“Per affrontare un fenomeno così delicato come quello dei Neet, non basta un’assistenza virtuale”. Commenta così il segretario generale della Fp Cgil, Federico Bozzanca, la presentazione da parte del ministero del lavoro di Appli, assistente virtuale per il lavoro in Italia.

“Stiamo parlando – aggiunge Bozzanca – di giovani che non studiano e non lavorano e che spesso affrontano, a monte, un problema di esclusione sociale, dovuto a difficoltà economiche, abbandono scolastico, problemi di salute e mancanza di
opportunità. L’intelligenza artificiale, se utilizzata con criterio, può rivelarsi un ottimo strumento di supporto al lavoro ma per accompagnare questi ragazzi e ragazze in percorsi di inclusione lavorativa, serve una presa in carico che può essere garantita unicamente da persone in carne ed ossa”.

“I Centri per l’impiego – conclude il segretario generale – sono servizi pubblici che accompagnano e aiutano la persona
nella scoperta di nuove possibilità che altrimenti non troverebbe. Non si limitano a fare un semplice match”.

pa dipendenti pubblici

È quanto emerge dagli ultimi dati del Conto Annuale della PA

“Gli ultimi dati del Conto Annuale della PA lo confermano: da qui al 2033 andranno in pensione oltre 700 mila lavoratrici e lavoratori pubblici, non si arresta la crescita dell’età media nelle funzioni centrali e locali, gli stipendi sono i più bassi d’Europa e il livello di precarietà è ancora preoccupante con oltre 90 mila precari”. Lo scrive in una nota la Funzione Pubblica Cgil.

L’esodo di dipendenti che andranno in pensione conferma la necessità di procedere con la nostra proposta di assumere 1.250.000 nuove unità, non solo per sostituire chi lascia il posto di lavoro ma anche per rafforzare i servizi pubblici ai cittadini – spiega la Fp Cgil -. Invece, dagli ultimi dati disponibili, un quinto delle nuove assunzioni sono in realtà di dipendenti che già lavoravano nel pubblico. Parliamo di oltre 20 mila unità su un totale di meno di 100 mila. Una percentuale cresciuta dal 5% al 20% in soli due anni, dal 2021 al 2023”.

E aggiunge: “In questo modo il rinnovamento della Pa stenta a decollare, e l’età media dei dipendenti pubblici lo conferma: 52,8 anni nelle funzioni centrali (+0,8 anni rispetto al 2013) , 51,8 anni nelle funzioni locali (+1,4 anni), 48,9 anni nella sanità (-0,1 anni), 44,4 anni nel comparto sicurezza, soccorso e difesa (+2,3 anni). Ma non è solo un problema di quantità. Infatti, l’Italia risulta agli ultimi posti in Europa non solo per il numero di dipendenti pubblici in rapporto alla popolazione, ma anche per la spesa che riserva ai loro stipendi. Spendiamo per le retribuzioni dei dipendenti il 76% in meno della Francia, il 66% in meno della Germania e il 52% in meno del Regno Unito, ma la spesa complessiva della PA cresce più intensamente, segno che aumentano esternalizzazioni e consulenze. E ancora, c’è il problema dell’aumento del costo della vita che sta impoverendo le lavoratrici e i lavoratori. Se finora grazie al lavoro svolto nel contrattare migliori condizioni di lavoro siamo stati in grado di far aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici ben oltre l’inflazione (ottenendo aumenti del 3,48% e di oltre il 4% nelle stagioni 2016-2018 e 2019-2021 a fronte di un’inflazione nello stesso periodo di appena il 4,4%), con l’ultimo rinnovo contrattuale imposto dal Governo, con la compiacenza di altri sindacati firmatari, i dipendenti si sono impoveriti: a fronte del costo della vita aumentato del 16% nel triennio 2022-2024, infatti, gli aumenti si sono fermati a meno del 6%.

