Orario di Lavoro: il Parlamento Europeo boccia il Consiglio e la Commissione

Dopo la manifestazione della CES a Strasburgo (15mila persone) lo scorso 16 dicembre
(vedi   http://www.epsu.org/a/4355  e  http://www.epsu.org/a/4368  ) il Parlamento europeo si è pronunciato, il 17 dicembre, sulla revisione dei requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. Chiede di limitare a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri, respingendo la possibilità di derogarvi (opt-out) sostenuta dal Consiglio. Propone poi di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia “inattivi”, ammettendo però che siano calcolati in modo specifico ai fini dell’osservanza del massimale settimanale.

La direttiva 2003/88/CE1 stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, tra l’altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. La stessa direttiva prevede una clausola di revisione cui si è attenuta, nel 2003, la Commissione. Il Parlamento si è pronunciato in prima lettura nel 2005, ma il Consiglio non è stato in grado di definire una propria posizione in materia fino allo scorso mese di settembre (con il voto contrario di Spagna e Grecia e l’astensione di Belgio, Cipro, Malta, Portogallo e Ungheria).

Seguendo la linea suggerita dal relatore, lil socialista Alejandro CERCAS), il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una serie di emendamenti (già sostenuti nel corso della prima lettura) che respingono l’impostazione del Consiglio, in particolare, per quanto riguarda la possibilità di derogare al tetto massimo di 48 ore lavorative settimanali e il rifiuto di considerare come lavoro il tempo speso in periodi di guardia. L’esito della votazione è stato salutato da un largo applauso dell’Aula e molti deputati si sono complimentati personalmente con il relatore. Quest’ultimo ha esortato il Consiglio a considerare questa votazione come «un’opportunità per rendere la nostra agenda simile a quella dei cittadini europei».

Dovrà quindi essere convocato il comitato di conciliazione con l’incarico di trovare un accordo tra i due rami legislativi. In precedenza, la proposta della GUE/NGL di respingere la proposta di direttiva è stata bocciata dall’Aula con 118 voti favorevoli, 521 contrari e 27 astensioni.

Non più di 48 ore di lavoro a settimana: 544 parlamentari contro l’opt out

A suo tempo il Regno Unito aveva ottenuto l’introduzione di una clausola di opt-out che, a certe condizioni, permette di non rispettare la limitazione di 48 ore lavorative settimanali. Attualmente sono 15 gli Stati membri che ricorrono a questa possibilità: Bulgaria, Cipro, Estonia, Malta e Regno Unito consentono l’opt-out in tutti i settori, mentre Repubblica ceca, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Spagna lo consentono solo nei settori in cui vi è un esteso ricorso ai periodi di guardia. Con l’accordo raggiunto lo scorso settembre, il Consiglio ha confermato questa possibilità precisando che, in ogni caso, il consenso a lavorare più del massimo consentito non può superare 60 ore come media trimestrale o 65 ore, sempre come media su tre mesi, in assenza di un contratto collettivo e se “il periodo inattivo del servizio di guardia è considerato orario di lavoro”.

Con 544 voti favorevoli, 160 contrari e 12 astensioni, il Parlamento ha respinto la possibilità di ricorrere a questa deroga (emendamento 19) considerando che, in media, l’orario massimo di lavoro non deve comunque superare le 48 ore settimanali. Con 421 voti favorevoli, 273 contrari e 11 astensioni, il Parlamento concede tuttavia agli Stati membri un periodo transitorio di 36 mesi durante il quale sarebbe possibile superare questo limite. Questa facoltà, in ogni caso, resta sottoposta a rigorose condizioni volte a garantire una protezione efficace della salute e della sicurezza del lavoratore. Prima fra tutte, occorre il consenso del lavoratore stesso che, precisano i deputati, è valido non più di sei mesi, rinnovabili, contro un anno sostenuto dal Consiglio. Nessun lavoratore, inoltre, deve subire un danno per il fatto di non essere disposto ad accettare di lavorare più del massimo consentito o per aver revocato la sua disponibilità a farlo. Il consenso dato all’atto della firma del contratto individuale, durante il periodo di prova o entro le prime quattro settimane di lavoro va poi considerato «nullo e non avvenuto».

