Quanto sta accadendo a Coccaglio, paese in provincia di Brescia, assume aspetti drammatici ed estranei ai valori democratici della nostra Repubblica.
Un’operazione della durata di ben due mesi che passa casa per casa degli immigrati per i quali è in scadenza il permesso di soggiorno, che emargina e mette all’indice non dei criminali, ma povere persone che in Italia lavorano e pagano come e più degli altri la crisi economica in cui si dibatte il paese.
E’ triste, dover verificare che l’operazione e lo stesso nome scelto ” White Christmas”, vedano protagonista la Polizia Municipale.
Il tutto sa d’intolleranza e di una feroce indifferenza verso la sofferenza delle persone, come ben testimonia la scelta del periodo e del nome dell’operazione.
Da anni abbiamo segnalato la pericolosa china che stava caratterizzando le politiche in materia di “sicurezza” e di Polizia Locale.
Una politica fai da te, un attivismo sempre crescente di sindaci sceriffi, ronde ed un depotenziamento del ruolo della Polizia Locale, stanno segnando un degrado crescente del tessuto sociale.
E’ fortemente simbolico, in tal senso, il riconoscimento che il comune di Milano ha dato alla sezione della Polizia Municipale il cui compito è quello di bloccare i clandestini nei controlli sui bus di linea.
Il dramma è che questi segnali di assoluta gravità sono accompagnati, ancora in questi giorni, da ipotesi di riforma della Polizia Locale che ne segnerebbero per sempre il depotenziamento e lo svilimento professionale in compiti che ne offendono e sviliscono la storia centenaria senza dare, oltremodo, alcuna risposta ai bisogni di legalità delle nostre città.
Roma 20 Novembre 2009
Roma, 20.12.2006
In merito alla nota del responsabile del dipartimento cinofili del S.U.L.P.M., vorrei sottolineare quanto segue:
apprezzo molto il fatto che sia in possesso di un Dizionario Garzanti della lingua Italiana e la sua capacità di spulciare, evidenti refusi.
Spero, continui in quest’opera altamente meritoria.
Apprezzo, altresì, sinceramente il suo lavoro con i cani, che sono sicuro amerà più delle tessere, anche se il suo lavoro lo costringe ad occuparsi anche di piscio.
La Cgil non ama e non usa il verbo “reprimere”, bensì promuove tutto ciò che dà dignità alle persone, ai lavoratori, ruolo, professionalità nel rispetto della sicurezza per i cittadini, quindi:
a ciascuno il suo mestiere.
p. la Fp Cgil Nazionale
Antonio Crispi
Sintesi dell’intervento della FPCGIL
Nelle giornate del 20 e 21 settembre la delegazione FPCGIL composta dal Segretario Nazionale Antonio Crispi e dal Coordinatore Nazionale della Polizia Locale Gennaro Martinelli, ha partecipato a due importanti sessioni di lavoro organizzate dall’ANCI ed incentrate sul tema della legge di riforma.
Un tema, questo, di assoluta rilevanza per la nostra O.S. a sostegno del quale parlano la mobilitazione, le lotte sindacali e le iniziative che da anni ci vedono protagonisti.
Definire una legge di riforma coerente con il ruolo fondamentale della Polizia Locale nelle politiche integrate di sicurezza urbana, è oltremodo necessario ed urgente.
L’assenza di una seria legge ordinamentale per la Polizia Municipale e Provinciale ha deteriorato la qualità di questo importante servizio pubblico, facendone pagare il prezzo ai cittadini in termini di vivibilità e legalità ed agli agenti con una inaccettabile sovraesposizione quotidiana.
Una situazione che ha prodotto confusione, legiferazioni regionali tra loro dicotomiche con alcune di queste pericolosamente distorsive della peculiare professionalità della Polizia Locale, modelli organizzativi non rispondenti alle necessità dei cittadini e che hanno distolto l’attenzione dai veri problemi che attanagliano il settore.
Ed è questa consapevolezza che ha caratterizzato l’intervento del Segretario Nazionale alla sessione straordinaria del giorno 20 settembre e che ha visto riunite congiuntamente le assemblee nazionali ANCI ed UPI della Polizia Locale.
In tale sede, è stato innanzitutto espressa la necessità di dare corso alla richiesta, già formulata nei mesi scorsi e tuttora inevasa, del Sindacato Confederale di un incontro urgente con le delegazioni congiunte di ANCI – UPI – Conferenza delle Regioni, alfine di verificare le reciproche impostazioni e le possibilità di convergenza sulle direttrici fondamentali che devono caratterizzare la legge di riforma, così da creare le condizioni di necessaria chiarezza e di velocizzazione dell’iter.
Tale richiesta è divenuta oltremodo urgente ed indispensabile alla luce di alcune dichiarazioni del rappresentante ANCI in materia di ordinamento e di assetto della riforma, che stridono fortemente e pericolosamente con le posizioni ufficiali della sua associazione.
Nel merito della questione la delegazione FP ha ribadito che la proposta elaborata nel 2003 dal sistema delle autonomie è una buona base di partenza, ma che va migliorata su alcuni punti attinenti questioni essenziali.
In particolare, occorre caratterizzare la legge sul ruolo pubblico della Polizia Locale valorizzandone compiti e funzioni ed eliminando inutili confusioni con settori giuridicamente diversi.
Gli istituti di vigilanza privata sono destinati a compiti di tutt’altra natura ed è estremamente pericoloso continuare a costruire parallelismi legislativi che costituiscono il trampolino di lancio per possibili tentativi di mercificare la sicurezza, con il risultato di depotenziare in primis la Polizia Locale e le garanzie democratiche del paese.
Una riforma è indispensabile anche per questo settore privato, va fatta però con una legge specifica (che magari parta dal miglioramento delle condizioni di lavoro e di professionalità degli addetti), rispettosa della Costituzione e della assoluta necessità che la sicurezza sia pubblica in tutte le sue articolazioni.
Le vicende del caso Telecom dovrebbero far riflettere tutti su quanto questa nostra posizione non fosse ideologica, ma assolutamente ragionevole.