Infine, resta vivo il problema della precarietà: nei settori pubblici presi in esame, infatti, sono ancora più di 90 mila le lavoratrici e i lavoratori precari. E se è vero che i contratti a tempo indeterminato crescono leggermente (+ 40 mila tra il 2022 e il 2023), è vero anche che siamo ancora ben lontani dal compensare le gravi perdite che abbiamo subito negli ultimi 10 anni: più di 50 mila unità cessate nelle funzioni centrali, quasi 80 mila nelle funzioni locali e oltre 18 mila nel comparto sicurezza, difesa e soccorso su cui la stessa Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dichiarato più volte di voler investire. L’unico settore che sembra aver interrotto il trend negativo è la sanità che negli ultimi 10 anni ha aumentato i propri organici di oltre 40 mila unità ma con una forte incidenza di precarietà che non riesce ad essere assorbita a causa della permanenza dei tetti di spesa del personale e nessuna risorsa aggiuntiva per le stabilizzazioni”.

“Riteniamo non più rinviabile un forte investimento sulle assunzioni nei servizi pubblici, essenziali per Costituzione, che garantiscono diritti fondamentali a tutte e tutti. Per queste ragioni chiediamo nuovamente che il Governo esca dagli slogan e dai proclami e si confronti realmente con le organizzazioni sindacali su cosa intende fare per garantire organici adeguati, valorizzazione professionale ed economica, contratti dignitosi che tutelino realmente il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici”, conclude la Funzione Pubblica CGIL.

Oggetto: richiesta apertura confronto corretta interpretazione requisiti esercizio dell’attività professionale per educatori professionali socio-pedagogici e educatori dei servizi educativi all’infanzia 

La scrivente O.S., con la presente pone all’attenzione di codesto Ministero una difficoltà interpretativa che sta emergendo diffusamente sul territorio nazionale in seguito all’entrata in vigore della LEGGE 15 aprile 2024, n. 55 concernenti le disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali in relazione all’esercizio dell’attività di educatore professionale socio-pedagogico e di educatore nei servizi educativi per l’infanzia.

Nello specifico abbiamo riscontrato diverse problematiche dovute alla corretta interpretazione della norma e s.m.i da parte sia delle Amministrazioni che degli enti gestori sui requisiti per la partecipazione ai concorsi, l’assunzione, di accreditamento o nei cambi di gestione.

I termini per presentare la domanda di iscrizione inizialmente previsti entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge istitutiva (Legge 55 del 15 aprile 2024), sono stati successivamente prorogati dal DL Milleproroghe (DL 27 dicembre 2024, n. 202) al 31 marzo 2025.

In sede di conversione del DL, tuttavia, è stata inserita la seguente previsione all’art. 10, comma 8- sexies: “… i pedagogisti, gli educatori professionali socio-pedagogici e gli educatori dei servizi educativi per l’infanzia che hanno presentato domanda di iscrizione ai relativi albi possono comunque esercitare la rispettiva attività professionale disciplinata dalla medesima legge 15 aprile 2024, n. 55.”.

Le amministrazioni e alcuni enti gestori interpretano la norma in questione come anticipatrice degli effetti della conclusione definitiva della procedura di istituzione degli Albi, che ad oggi ancora non è avvenuta.

Questa interpretazione ha conseguenze che possono incidere negativamente sul funzionamento dei servizi collegati a queste figure professionali quali ad esempio i servizi educativi per l’infanzia nelle sue diverse articolazioni, poiché pur in possesso del titolo di studio idoneo, non possono materialmente iscriversi agli Albi non essendo ancora operativo il relativo Ordine ed essendo terminata il 31 marzo scorso la fase preliminare di presentazione delle domande. In particolare contestiamo l’esclusione di chi ha conseguito il titolo dopo il 31 marzo 2025 come una mera interpretazione restrittiva della norma. Appare pertanto non rinviabile l’apertura urgente di un confronto teso a risolvere celermente le criticità emerse, tutto ciò al fine di scongiurare gravi difficoltà nelle procedure di reclutamento del personale nonché l’insorgere di un contenzioso legale mettendo a rischio la tenuta dei servizi e dei livelli occupazionali. 

Si è svolto oggi, 21 luglio, l’incontro con l’ARAN per la prosecuzione della trattativa sul rinnovo del CCNL Funzioni Locali 2022-2024.

Durante l’incontro è stato presentato un articolato che introduce alcune novità, tra cui la proposta scritta di inglobamento di solo il 30% dell’indennità di comparto.