Le 48 ore di lavoro settimanali sono in principio calcolate su un periodo di riferimento di 4 mesi. I deputati accettano la proposta di poter derogare a tale disposizione imponendo un periodo di riferimento non superiore a 12 mesi mediante un contratto collettivo o un accordo sottoscritto dalla parti sociali o per via legislativa, previa consultazione delle parti sociali. Tuttavia, precisano che la deroga per via legislativa è possibile solo qualora i lavoratori non siano coperti da contratti collettivi o da altri accordi e purché lo Stato membro adotti le misure necessarie affinché il datore di lavoro informi i suoi dipendenti e provveda a porre rimedio a ogni rischio per la salute e la sicurezza connesso all’organizzazione dell’orario di lavoro proposta.

I periodi di guardia vanno considerati orario di lavoro: 533 a favore del riconoscimento del servizio di guardia come orario di lavoro

Nell’attuale direttiva manca una definizione del periodo di servizio di guardia. D’altra parte, diverse sentenze della Corte di giustizia hanno stabilito che il periodo di guardia doveva essere incluso nell’orario di lavoro. I deputati non contestano le definizioni di “servizio di guardia” e di “periodo inattivo di servizio di guardia” introdotte dal Consiglio nella posizione comune. Il primo è «il periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione sul proprio luogo di lavoro al fine di intervenire, su richiesta del datore di lavoro, per esercitare la propria attività o le proprie funzioni». Il secondo è invece definito come il periodo durante il quale il lavoratore è di guardia … ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare di fatto la propria attività o le proprie funzioni».

Contrariamente al Consiglio, però, il Parlamento (emendamento 9pc3), con 533 a favore, 146 contrari e 10 astenuti ritiene che l’intera durata del servizio di guardia, «incluso il periodo inattivo», deve essere considerata orario di lavoro, ribadendo così quanto sostenuto in prima lettura. Concede tuttavia la possibilità che i periodi inattivi siano «calcolati in modo specifico, sulla base di contratti collettivi o di altri accordi tra le parti», oppure mediante disposizioni legislative e regolamentari, per quanto riguarda l’osservanza della durata massima settimanale della media dell’orario di lavoro.

Periodi di riposo e conciliazione della vita professionale e familiare: 539 a favore.

L’attuale direttiva prevede un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, un periodi di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore e almeno 4 settimane di ferie annuali retribuite, nonché norme sulla durata del lavoro notturno. Tuttavia, contempla anche la possibilità di derogare a tali disposizioni sulla base di contratti collettivi o accordi con le parti sociali e purché ai lavoratori siano accordati periodi equivalenti di “riposo compensativo”. Se il Consiglio propone di precisare che queste compensazioni devono essere concesse entro “un termine ragionevole”, il Parlamento chiede che il periodo di riposo segua quello trascorso in servizio, conformemente alla legislazione applicabile oppure a un contratto collettivo o altro accordo. Delle disposizioni specifiche in materia sono stabilite per i lavoratori mobili e attività offshore» e per i lavoratori a bordo di pescherecci.

I deputati condividono la posizione del Consiglio riguardo all’invito rivolto agli Stati membri di incoraggiare le parti sociali a concludere accordi volti a conciliare meglio la vita professionale con quella familiare. Con 539 voti favorevoli, 158 contrario e 10 astensioni (emendamento 11), precisano tuttavia che i datori di lavoro debbono informare i dipendenti «con congruo anticipo» di ogni modifica del ritmo di lavoro. Inoltre, conferiscono ai lavoratori il diritto di chiedere modifiche del loro orario e ritmo di lavoro, lasciando però libero il datore di lavoro di respingere la richiesta se ciò comporta inconvenienti organizzativi «sproporzionalmente maggiori» del beneficio per i lavoratori.

Il voto

I gruppi politici europei hanno votato decisamente contro il progetto di direttiva dei governi. In particolare i socialisti, il Gue (sinistra unita), i verdi, l’Unione per l’Europa delle Nazioni (Lega ed Alleanza Nazionale). Spaccato il PPE (oltre 90 deputati hanno votato contro il testo dei governi) e l’ALDE (oltre 25 voti contro la proposta del governo). Da tenere presente che 14 laburisti britannici (su 18) hanno votato contro la posizione, molto decisa, del governo laburista di Gordon Brown, mentre i socialisti maltesi e polacchi hanno votato a favore della direttiva

Allegati:

 
  • Il testo del rapporto Cercas approvato al Parlamento europeo
  • Come hanno votato i parlamentari europei
  • La discussione sull’orario di lavoro al Parlamento il 15 dicembre
  • Il testo consolidato della direttiva orario dopo il voto del Parlamento europeo
 

NEWS

La trattativa all'Aran il 21 dicembre, il tavolo tecnico sulle sanzioni disciplinari il 17 e il 21 dicembre

 
I prossimi appuntamenti all’Aran sono stati fissati il 21 dicembre 2009 alle 15 e 30 per la ripresa della trattativa per il biennio 2008 – 2009 e alle 16 e 30 per la sequenza contrattuale biennio 2006 -2007.