Lo stesso dicasi per l’utilizzo del volontariato in compiti comunque attinenti alla sicurezza.
Il volontariato merita attenzione e normative specifiche ma non può essere inserito in una normativa che può provocare distorsioni nel suo impiego.
In ultima analisi, occorre giungere alla legge di Riforma della Polizia Locale e non ad un pasticcio che alla fine sarebbe incapace di rispondere alle sue stesse finalità.
Rafforzare e caratterizzare il ruolo della Polizia Locale con una legge che abbia alcuni punti fondamentali.
1. Chiarezza di compiti e funzioni;
2. Equiparazione previdenziale, assistenziale ed infortunistica con le Forze di Polizia ad ordinamento statale;
3. Percorsi professionali permanenti e coerenti con il ruolo, i compiti e le funzioni assegnate dalla legge alla Polizia Locale nelle politiche integrate di sicurezza urbana, caratterizzandola e valorizzandola nella sua peculiarità in pari dignità con tutte le altre Forze di Polizia;
4. Destrutturazione e ristrutturazione della indennità di Polizia locale, che va implementata con risorse aggiuntive a quelle destinate al rinnovo contrattuale e resa automaticamente ed interamente erogabile all’atto dell’assunzione senza la necessità di ulteriori passaggi;
5. L’autonomia dei Corpi da indebite ingerenze delle Amministrazioni. In questo ambito rientra il ruolo dei comandanti, il rafforzamento delle condizioni professionali e di accesso che ne rafforzino l’autonomia a garanzia del servizio e degli stessi lavoratori.
Nel corso della seconda giornata la FPCGIL ha partecipato al confronto tra ANCI, UPI, Sindacati ed Associazioni Professionali con i lavoratori.
Nel corso del suo intervento il Segretario Nazionale ha ribadito quanto già rappresentato il giorno precedente in sede di sessione straordinaria, evidenziando ulteriori tre questioni che rafforzano l’urgenza della legge:
Con una circolare datata 4 agosto il Ministero del lavoro ha di fatto esteso l’utilizzo del lavoro interinale alla a tutte le autonomie locali, ivi compresa la Polizia Locale.
Un atto gravissimo che non solo viola quanto sottoscritto nei contratti di lavoro, ma depotenzia la Polizia Locale, lacera il concetto di sicurezza quale servizio elusivamente pubblico e ne sovrespone gli appartenenti.
Il Sindacato Confederale è già intervenuto chiedendone l’immediata revoca, ma ancora una volta in assenza di una legge nazionale pagano i lavoratori e gli standard qualitativi del servizio;
Si è diffusa la moda di dotare gli agenti di manganelli quale panacea delle disfunzioni operative o dei problemi sociali esistenti.
Su questo punto la posizione della FP è chiarissima nel rifiutare che alla necessità di modelli organizzativi funzionali, ad investimenti in professionalità ed organici, al coordinamento con le forze di polizia statali, ad adeguate politiche integrate di sicurezza urbana, all’adozione d’interventi che prosciughino il brodo dell’emarginazione sociale e della povertà, si sostituisca la sovraesposizione degli agenti e la trasformazione dell’intero problema in una questione di ordine pubblico con un alibi bello e fatto per Sindaci e Presidenti di Provincia.
L’atteggiamento della FP sulla dotazione dell’arma d’ordinanza è improntato ad assoluto laicismo, pronti ad ogni utile discussione sull’argomento che sia coerente con il ruolo della Polizia Locale.
Netta è la contrarietà al manganello che trasforma l’impiego ed il ruolo della Polizia.
E’, comunque, questo un ulteriore momento di riflessione sull’urgenza della legge di Riforma prima che l’attuale fai da te disegni una Polizia Locale priva di qualsiasi riferimento nazionale. Emerge una stanchezza del settore nell’affrontare queste tematiche, segno che i dieci anni passati a discutere di Riforma senza che il centrosinistra prima ed il centrodestra poi siano stati capaci di approvare una seria legge di Riforma, stanno producendo i loro effetti negativi.
Ecco perché, la FP ha deciso di rilanciare ulteriormente la propria azione a sostegno della legge di riforma convocando per il giorno 13 ottobre il Coordinamento Nazionale che avrà il compito di valutare lo stato attuale della situazione e delineare le iniziative da attivare sull’intero territorio nazionale.
Infine, l’intervento si è chiuso con una informativa sulle vicende connesse alla finanziaria ed al CCNL. In particolare, è stato posto l’accento sulla necessità che i lavoratori di questo importante servizio pubblico siano informati e coinvolti sulle tematiche generali.
Chiudersi e piegarsi su se stessi significa non essere partecipi della evoluzione di temi che ci riguardano come cittadini e lavoratori, a partire dalla centralità della qualità dei servizi pubblici, alla lotta al precariato, alla costruzione di città capaci di coniugare vivibilità, solidarietà e rispetto delle regole.
Roma, 25 settembre 2006
Manganelli: una scelta sbagliata che distorce e depotenzia il lavoro e la professionalità della Polizia Locale, sovresponendo ulteriormente gli agenti.
La FPCGIL è assolutamente contraria a dotare di manganelli la Polizia locale.
Questa scelta è un punto fermo della nostra azione sindacale, chiarito da molti anni in tutte le sedi istituzionali.
Un assunto, privo di preconcetti ideologici e frutto di tantissimi confronti sia in sede di coordinamento nazionale che sul territorio a diretto contatto con i lavoratori.
In questi giorni stiamo assistendo ad iniziative di sindaci che, in pompa magna e con tanto di televisioni al seguito, provvedono personalmente a consegnare agli agenti i manganelli in nome “della sicurezza per la città”.
Nulla ha da spartire, a nostro avviso, l’utilizzo del manganello con il dovere, di un amministrazione comunale o provinciale, di garantire ai cittadini serie politiche integrate di sicurezza urbana, tenuta della legalità, standard qualitativi ottimali dei servizi pubblici, ecc.
L’Ordine Pubblico è di competenza statale e la Polizia Locale ha un ruolo specifico e fondamentale nella vivibilità delle città e nello stesso assetto democratico del vivere civile, che va difeso e potenziato e non snaturato.