Nella proposta di ARAN i piccoli passi avanti, così come la certezza dei tempi della contrattazione decentrata, non sono ancora sufficienti. Infatti non vi sono soluzioni adeguate — e in alcuni casi risultano peggiorative — come:

Le mancate soluzioni relative al sistema di classificazione:

  • l’inquadramento di tutte le educatrici e delle insegnanti nell’Area dei Funzionari e il mancato riconoscimento della reale equipollenza tra titoli, laurea e diplomi, a partire dagli anni necessari per il passaggio tra le aree;
  • il superamento dell’Area degli Operatori;
  • l’introduzione di un’Area delle Elevate Professionalità;

nonché la proposta peggiorativa sulla cumulabilità tra la maggiorazione del differenziale stipendiale che compensa la permanenza nell’area degli istruttori del personale educativo e scolastico e quella per lo svolgimento di attività per cui è richiesta l’iscrizione ad albi professionali.

Abbiamo riaffermato tutte le richieste contenute nella nostra piattaforma che non trovano attualmente soluzione nella proposta ARAN, evidenziando in particolare:

  • la necessità del riconoscimento del trattamento accessorio durante le ferie;
  • il nostro dissenso rispetto alla soluzione prospettata per il turno festivo infrasettimanale, che offre una risposta solo parziale, riconoscendo la festività a chi non è in turno ma non il riposo compensativo a chi lavora.

Permane una forte distanza sul tema delle risorse economiche. Anche con la proposta di inglobare il 30% dell’indennità di comparto nello stipendio, l’ARAN continua a proporre il “gioco delle tre carte”: toglie risorse dal trattamento accessorio per reinserirle nel trattamento fondamentale tagliando, inoltre, il fondo delle risorse decentrate in pari misura senza consentire il suo rifinanziamento.

Abbiamo attivato ogni tipo di interlocuzione per far comprendere che non è accettabile garantire, in nove anni, un importo inferiore a quello che sarebbe spettato alle lavoratrici e ai lavoratori per il triennio 2022-2024.

Abbiamo sottoposto alle controparti diverse soluzioni tecniche volte a coprire la perdita del potere d’acquisto del salario delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto nel triennio 2022-2024 a fronte di un’inflazione al 16%. Inoltre è necessario un fondo dedicato e finanziato per ridurre le distanze retributive tra i comparti pubblici attraverso l’adeguamento dell’indennità di comparto.

Ora la palla passa al Governo a cui spetta indicare come intenda risolvere il problema salariale per tornare a rendere attrattivo lavorare nelle amministrazioni locali oltre a garantire i servizi sul territorio attraverso un piano straordinario delle assunzioni

Il tavolo è stato aggiornato al 9 settembre.

Segretaria Nazionale FF.LL.