Il tavolo tecnico sulle sanzioni disciplinari è invece stato convocato, congiuntamente all’area dirigenziale STPA, per i giorni 17 e 21 alle ore 10.00.

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Pillola, Gasparri minaccia i medici. La FPCGIL Medici ripresa dall'Unità

 
Si pubblica l’articolo uscito oggi sul quotidiano l’Unità “Pillola, Gasparri minaccia i medici. E al sud l’80% dei medici fa obiezione“, nel quale è riportata la posizione della FPCGIL Medici.
 

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Riconosciuto il diritto alla remunerazione ai medici specializzati negli anni 1982-1991

 
COMUNICAZIONE STAMPA DI
Nicola Preiti, Segreteria Nazionale FP CGIL Medici

Il Tribunale Civile di Perugia ha accolto il ricorso promosso dalla FP CGIL Medici e ha condannato il Governo Italiano al pagamento di € 6.713,94 (rivalutati e con gli interessi) ai medici ricorrenti, per ogni anno di frequenza al corso di specializzazione negli anni 1982 – 1991. La sentenza è la numero 1367/2010.

L’iter è stato molto lungo. E’ iniziato nel 2000 e giunge ora alla sentenza di primo grado. Viene finalmente riconosciuto ai medici il diritto alla retribuzione per gli anni della specializzazione come stabilito dalla Direttiva Comunitaria del 1982 (82/76 CEE).

Purtroppo l’Italia ha adottato la Direttiva, con colpevole ritardo, solo nel 1991, con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n.257. Per questo la Corte di Giustizia Europea (sentenze del 25/02/1999 e del 03/10/2000) ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano per tardiva applicazione del Diritto Comunitario, e ha così fissato una regola di diritto comunitario che porta al riconoscimento del diritto all’indennizzo per la mancata retribuzione dei medici specializzandi nel periodo intercorso tra l’entrata in vigore della direttiva comunitaria e la sua adozione nel nostro ordinamento.

Tuttavia per ottenere il risarcimento i medici hanno dovuto promuovere azioni legali con esito spesso negativo. La stragrande maggioranza dei procedimenti e delle speranze si erano infranti sulla diatriba dei termini della prescrizione.

Il Prof. Avv. Carlo Calvieri di Perugia è riuscito, con competenza e professionalità, a superare brillantemente la questione basandosi anche sui recenti orientamenti della Cassazione. In pratica, sulla base dell’accurata ricostruzione operata dal Giudice del Tribunale di Perugia, nemmeno i classici termini della prescrizione possono essere utilizzati qualora la loro applicazione porti alla negazione dei diritti comunitari.

Questa sentenza, che approfondiremo nelle motivazioni, è quindi fondamentale anche per la giurisprudenza. E’ un chiaro esempio di come un’interpretazione comunitariamente orientata possa anche limitare la portata preclusiva della prescrizione, e potrebbe aprire nuove speranze per gli altri medici specializzati negli anni 1982/1991.

 

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La 104 dopo la legge 183 del 2010

 
Si pubblica una Sintesi a cura della FPCGIL Medici della nota INCA del 15 novembre 2010 riguardante l’articolo 24 della Legge n. 183/2010 (cosiddetto “collegato lavoro”) che interviene sull’articolo 33 della legge 104/92 apportando modifiche ai criteri che regolano la concessione delle agevolazioni lavorative per i lavoratori che assistono familiari con handicap grave.

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Medici privati in ospedali pubblici, la denuncia della FPCGIL Medici

 
Le agenzie ADN Kronos ed ANSA, i quotidiani Corriere del Veneto, Il Gazzettino e la Tribuna di Treviso, Quotidiano Sanità, il Tempo.it, Catania Oggi, Rassegna.it, Yahoo Notizie.it hanno ripreso la denuncia della FPCGIL Medici nazionale, insieme alla FPCGIL Medici Veneto e Lazio , degli appalti al privato del lavoro del medico pubblico.
 

