando non solo le proprie condizioni di lavoro, ma anche la necessaria autonomia dell’intervento sanitario dalle costrizioni della detenzione.
Per alcuni di loro, da anni sottoposti ad un regime di convenzione senza diritti e prospettive, si potranno anche aprire verifiche su processi di stabilizzazione del rapporto di lavoro, oltrechè, immediati miglioramenti delle condizioni di lavoro.
Roma 2 aprile 2008
Sono ormai troppi e ripetuti gli episodi che vedono il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria mettersi letteralmente di traverso nel rapporto con il servizio sanitario nazionale sul tema dell’assistenza sanitaria in carcere.
Nonostante la legge di riforma, che ha trasferito le funzioni di assistenza sanitaria in carcere, obblighi il DAP ad osservare un principio di lealtà e collaborazione istituzionale con il Servizio Sanitario Nazionale, l’Amministrazione penitenziaria continua nella sua decennale opera di contrasto a qualsivoglia avanzamento sul tema del diritto alla salute in carcere per i cittadini momentaneamente privati della libertà personale.
Qualche settimana fa abbiamo chiesto al Ministro Alfano di sospendere il progetto di ampliamento dei posti letto dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, richiesta che non ha ricevuto nemmeno una risposta di cortesia.
Qualche giorno fa la direttrice del carcere di Roma Rebibbia – III Casa – ha disposto il divieto di ingresso in istituto del responsabile del SERT (servizio per le tossicodipendenze), gestito dalla ASL competente.
Oggi la notizia che il Capo del DAP, Presidente Franco Lonta, sta per attivare processi formativi per il personale di Polizia penitenziaria da impiegare in attività connesse alle funzioni di assistenza sanitaria.
Solo tre esempi di come l’istituzione carceraria sta continuando nella sua opera di contrasto all’applicazione di una legge dello Stato.
Invece di disperdere energie e di impiegare “intelligenze” per questi scopi, illegittimi e contro la legge, il DAP farebbe bene ad operare, con lealtà e collaborazione appunto, insieme alle Regioni ed alle ASL per fare in modo che in questa delicatissima fase che stanno vivendo le nostre carceri italiane, al sovraffollamento, alla mancanza di prospettive, alla perdita di dignità delle persone detenute (costrette a dormire per terra) non si aggiunga anche il danno di un’amministrazione che si preoccupa di fare “muro” nei confronti del servizio sanitario nazionale
Si sta scherzando con il fuoco, anzi, con la salute dei detenuti.
Roma 25 Maggio 2009