Trasformare la Polizia Locale in un clone mal riuscito delle Forze di Polizia Statali, significa disperdere un patrimonio professionale indispensabile per la vivibilità delle città, depotenziandone il ruolo, la professionalità peculiare e l’autonomia operativa ed organizzativa.
Intervenire nella prevenzione e repressione delle violazioni (amministrative o penali) richiede che le amministrazioni attivino percorsi professionali permanenti e coerenti con le funzioni ed i compiti che la legge (dalla Costituzione alla 65/86) assegnano alla Polizia Locale, organizzino il lavoro incentrandolo su funzionalità e tutela degli operatori,ne tutelino l’autonomia dalle indebite ingerenze politiche, applichino correttamente gli istituti contrattuali previsti per questo fondamentale servizio pubblico, investano adeguate risorse (anche con piani pluriennali) in strutture, mezzi e dotazioni organiche.
A tutto ciò, andrebbe collegato un serio e vero coordinamento con le Forze di Polizia ad ordinamento statale per garantire, ognuno in rapporto alla propria specifica peculiarità professionale, migliori condizioni di vivibilità e legalità.
Invece di migliorare la capacità d’intervento della Polizia Locale nelle materie di competenza, di perfezionarne le capacità investigative ed il rapporto con i cittadini, si acquistano manganelli e caschi per impiegare gli agenti allo stadio (Provincia di Frosinone) o si giustifica la spesa con gli interventi in materia di repressione degli ambulanti extracomunitari.
Al di là di problemi sociali che contraddistinguono fenomeni quali l’ambulantato degli immigrati o dei cittadini italiani appartenenti alle zone povere o realtà emarginate del paese, cui di certo la risposta della politica non può essere il manganello, l’intervento della Polizia Locale è di tipo amministrativo (redazione del verbale, sanzioni, sequestro della merce, ecc) e la migliore garanzia di buon funzionamento del servizio è data dalla professionalità degli agenti operanti, dalla catena di comando, dall’organizzazione del lavoro (numero di uomini impiegati, di mezzi, modalità d’intervento) e dal coordinamento con le altre Forze di Polizia.
La dotazione del manganello nasconde i veri problemi, lascia soli i lavoratori in interventi complessi dando un importante alibi per le disfunzioni organizzative, espone gli agenti a tutti i rischi derivanti dai danni alle persone che possono derivare dall’uso del manganello.
Difatti, la innaturalità di questo strumento per la storia della Polizia Locale, i suoi compiti e funzioni, lo rende non solo inutile ma pericoloso per le conseguenze del suo uso.
Questi episodi, testimoniano quanto sia fondamentale giungere ad un assetto di riforma coerente con il ruolo della Polizia Locale nelle politiche integrate di sicurezza urbana.
La riforma che ne chiarisca compiti e funzioni, garantisca tutele e professionalità impedendone stravolgimenti di cui pagherebbero il prezzo operatori e cittadini.
Incalzeremo il governo ed il sistema delle autonomie sulla riforma della Polizia Locale e su tutte le problematiche connesse a questo importante settore della vita dei cittadini.
Continueremo a dare (all’interno ed all’esterno della confederazione) il nostro contributo alla discussione in atto sui temi della sicurezza (fattore d’assoluto rilievo per la libertà d’ognuno, per la credibilità delle istituzioni e per lo sviluppo economico e sociale del paese e del mezzogiorno in particolare) avendo ben chiaro da un lato la gravità delle questioni e dall’altro il ruolo, le funzioni e la peculiare professionalità della polizia locale.
Tutte queste problematiche saranno una parte importante della discussione che affronterà il coordinamento nazionale della Polizia Locale che a breve sarà convocato ed al quale spetterà di preparare la strada che ci deve portare alla V Assemblea Nazionale della Polizia Locale.
Il Segretario Nazionale
Antonio Crispi
Il Coordinatore Nazionale Polizia Locale
Gennaro Martinelli
Roma, 19 settembre 2006
25-26 giugno 2006: votare NO per respingere il tentativo di dissolvere
100 anni di storia della Polizia Locale
Il prossimo appuntamento referendario del 25 e 26 giugno è un momento di fondamentale importanza per: la storia democratica del nostro paese; il futuro di tutti noi; i valori fondamentali rappresentativi dell’unità nazionale.
Votando NO al quesito referendario di conferma della legge con la quale il centrodestra ha deciso lo stravolgimento, in alcuni dei suoi aspetti fondamentali, della nostra Costituzione, impediremo la rottura dei valori solidaristici che tessono l’unità del paese ed un ritorno ad uno stato pre risorgimentale.
Già questo, basterebbe per motivare un impegno totale in difesa della Costituzione Repubblicana, ma per i lavoratori della Polizia Locale esiste una motivazione aggiuntiva, poiché sarebbero colpiti due volte: nei diritti di cittadinanza e nel dissolvimento della peculiare professionalità che contraddistingue il nostro lavoro.
Una professionalità frutto di cento anni di storia al servizio dei cittadini a garanzia dei principi di legalità, vivibilità e civile convivenza, messa in discussione da una visione provinciale ed anacronistica della nostra società.
Con la mobilitazione costante dei lavoratori siamo riusciti ad impedire, in questi cinque anni di governo del centrodestra, che disegni pericolosissimi, quali la mercificazione della sicurezza ed il depotenziamento della Polizia Locale, potessero segnare negativamente la vita democratica del nostro paese.
Ora il sindacato e l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori della Polizia Locale, devono costruire una forte mobilitazione contro lo smantellamento di un modello di sicurezza pubblico, democratico e nazionale e a sostegno della riforma della Polizia Locale.
Solo con la vittoria del NO sarà possibile dare un serio orizzonte strategico alle lotte di questi anni a partire dal garantire alla Polizia Locale un ruolo fondamentale nelle politiche integrate di sicurezza urbana, rispettoso della nostra specificità professionale ed in pari dignità con le forze di polizia ad ordinamento statale.
Potremo, così, operare in direzione del coordinamento delle varie forze di polizia, nazionali e locali, nella chiarezza delle singole competenze a sostegno di una riforma complessiva della Polizia Locale, in grado di definire compiti, ruolo e funzioni, nonché d’introdurre una rete di diritti e tutele, economiche, assicurative e previdenziali, rispondenti all’evoluzione lavorativa del settore.