 
 
 

"Onaosi benemerita", sul quotidiano umbro la Sera del 5 settembre

 
Si pubblica l’articolo del quotidiano umbro La Sera del 5 settembre 2007 in merito a “Onaosi benemerita”  
 
 

COORDINAMENTO NAZIONALE RSU AUTORITÀ DI BACINO

Come noto lo scrivente coordinamento nazionale, da circa due anni, si è impegnato per dare un contributo significativo e concreto alla delicata fase della revisione e dello sviluppo positivo delle Autorità di Bacino, istituzioni alle quali a suo tempo la legge 183/89, abrogata dal D.lgs. 152/2006, aveva affidato il delicato compito di perseguire una pianificazione di bacino tale da informare le pianificazioni territoriali delle regioni e degli enti locali secondo principi e valori di interesse superiore quali il governo e la salvaguardia delle acque, la difesa del/dal suolo, l’assetto idrogeologico del territorio.
Il nostro lavoro è stato intrapreso e conseguito con l’obiettivo di contribuire a riempire un vuoto che ci è sembrato di cogliere in questa delicata fase e nel conseguente dibattito in materia affrontato dalle istituzioni e dalle parti sociali interessate: fare emergere le reali esperienze, le difficoltà incontrate, i successi e gli insuccessi che hanno caratterizzato 17 anni di applicazione degli artt. 10 e 12 della citata 183/89. Considerazione se vogliamo banale ma che ci sembra imprescindibile per assumere qualunque decisione di cambiamento in positivo.
Un’idea semplice ma concreta per indagare seriamente sull’efficacia di una parte importante del sistema istituzionale per il governo delle acque e del territorio, partendo dalle esperienze maturate nella “trincea” del lavoro operativo, nella convinzione che in quel luogo, troppo spesso visto in secondo piano dai poteri decisionali, proprio lì si risolva l’eterno nodo dell’efficacia delle pubbliche amministrazioni e proprio lì il legislatore possa trovare risposte giuste per adeguare davvero in meglio le norme e le leggi.
Purtroppo chi è preposto alle decisioni sembra dimenticarsi che i lavoratori del pubblico impiego sono gli “occhi” e le “gambe” con le quali le leggi “camminano”.
Ora, con la caduta del Governo, il lavoro di revisione del 152/2006, con particolare riferimento alla parte III, che attiene al disegno istituzionale delle future Autorità di Bacino, si è fermato e la corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato l’Italia (18 dicembre 2007) per non aver presentato le analisi richieste a norma dell’articolo 5 della direttiva sulle acque 2000/60/Ce dei distretti idrografici del Serchio, delle Alpi orientali, dell’Appenino settentrionale, centrale e meridionale.
Ma in questi mesi, comunque, molto lavoro è stato fatto in termini di contenuti, e sono oggettivamente emerse utilissime e condivise ipotesi di miglioramento delle istituzioni di governo dei bacini idrici, anche con riferimento ad una allocazione più efficace e razionale delle risorse economiche nazionali in materia di difesa del suolo.
Con la presente vogliamo ribadire l’intenzione, da parte nostra, di mantenere alta l’attenzione sull’evolversi della situazione, con particolare riguardo alle problematiche che inevitabilmente possono determinarsi a causa di una quadro legislativo e normativo che vive una fase di grande incertezza, a partire dalla vertenza sul rinnovo del CCNL Regioni ed Autonomie Locali al quale il personale delle Autorità è riferito ma non adeguatamente “considerato” da un punto di vista normativo.
Chiediamo, quindi, alla CGIL Dipartimento Ambiente e Territorio e alla CGIL FP Nazionale di continuare a sostenerci ed a condividere con noi le azioni che potranno essere necessarie, in un confronto costruttivo con i lavoratori delle Autorità di Bacino di rilievo nazionale, interregionale e regionale, soprattutto considerando le gravi problematiche che l’applicazione del D.lgs 152/2006 comporta, cominciando dalla assolutamente inadeguata definizione dei confini dei distretti idrografici lì indicata.

Roma 18.02.2008

Incontro con l'Amministrazione per rinnovo contratto integrativo

 
Vi trasmettiamo comunicato sull’incontro avuto con l’Amministrazione per il nuovo contratto integrativo nazionale, e la documentazione che lo ha preceduto.
Divulgatelo opportunamente all’interno della vostra sede.