Tatiana Cazzaniga

“Ribadiamo le nostre richieste per un adeguato e dignitoso rinnovo del Contratto 2022-24 delle Funzioni locali: aumentare lo stanziamento del 5,78%, fondi dedicati al riallineamento dell’indennità di comparto – risorse che devono essere previste dal governo –, sblocco totale dei tetti al salario accessorio, l’aggiunta alla contrattazione delle risorse stanziate e non spese del CCNL 2019-2021. Solo così sarà possibile garantire un contratto vero, degno e immediatamente esigibile”.
Lo scrive in una nota il Segretario generale Fp Cgil Federico Bozzanca, a seguito del tavolo di oggi all’Aran per la trattativa per il rinnovo del Ccnl 2022-24.
“Al momento – spiega – le cosiddette ‘novità’ proposte dalla controparte non modificano di una virgola il problema principale che rimane sempre lo stesso: sono necessarie risorse aggiuntive che il Governo deve mettere a disposizione del rinnovo contrattuale. L’indennità di comparto conglobata non la possono pagare di certo i lavoratori. E vale la pena di ricordare che siamo sempre in presenza di uno spostamento di risorse, al momento non c’è un euro aggiuntivo. E questo mero spostamento rischia addirittura di far diminuire di qualche euro la busta paga, e ovviamente non cambia di una virgola neanche le prospettive future. Quattordici euro (lordi!) sono anni luce lontani dalla possibilità di far superare i gap salariali, nè rilanciano la valorizzazione. Le soluzioni normative proposte in alcuni casi sono peggiorative in altri impraticabili, senza risorse per la contrattazione decentrata visto che la stragrande maggioranza degli Enti non può o non intende utilizzare le ‘opportunità’ (noi lo chiameremmo più opportunamente ‘bluff’) del DL PA che, in sostanza dice: ‘se volete l’aumento ve lo pagate voi. E comunque sarete penalizzati sulle future assunzioni’. Per rilanciare l’attrattivita’ degli enti locali è necessario investire, ma il Governo ha già dimostrato un totale ed eloquente disinteresse. Basta guardare le grandi strategie di valorizzazione delle aree interne…”, osserva.
“E’ così che si valorizzano lavoratrici e lavoratori? Proponendo un gioco delle tre carte e non facendo nulla per contribuire al recupero del potere di acquisto per salari che sono già i più bassi della Pa?”, conclude.
cgil cisl uil coronavirus
“La mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità privata e delle RSA non si ferma. Quella di oggi nel Lazio, sotto il Ministero della Salute, è solo l’ultima di una lunga serie di iniziative che stiamo promuovendo in tutta Italia per dare voce a chi, ogni giorno, garantisce cure e assistenza fondamentali, ma lo fa ancora senza il riconoscimento di un contratto rinnovato”.
Lo dichiarano, in una nota congiunta, le Segreterie nazionali di FP CGIL, CISL FP e UIL FPL, a margine del presidio organizzato a Roma per chiedere il rinnovo immediato dei contratti collettivi di sanità privata e per il contratto unico delle RSA Aiop e Aris, fermi da 8 e da 13 anni, dove per ora è arrivata solo la convocazione da parte di Aris per il solo tavolo delle Rsa.
“A margine dell’iniziativa laziale, una nostra delegazione è stata ricevuta dal Capo di Gabinetto, Marco Mattei, a cui sono state segnalate le annose problematiche del comparto. Per l’occasione, esprimiamo apprezzamento per le rassicurazioni arrivate durante l’incontro che ci fanno intravedere che si stia aprendo la strada giusta. Il ministero ha dichiarato che una parte dei fondi individuati nella legge finanziaria per la sanità accreditata sarà infatti vincolata al rinnovo del contratto nazionale, dove una quota dell’aumento dei DRG, le tariffe per le prestazioni sanitarie, sarà infatti destinata all’adeguamento salariale dei lavoratori. Per noi è un primo passo, che riteniamo importante, pur ritenendo prioritaria e non più rinviabile l’apertura del negoziato da parte di ARIS e AIOP. Intensificheremo pertanto le mobilitazioni affinché non sarà aperto il tavolo nazionale di confronto e dalle dichiarazioni si passi a fatti concreti”, proseguono.
“Porteremo questa battaglia fino ai tavoli del Governo – concludono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl – per chiedere che si costruisca un fronte comune tra sindacati ed Istituzioni per ridare dignità a chi lavora nella sanità accreditata e per tutelare la salute delle persone più fragili. Senza risposte concrete sia da parte di Aiop e Aris, che da parte del Ministero della Salute e della Conferenza delle Regioni, la mobilitazione proseguirà, con ancora più determinazione, in ogni territorio del Paese”.
Personale verso lo sciopero