Con il NO al referendum potremo evitare gli effetti di una legge che in sostanza, depotenzia e disperde le capacità organizzative e le competenze professionali, costruite faticosamente in questi anni, dai Corpi di Polizia Municipale e Provinciale, ma non solo, poiché mette in discussione il prezioso lavoro degli appartenenti alla Polizia di Stato, prefigurando venti modelli di sicurezza e venti Corpi di Polizia, uno per regione, che finirebbero con il rendere inesigibile il diritto dei cittadini di beneficiare di un sistema democratico e nazionale di sicurezza.
Rifiutiamo la logica della moltiplicazione dei Corpi di Polizia, nel nostro paese ve ne sono già cinque nazionali più la Polizia Locale, il problema è , invece, quello di definire con precisione i relativi ambiti di competenza e di intervento.
La Polizia Locale, è un’importante realtà che svolge un prezioso lavoro nelle politiche integrate per la sicurezza, il 25 e 26 giugno votiamo NO per non vedercelo sottrarre.
Il Coordinatore Nazionale
Gennaro Martinelli
Roma, 13 giugno 2006
CGIL FP– CISL FP– UIL FP
Le scriventi Federazioni Nazionali CGIL FP– CISL FP– UIL FPL hanno posto con forza in questi anni, la necessità di giungere ad una legge di Riforma per la Polizia Locale (Municipale e Provinciale) coerente con il ruolo da questa svolto nelle politiche integrate di sicurezza urbana.
Una riforma, capace di rappresentare la centralità di questo importante servizio pubblico, chiarirne compiti e funzioni, migliorarne la capacità operativa dando, nel contempo, risposte concrete agli operatori in termini di riconoscimenti giuridici, previdenziali ed infortunistici.
L’annosità del problema, le sue pesanti ricadute sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini e sulla vita lavorativa degli addetti, impongono che da subito ci si attivi per costruire celeri percorsi che affrontino e risolvino le questioni evidenziate.
Per quanto su esposto si chiede un urgente incontro
CGIL FP
Santucci – Martinelli
CISL FP
Alia
UIL FPL
Fiordaliso
Roma 8 giugno 2006
Il giorno 2 febbraio c.a. si è tenuta la V Assemblea Nazionale della Polizia Locale della Fp Cgil.
L’Assemblea ha discusso del ruolo e della funzione della polizia Locale, della necessità di una legge ordinamentale Nazionale per la tutela, l’ordine pubblico e la sicurezza delle città italiane.
L’Assemblea ha visto la partecipazione di centinaia di compagne e compagni di tutti i territori e rappresentanti di Anci, Upi e della Conferenza Stato Regioni.
Nella sua relazione, Antonio Crispi Segretario Fp Cgil Nazionale, ha posto in evidenza la necessità di tener conto della professionalità e della specificità della Polizia Locale in coordinamento con le Polizie Statali per una migliore gestione dell’ordine pubblico e la sicurezza.
Inoltre ha sostenuto la necessità di impegnare il Governo ad attuare la riforma legislativa della polizia Locale in questa legislatura.
All’Assemblea è intervenuto, tra gli altri, l’On.le Giovanni Pagliarini, Presidente Commissione Lavoro Camera dei Deputati.
Il Convegno è stato concluso da Carlo Podda, Segretario Generale Fp Cgil.
Alla fine dell’assemblea è stato votato, all’unanimità, un ordine del giorno sui contenuti della legge e sulle iniziative da assumere.
Comunicato stampa
Più valore al lavoro pubblico: Vincenzo Moriello, Segretario Generale Fp Cgil Lombardia risponde all’articolo del Prof. Ichino comparso sul corriere della Sera.
In un articolo apparso stamane sul Corriere della Sera, il Prof. Ichino ritorna sul tema del lavoro pubblico con l’approccio che da un po’ di tempo lo contraddistingue, ma anche questa volta lasciando la sensazione di intervenire su temi che conosce solo parzialmente.
In particolare, oggi tocca alla Polizia Municipale di Milano descritta come un servizio inefficiente, inesistente in periferia e impalpabile al centro cittadino, tutto a causa della rigidità corporativa del Pubblico Impiego ed al nullafacentismo che genera e protegge.
Una tesi non sostenuta da alcun elemento oggettivo. Sarebbe bastato un semplice lavoro di lettura dei dati pubblici inerenti la quantità e qualità degli interventi che quotidianamente caratterizzano il lavoro della Polizia Municipale, per ottenere chiare risposte a qualsiasi dubbio e verificare un azione lavorativa con interventi su tutte le 24 ore, che vanno dal Codice della Strada all’infortunistica stradale, dal contrasto all’abusivismo (commerciale, edile, ecc) alla Polizia Giudiziaria.
Un’azione a tutela della legalità e del vivere comune che i cittadini di Milano ben conoscono.
Sarebbe, altresì, bastato guardare alle lotte dei lavoratori e della FP CGIL, anche quelle in atto in queste ore, per rilevare un coerente percorso di mobilitazione teso al rafforzamento del valore di questo servizio pubblico in relazione ai bisogni dei cittadini.
E’ strano, che sfuggano al giuslavorista alcuni degli elementi centrali: la carenza di adeguate politiche integrate di sicurezza urbana che affrontino, in termini operativi, organizzativi e progettuali, i temi della legalità e vivibilità o come da anni gli addetti al settore operino senza adeguati riferimenti giuridico-normativi e senza tutele, ma non per questo hanno fatto venir meno il loro impegno a garanzia di un servizio di qualità per i cittadini.
Quel che è certo, noi continueremo ad operare per rafforzare il rapporto con i cittadini, a ricercare risposte al loro bisogno di vivibilità e sicurezza quale garanzia di esercizio delle libertà di ciascuno e di agibilità democratica ed inclusiva degli spazi cittadini che solo il lavoro pubblico può garantire. Come sempre la FP CGIL e’ sempre disponibile a qualsiasi confronto finalizzato a migliorare la qualità del servizio ai cittadini ed a riconoscere il valore del lavoro.