La Delegazione trattante nazionale fp cgil Avvocatura

 
 

Sollecito direttiva

AL PRESIDENTE DEL COMTATO DI SETTORE
DEL COMPARTO REGIONI AUTONOMIE LOCALI
ON/LE LUCIO D’UBALDO
C/O ANCI
VIA DEI PREFETTI 465
ROMA

Le scriventi Segreterie Nazionali FP CGIL, CISL FP e UIL FPL sono costrette ancora una volta a denunciare, esprimendo profondo dissenso, i ritardi del Comitato di settore ad emanare l’atto d’indirizzo per il rinnovo del CCNL 2006/2009 e biennio 2006/2007 del personale dirigente delle Regioni e Autonomie Locali scaduto da oltre due anni e mezzo.

Le scriventi Segreterie Nazionali rappresentano che, a fronte dei ritardi ingiustificabili, hanno proclamato lo stato di agitazione della categoria che sfocerà in azioni sindacali più incisive, nel caso che non si pervenga in tempi rapidi all’emanazione dell’atto d’indirizzo, indispensabile per l’apertura del confronto negoziale con l’ARAN per la stipula di un contratto di lavoro di qualità.

LE SEGRETERIE NAZIONALI
FP CGIL   CISL FP     UIL FPL
A.Crispi    V. Alia   C. Fiordaliso

ROMA 22.05.2008

 

La FPCGIL Medici su Brunetta, ripresa da Giornale, Mattino, Tempo, Piccolo di Trieste e Gazzetta del Sud

 
Si pubblicano gli articoli odierni sui quotidiani Il Giornale, Il Mattino e Il Tempo, che hanno ripreso la posizione della FPCGIL Medici in merito alla proprosta di Brunetta sui curricula on line. La posizione della FPCGIL Medici si può inoltre trovare sui quotidiani La Gazzetta del Sud e Il Piccolo di Trieste.  

Lettera aperta al Direttore Generale del comune di Torino

La lettera del direttore generale ai dirigenti del Comune di Torino nella quale si conferma il taglio unilaterale della retribuzione di risultato del 50% sfiora il grottesco.

Innanzi tutto la palese violazione, oltre che delle norme contrattuali, anche di un minimo di “etica” che ognuno nella contrattazione stessa è obbligato a rispettare.

In un ente nel quale le OOSS sono sempre state disponibili a giocare importanti partite in termini di flessibilità e di innovazione nel lavoro dirigenziale, si sceglie, gratuitamente, la strada di una sorta di “punizione demagogica” da infliggere “a priori” perché il clima devastante dell’attacco alla pubblica amministrazione e ai suoi dipendenti richiede gesti propagandistici da offrire in pasto al più bieco qualunquismo.

Le scuse (ma solo sul metodo della comunicazione si badi bene-sic!) non servono a niente anche perché non lasciano intravedere alcun ravvedimento rispetto ad una scelta che non ha alcuna motivazione.

Le esigenze addotte di risanamento della gestione finanziaria del Comune di Torino (partendo addirittura da un’analisi “mondiale” della crisi economica!) non giustificano alcunché perché gli impegni che si assumono in contrattazione vanno rispettati (per i dirigenti come per gli altri lavoratori) e se si pensa di non poterlo fare si porta il problema al tavolo della trattativa per cercare soluzioni idonee.

Il dubbio, che sfiora la certezza, è che si sia voluto invece utilizzare questo strumento per accodarsi alla facile campagna di discredito della dirigenza pubblica cercando così di nascondere pecche e latitanze delle scelte e delle decisioni amministrative.

A volere ben guardare un altro pezzo della “strategia Brunetta” messa in campo questa volta da un’amministrazione locale. Anzi peggio perché almeno il ministro cerca di dare (senza mai convincerci per la verità) delle motivazioni di merito alle sue scelte. Qui niente, nessuna contestazione al lavoro e al merito della dirigenza, nessuna critica ad un operato che, invece, è sempre stato elogiato nel corso di questi anni.

Singolare, quasi surreale, il finale della lettera nella quale si invitano anche le OOSS a non commettere “nuovi errori di comunicazione”. Gli errori qui sono stati commessi solo dall’Amministrazione. Le OOSS non possono fare altro che richiedere semplicemente e tassativamente il ritiro della decisione e il ripristino di una corretta impostazione delle relazioni sindacali.

Diversamente si conferma l’opinione che questa vera e propria sopraffazione faccia parte dello stesso disegno per il quale si continua a ritardare il rinnovo del contratto della dirigenza ad oltre 33 mesi dalla sua scadenza e a cercare, ancora una volta, di sopprimere il diritto alla contrattazione per la categoria.

p. Il Comparto Dirigenti AA.LL
(Silvano Franzoni)
p. la Segreteria Nazionale FP CGIL
(Antonio Crispi)

Roma 7 ottobre 2008

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