Milano, 13 marzo 2007
Alcune note sugli statuti Regionali
1. PREMESSA
1.1 Riteniamo sia di qualche utilità produrre alcune prime e parziali riflessioni sull’attuale stagione di definizione degli Statuti delle Regioni nel senso che, dopo una fase abbastanza lunga di “incubazione”, anche in vista della fine delle legislature regionali, si è prodotta una certa accelerazione nell’approvazione e nella discussione degli Statuti stessi. Ad oggi, infatti, (fine settembre 2004), ragionando ovviamente per le Regioni a statuto ordinario, siamo in presenza di 6 Regioni che hanno approvato in seconda lettura, e quindi in via definitiva, il loro Statuto (Puglia, Calabria, Toscana, Umbria, Lazio, Emilia-Romagna), mentre altre 4 l’hanno approvato in prima lettura (Abruzzo, Marche, Liguria, Piemonte). Le restanti 5 (Basilicata, Campania, Molise, Lombardia, Veneto) si trovano in una fase di discussione più arretrata. Lo “stato dell’arte” quindi consente alcune prime valutazioni d’insieme sui risultati a cui si è approdati, come, peraltro, anche alla luce di quelle valutazioni, ci consente ancora spazi di iniziativa laddove la discussione non è finita o, comunque, continuerà.
1.2 In queste note, ci siamo limitati a prendere in esame gli Statuti delle 10 Regioni dove essi sono stati approvati in seconda o, almeno, in prima lettura. Come, peraltro, volutamente, l’analisi si concentra esclusivamente su 3 “blocchi” di questioni che riteniamo prioritarie per il nostro posizionamento e la nostra iniziativa e, cioè, una ricognizione sulla prima parte degli Statuti, quella che si riferisce ai principi e alle finalità generali, un approfondimento sui temi dell’organizzazione amministrativa e del ruolo del lavoro e, infine, sulle forme e gli istituti della partecipazione. Siamo consapevoli della parzialità di queste scelte, ma un lavoro più esteso e dettagliato (per esempio, includendo anche una riflessione sulle forme di governo e sull’ “architettura” istituzionale) sarebbe stato, in questa fase, al di fuori della nostra portata e, probabilmente, anche di natura sin troppo specialistica. In ogni caso ci sembra che i campi di indagine definiti siano quelli che più incrociano e riguardano la nostra iniziativa e la nostra funzione e, soprattutto, – visto che parliamo di diritti e principi fondamentali, di ruolo del lavoro e organizzazione delle “pubbliche funzioni”, e di partecipazione – hanno che fare con questioni su cui la Cgil e la Fp hanno caratterizzato addirittura punti di identità di questa nostra fase di lavoro ed iniziativa.
2 PRINCIPI E DIRITTI FONDAMENTALI
Questa parte degli Statuti regionali, che si ritrova nei primi articoli degli stessi, è generalmente e sostanzialmente ispirata in continuità con quanto previsto in materia dal dettato costituzionale.
Praticamente tutti gli Statuti si richiamano ai principi e ai diritti fissati dalla Carta Costituzionale, dai valori di pace, libertà, uguaglianza e democrazia al diritto al lavoro, alla non discriminazione, alla salute, all’assistenza e all’istruzione. Va però rilevato che emergono differenze significative nelle formulazioni e nell’enfasi posti su alcuni temi, che hanno marcato vistosamente la discussione politica di questi ultimi anni e su cui la diversità di impostazione tra centro-destra e centro-sinistra si è manifestata in termini sostanziali, di valori e di idea di modello sociale.
Volendo schematizzare, almeno su 4 filoni si intravedono e si esplicitano approcci ben diversi e che, non casualmente, costituiscono altrettanti punti su cui le novità e le trasformazioni intervenute in questi anni hanno sottoposto a torsione gli equilibri sanciti dal testo costituzionale.
Il primo è quello della pace e della guerra. Se è vero, su questo piano, che tutti i testi dello Statuto si richiamano alla Costituzione e ribadiscono di operare per l’affermazione del valore e della cultura della pace, però solo gli Statuti delle Marche e dell’Emilia-Romagna riprendono integralmente il testo dell’art. 11 Costituzione dove si afferma “il ripudio della guerra come strumento di offesa alle libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie istituzionali”.
Ovviamente, in questi tempi, questa riaffermazione testuale non può essere considerata un fatto banale o scontato.
Un secondo gruppo di questioni riguarda in tema della famiglia e delle altre forme di convivenza. E’ presente a tutti la discussione sviluppatasi in questi anni e contrassegnata da una vera e propria offensiva da parte del centro-destra per riaffermare un’impostazione familista nelle relazioni sociali e nell’idea di welfare. Da questo punto di vista, si spiega come rispetto a chi, come la regione Toscana e Umbria, ha voluto fare passi in avanti significativi in questa direzione, affermando il “riconoscimento delle altre forme di convivenza” nei propri testi statutari, il governo sia intervenuto con l’impugnazione di queste parti davanti alla Corte Costituzionale.
Un ragionamento analogo vale rispetto al tema dei diritti degli immigrati.
A fronte di Regioni come la Toscana e l’Emilia – Romagna che nei loro Statuti scrivono rispettivamente che “la regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli “immigrati” e “il godimento dei diritti sociali degli immigrati, degli stranieri profughi rifugiati ed apolidi, assicurando, nell’ambito delle facoltà che le sono costituzionalmente riconosciute, il diritto di voto degli immigrati residenti”, la maggioranza degli Statuti tratta il tema in modo generico e “tradizionale” se non addirittura, recependo suggestioni culturali regressive come nel caso della regione Lazio, che sottolinea che essa “favorisce l’integrazione degli stranieri, regolarmente soggiornanti” (Sic!).
Infine, l’ultimo punto, di un qualche rilievo, su cui emergono punti di vista significativamente difformi è quello relativo al ruolo del mercato e dell’iniziativa privata. Anche qua troviamo tracce significative della discussione politica di questi ultimi anni. Non è difficile riscontrare le differenze, ad esempio, tra chi, come la Regione Lazio, scrive nel proprio Statuto, che ” riconosce il mercato e la concorrenza e prevede l’intervento pubblico in tutti i casi e le situazioni in cui l’iniziativa privata non sia in grado di fornire adeguate prestazioni di interesse generale “e chi, come la regione Emilia-Romagna, “promuove politiche e regole che assicurino diritti, trasparenza e libera concorrenza nell’economia di mercato”.
E’ evidente che queste affermazioni, che si collocano “agli estremi” di una scala ipotetica in cui il tema del ruolo dell’iniziativa privata viene affrontato nei vari Statuti, risentono l’una, di un’idea di centralità del mercato e dell’iniziativa privata, mentre l’altra, al contrario, evidenzia il fatto che il mercato necessita di regole e politiche non solo per l’affermazione dei diritti ma anche per il proprio funzionamento.
3. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA e RUOLO DEL LAVORO
In questa parte degli Statuti, emergono almeno tre questioni meritevoli di segnalazione e di valutazione. La prima è quella relativa al ruolo della dirigenza e, più in generale, del rapporto tra ruolo di indirizzo politico e attività di gestione e di attuazione. Se tutti gli Statuti, anche se con formulazioni a volte assai differenti, riconfermano in via di principio la separazione dei ruoli tra politica e dirigenza, nel momento in cui si passa ad esaminare come ciò si estrinseca, emergono punti di scarsa chiarezza se non , addirittura, di vera e propria subordinazione della dirigenza alla politica, riproponendo veri e propri salti nel passato.
Esclatante, a questo riguardo, è quanto previsto dalla Regione Lazio dove, di fatto, viene proposto uno schema pressoché integrale di spoil-system. Infatti “alle posizioni di particolare rilievo e responsabilità” (peraltro, non meglio specificate), vengono preposti dirigenti nominati dalla Giunta e dall’Ufficio di presidenza, conferiti con incarico a tempo determinato che infatti, “cessano di diritto il novantesimo giorno successivo all’insediamento dei nuovi organi di riferimento, salvo conferma da parte degli organi stessi”. Solo la Regione Emilia-Romagna, a contrario, disciplina in modo preciso, in via statutaria, il conferimento di incarichi a tempo determinato per lo svolgimento di compiti speciali e di consulenza che sono attinenti al Gabinetto e alle Segreterie particolari degli organi della regione e alle articolazioni, organi e strutture dell’Assemblea regionale. Che peraltro, coerentemente, ribadisce che ” alle strutture organizzative regionali si accede mediante pubblico concorso, salvo i casi previsti dalla legge”.
Un secondo punto è quello relativo al ruolo della contrattazione collettiva nella determinazione del rapporto di lavoro. Solo in 4 Statuti (Umbria, Emilia- Romagna, Abruzzo e Marche) compare il termine contrattazione collettiva, nel senso che negli altri, la maggioranza di quelli esaminati, o il riferimento al lavoro (ad eccezione di quello dirigenziale) è assolutamente stringato o, comunque, in ogni caso, non si fa riferimento al ruolo della contrattazione collettiva. Non si può non notare, al riguardo, non solo una sottovalutazione forte e preoccupante del valore della contrattazione e anche della rappresentanza autonoma del soggetto lavoro (evidentemente, non percepiti come tali dalla maggioranza degli amministratori), ma anche il fatto che, a differenza di quanto evidenziato a proposito delle finalità e dei principi statutari, su questo terreno, diviene meno netta la distinzione tra centro-destra e centro-sinistra.
Infine, a conferma di questo ragionamento, vale la pena osservare – ed è la terza questione che ci interessa evidenziare – che 3 Regioni (Piemonte, Liguria e Marche) approdano ad una scelta, in materia di lavoro, che non possiamo che giudicare in modo seriamente negativo.
Ci riferiamo al fatto che queste 3 regioni inquadrano il personale della regione (con formulazioni più o meno marcate) in 2 distinti ruoli tra dipendenti della struttura del Consiglio regionale e di quella della Giunta Regionale. Emerge qui una concezione pericolosa che prefigura non solo separazione e differenza di trattamento e di opportunità tra gli stessi dipendenti dell’ente Regione, ma probabilmente persino un’idea – se abbinata al depotenziamento del ruolo della contrattazione- di gestione “proprietaria” (magari in termini clientelari – corporativi) dei lavoratori.
4. FORME E ISTITUTI DELLA PARTECIPAZIONE
Su questo punto va subito rilevato che tutti gli Statuti intervengono in modo ampio e, sotto diversi aspetti, anche in termini innovativi.
Ciò, da una parte, è da considerarsi “ovvio”, nel senso che queste tematiche sono connaturate alle definizioni statutarie, ma, dall’altra, segnalano che non è possibile sottrarsi – ci torneremo anche dopo – ad una crescita della domanda di partecipazione che si è verificata negli ultimi anni in tutta la società. Nel presentare un succinto resoconto di come la materia viene affrontata, ci sembra utile per comodità, suddividerla per capitoli fondamentali:
a) La potestà dell’iniziativa legislativa.
Tutti gli Statuti esaminati assegnano tale potere non solo alla Giunta e ai consiglieri regionali, ma anche ad un certo numero di Consigli provinciali o comunali che raggiungono complessivamente determinate soglie di popolazione. Inoltre, l’iniziativa legislativa è prevista, in tutti gli Statuti, che possa essere di iniziativa popolare, fissando numeri di elettori relativamente bassi per attivarla (dai 3.000 per l’Umbria e 15.000 per la Puglia ai 5.000 per la Toscana e 10.000 per il Lazio). Infine 6 regioni prevedono questa possibilità anche per il Consiglio delle Autonomie Locali ( vedi più avanti). Addirittura le Marche e, con alcune limitazioni, la Liguria la estendono anche ai Consigli regionali dell’Economia e del Lavoro;
b) le procedure referendarie. Ovunque viene normato il referendum abrogativo, con meccanismi simili. Esso non viene ritenuto ammissibile, sulla falsariga dell’istituto nazionale, sulle leggi di bilancio e tributarie, sullo Statuto, sui regolamenti interni degli Organi regionali, nonché sulle norme di accordi internazionali e delle intese con altre Regioni (poi, Calabria, Umbria e Liguria estendono tale impossibilità anche alle norme di tutela ambientale) : come pure è previsto che esso produca l’effetto abrogativo solo nel caso in cui si pronunci la maggioranza del corpo elettorale e se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi. Il referendum abrogativo può essere promosso da un determinato numero di elettori, con margini non troppo diversi da Regione a Regione (si va dai 10.000 dell’Umbria e 60.000 per la Puglia ai 50.000 del Lazio e ai 40.000 per Toscana ed Emilia-Romagna), e anche da un certo numero di Consigli provinciali o comunali che rappresentano numeri significativi di elettori. Viene poi istituito dappertutto il referendum consultivo che, però, è attivabile solo dal Consiglio Regionale e reso peraltro obbligatorio nei casi di fusioni o di istituzione di nuovi Comuni e per i mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali. Solo la Regione Toscana, l’Emilia-Romagna e la Calabria (rispettivamente con 30.000 elettori, 80.000 elettori e il 10% del corpo elettorale) ne rendono possibile l’attivazione direttamente dal corpo elettorale, mentre la Regione Lazio (unico caso), istituisce il referendum propositivo a fronte della richiesta di 50.000 elettori che, in questo senso, di fatto lo equipara al referendum consultivo di Toscana, Emilia-Romagna e Calabria;
c) gli organi di consultazione. In ogni regione vengono costituiti i CAL (Consigli delle Autonomie Locali). Questo peraltro discende dalla legge costituzionale 18.10.2001 n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” che prevede espressamente che ogni Regione costituisca e disciplini statutariamente il Consiglio delle Autonomie Locali, quale organo di consultazione tra le Regioni e gli Enti Locali. Nella sostanza, tutte le Regioni rinviano ad una legge apposita le modalità di formazione e composizione del CAL, ma 6 (Lazio, Calabria, Puglia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana) lo “elevano” ad organo di rappresentanza e 6 lo dotano di potere di iniziativa legislativa ( Lazio, Calabria, Umbria, Marche, Liguria, e Toscana). I CAL partecipano ai processi decisionali delle Regioni riguardanti, in particolare il sistema delle Autonomie Locali, con la formulazione di esami pareri e proposte. Inoltre, 6 Regioni (Lazio, Calabria, Emilia-Romagna,Piemonte, Marche e Liguria) istituiscono il Consiglio Regionale dell’economia e del lavoro (CREL), con compiti di analisi, studio e confronto-consultazione sulle politiche di programmazione economica e sociale. Le altre 4 Regioni esaminate (Puglia, Umbria, Abruzzo e Toscana), pur con denominazioni diverse, si dotano di organismi analoghi;
d) altri istituti e forme di partecipazione. Tutte le Regioni istituiscono la figura del difensore civico, come pure sono previste varie commissioni tematiche. In particolare, è da segnalare come tutte le Regioni costituiscono la Commissione Pari opportunità. Infine, merita una sottolineatura quanto previsto dalla Regione Emilia- Romagna che, unica, in modo innovativo, si inoltra sul terreno della promozione della partecipazione dei soggetti organizzati. Più in specifico si introduce l’istituto dell’istruttoria pubblica, con la quale, l’assemblea regionale, anche su richiesta di non meno di 5.000 persone, avvia una procedura di consultazione cui possono partecipare associazioni, comitati e gruppi di persone portatori di interessi non individuali. Analogamente viene prevista l’istituzione con criteri e modalità definiti di un Albo delle associazioni che chiedono di partecipare alla definizione degli indirizzi politico programmatici regionali, a partire dal quale si costruisce un protocollo di consultazione con le associazioni stesse, che diventa parte integrante del regolamento dell’Assemblea legislativa.
5. PRIME PARZIALI CONCLUSIONI
Alla luce della breve disamina svolta, è possibile trarre alcune prime parziali conclusioni del ragionamento, che possono offrirci una chiave di lettura dei processi in corso e costituire altrettanti punti di riferimento per la nostra iniziativa. Provando a costruire una valutazione di sintesi, potremmo esprimerla nei seguenti termini:
1) nell’insieme gli Statuti regionali si collocano nell’alveo di quanto sancito dal dettato costituzionale, nel senso che non siamo in presenza di “sfondamenti” o lacerazioni di quanto lì fissato come riferimenti di fondo. Ciò non toglie che, affrontando i temi relativi ai principi e alle finalità, ci siano differenze anche sostanziali tra i vari Statuti che ripercorrono punti di distinzione significativi tra centro-destra e centro-sinistra;
2) il tema del lavoro e l’organizzazione delle “pubbliche funzioni “dell’Ente Regione è generalmente sottovalutato, se non addirittura affrontato in termini regressivi.
Peraltro, in questo quadro di giudizio generale, non si può non notare che si attenuano su questo punto anche le differenze tra centro-destra e centro-sinistra;
3) gli Statuti compiono passi in avanti significativi sul piano della definizione delle forme e degli Statuti di partecipazione, segno che tale istanza è fortemente cresciuta, in primo luogo, nel tessuto sociale e ciò ha indubbi riflessi anche nella formazione della trama istituzionale.
Insomma, anche guardando lo specifico di quanto definito negli Statuti regionali, ci si presenta uno spaccato di realtà, nella quale permangono forti le differenze di idealità e valori tra gli schieramenti politici, si conferma vitale una domanda e un tessuto partecipativo, che proviene dalla società, tende a essere meno visibile e valorizzato il ruolo del lavoro.
Tutto ciò, tra luci ed ombre, peraltro non può spingere nessuno (tanto meno noi, per il ruolo che svolgiamo) a letture ed interpretazioni ottimistiche, anche perché l'”offensiva”, anche sul piano degli assetti istituzionali, viene giocata prevalentemente a partire dalla “controriforma” in materia di forma di governo e devoluzione, in discussione in questi giorni alla Camera dei deputati. Ma di ciò, come è noto, ci stiamo occupando e dovremo, per forza di cose, tornare ad occuparci nel prossimo futuro.
29.09.04
Incontro con la Conferenza delle Regioni:
A seguito di specifica richiesta delle scriventi OO.SS., tesa ad attivare tutti gli idonei percorsi istituzionali necessari per dare corpo alle attese dei lavoratori in tema di riforma della legge 65/86, nella giornata di ieri si è tenuto in Roma presso la sede della Provincia Autonoma di Trento una riunione con la delegazione all’uopo costituita dalla conferenza delle Regioni.
Nell’incontro, è emersa la comune valutazione in ordine all’urgenza di addivenire all’approvazione di una legge di riforma per la Polizia Locale, capace di valorizzarne il ruolo e la specifica professionalità nelle politiche integrate di sicurezza urbana con ricadute positive di ordine contrattuale. La situazione generale testimonia, a nostro avviso, quanto siano fondate le preoccupazioni rappresentate dal sindacato confederale in materia di ruolo compiti e funzioni della Polizia Locale, in un panorama che anche attraverso gli accordi di questi giorni tra Aree Metropolitane e Ministero dell’Interno costruisce sempre più soluzioni fai da te dove viene svilita la peculiare professionalità ed esperienza della Polizia Locale.
Per questo, abbiamo chiesto di attivare un tavolo di confronto con la contestuale presenza di ANCI, UPI, Regioni, per definire la necessaria sintesi comune per promuovere tutte le iniziative atte alla approvazione della legge di Riforma, avendo come riferimento il testo frutto del confronto nella passata legislatura tra sistema delle autonomie e sindacato confederale.
Nel merito, vi è condivisione nello stabilire tra i punti qualificanti la chiarezza di compiti e funzioni, la valorizzazione della specifica professionalità, la formazione e le tutele.
FP CGIL
Crispi
CISL FPS
Alia
UIL FPL
Fiordaliso
Roma, 23 maggio 2007
I patti territoriali tra Governo e ANCI promuovono un utilizzo “fai da te” della Polizia Locale
Era sin troppo facile prevedere le conseguenze sulla Polizia Locale della strategia messa in campo dal Ministero dell’Interno e dall’ANCI in tema di sicurezza delle città.
Non a caso, i soggetti su indicati hanno sinora evitato qualsiasi momento di confronto con il sindacato sui temi del ruolo, funzioni, compiti, tutele, formazione professionale, valorizzazione del lavoro svolto nelle politiche integrate di sicurezza urbana, necessità di risorse economiche aggiuntive a quelle contrattuali per l’indennità di funzione, ecc.
Il risultato, ogni sindaco sta facendosi la sua personale legge di riforma in collaborazione con il Ministero degli Interni, procedendo a ridisegnarne le funzioni e il lavoro in rapporto alla visione politica o personale della sicurezza.
I patti per la sicurezza di Milano e Torino, ad esempio, (che di seguito pubblichiamo), pur figli dello stesso metodo (sbagliato) sono diversi (fai da te) e il capoluogo Lombardo si distingue per utilizzo della Polizia Municipale aggiuntivo e subordinato ai compiti propri delle Forze di Polizia ad ordinamento Statale.
In particolare l’art 11 comma 4 prevede che il Prefetto può chiedere ed ottenere automaticamente la disponibilità di un numero qualsiasi di agenti per fronteggiare azioni di contrasto alla illegalità, senza che siano chiariti gli ambiti d’intervento, le modalità operative ed il rispetto della peculiare professionalità, per non parlare del fatto che l’autonomia del Corpo (e dello stesso Ente Locale alla faccia del federalismo) viene pesantemente intaccata.
Al comma 5 dello stesso articolo, si prevede poi l’utilizzo organico e strutturale della Polizia Municipale al comando del funzionario di PS in funzione di Ordine Pubblico in occasioni di manifestazioni di piazza, sgomberi ecc.
Semmai ancora qualcuno vuole spiegarci che la corsa all’acquisto di manganelli e caschi antisommossa non fosse finalizzato a questo, si accomodi!
E’ grave che il Governo ed ANCI stiano avallando tutto ciò sfuggendo al confronto con il Sindacato.
Di certo la FPCGIL proseguirà nella propria mobilitazione per veder riconosciuto il diritto dei lavoratori ad una legge di riforma che ne valorizzi il ruolo, la professionalità e garantisca tutele.
per la Segreteria Fp Cgil Nazionale
Antonio Crispi
Il Coordinatore della Polizia Locale
Gennaro Martinelli
ALLEGATI:
Da alcuni giorni si ripetono atti d’intimidazione alla Polizia Municipale di Bari, attraverso il danneggiamento ( taglio delle gomme, rottura delle parti in vetro, ecc) delle auto personali degli agenti lasciate in sosta presso il comando.
Ai lavoratori va la nostra solidarietà ed il pieno sostegno alla mobilitazione sindacale per ottenere migliori condizioni di lavoro, un organizzazione funzionale ai compiti da erogare ai cittadini, la stabilizzazione dei precari e una formazione professionale che valorizzi il ruolo di questo importante servizio pubblico.
In realtà complesse e difficili quale è Bari, la Polizia Municipale rappresenta un punto cardine su cui è necessario puntare ed investire per dare sostegno alla legalità, allo sviluppo sociale, commerciale e turistico.
Più volte la FP nazionale ha partecipato, unitamente alla struttura della FP provinciale impegnata al fianco dei lavoratori per avere risposte certe e concrete ai problemi esistenti, alle assemblee degli appartenenti alla Polizia Municipale di Bari, rilevandone le difficili condizioni operative, strutturali ed ambientali in cui svolgono il quotidiano lavoro.
All’ Amministrazione Comunale compete dare segnali di attenzione e di valorizzazione del settore, la FP farà la sua parte (come sempre) per giungere ad accordi che tengano assieme i diritti delle persone ed un servizio pubblico di qualità per i cittadini.
La FP nazionale si rende disponibile a partecipare ad eventuali iniziative di mobilitazione e di presidio democratico che si ritenesse di attuare.
Il Segretario Nazionale
Antonio Crispi
Il Coordinatore Nazionale Polizia Locale
Gennaro Martinelli
Roma, 31 maggio 2007