“Il CNEL è un organo di rilevanza costituzionale investito di importantissime funzioni in materia lavoristica e contrattuale. Basti pensare all’attività di tenuta e aggiornamento dell’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro: una banca dati straordinaria e unica nel suo genere in Europa. Stranamente, però, sembra che ai vertici di questo ente non importi nulla di garantire il rispetto delle regole fissate dal contratto collettivo nazionale di lavoro nei confronti del proprio personale.  Dal 1° luglio scorso, con iniziativa unilaterale, l’amministrazione ha infatti deciso di non rinnovare i contratti individuali di lavoro agile scaduti il 30 giugno. In questo modo, di fatto, il lavoro da remoto al CNEL è stato abolito a tempo indeterminato. Con decisione calata dall’alto e senza un confronto con le rappresentanze del personale, sono state affossate le clausole contrattuali che disciplinano il funzionamento e la fruizione del lavoro agile e del telelavoro. E tanti saluti alle nuove tecnologie, alla maggiore produttività e alla conciliazione vita-lavoro. Ma non finisce qui. Con un altro provvedimento, l’amministrazione ha decretato la chiusura totale dell’unica sede di lavoro per ben tre settimane consecutive ad agosto, di fatto mettendo in ferie obbligatorie tutti i dipendenti e mandando all’aria la programmazione appena effettuata dei piani-ferie individuali”.
Lo scrivono in una nota il Segretario generale Fp Cgil Federico Bozzanca e il Segretario generale Uil Pa, Sandro Colombi.
“Ad essere sinceri, non ci era mai capitato di sentire che una pubblica amministrazione possa decidere una specie di ‘serrata’ istituzionale a propria discrezione e per un tempo così lungo, come un’attività privata. Evidentemente, nessuno del vertice politico o amministrativo ha valutato l’inopportunità di una simile scelta. Come sempre più spesso purtroppo avviene nelle amministrazioni delle Funzioni Centrali – prosegue la nota – le rappresentanze sindacali si sono divise in due: quelli che abbassano la testa e quelli che vanno a testa alta. E così Fp Cgil e Uil Pa, dopo aver ricevuto mandato dall’assemblea del personale, hanno proclamato lo stato di agitazione chiedendo l’attivazione delle procedure di raffreddamento e conciliazione previste dalla legge 146/1990. Gli altri sindacati? Non pervenuti”.
“Ma stavolta le lavoratrici e i lavoratori del CNEL sono pronti ad andare fino in fondo per far valere i propri diritti e riportare la gestione del rapporto di lavoro nei confini delle regole fissate dagli accordi di contrattazione collettiva. Al CNEL la controparte datoriale tenta di forzare la mano al sindacato in materia di lavoro agile e di gestione delle ferie, stabilendo un precedente pericoloso per l’intera la Pubblica Amministrazione. Questa iniziativa deve essere fermata. Le incongrue decisioni dei vertici CNEL nei confronti del personale sono inaccettabili nella forma e nella sostanza e vanno respinte senza se e senza ma. È esattamente quello che stiamo facendo e che continueremo a fare”, concludono Bozzanca e Colombi.
Roma, 16 lug – “Si è conclusa con un verbale di mancato accordo, il 1° luglio scorso, la procedura di raffreddamento e conciliazione attivata presso il Ministero del Lavoro su richiesta delle federazioni sindacali confederali Fp Cgil, Cisl Fp, Fisascat Cisl, Uil Fpl e Uiltucs nell’ambito delle trattative di rinnovo del contratto nazionale. L’Associazione datoriale non ha avanzato proposte rispetto alla seduta del 10 giugno, che ricordiamo abbiamo ritenuto irricevibile: 55 euro sul tabellare per un livello 4 full time, 5 euro di assistenza sanitaria integrativa, 200 euro di una tantum in welfare e solo un parziale miglioramento sulle tutele di malattia, ma ha rifiutato un confronto su tavoli separati tra le organizzazioni sindacali di categoria e le altre organizzazioni sindacali autonome che noi riteniamo non rappresentative del settore. Proposte ben lontane dai recenti rinnovi contrattuali siglati nel settore sociosanitario (Uneba, Cooperative Sociali, Anffas, Agidae, Valdesi), che hanno riconosciuto aumenti salariali tra il 10,4% e il 12,6%, oltre a importanti avanzamenti normativi”.
Lo dichiarano, in una nota stampa unitaria, le federazioni sindacali confederali Fp Cgil, Cisl Fp, Fisascat Cisl, Uil Fpl e Uiltucs.
Le organizzazioni sindacali denunciano “l’assenza di una reale volontà negoziale da parte di Anaste, che ignora la piattaforma sindacale condivisa e mira esclusivamente ad ottenere firme per un rinnovo al ribasso, che di certo non sarà per mano di Cgil, Cisl e Uil”.
Le federazioni confederali, rigettando nuovamente le proposte, puntano il dito contro gli “aumenti irrisori che non permettono di recuperare la perdita del potere di acquisto erosa da un’inflazione a due cifre degli ultimi anni, sviliscono il lavoro di oltre 10.800 operatori del settore”.
“È inaccettabile – stigmatizzano – continuare a ignorare la dignità e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Fp Cgil, Cisl Fp, Fisascat Cisl, Uil Fpl e Uiltucs, concludono, “hanno programmato, nelle prossime settimane, un attivo nazionale dei delegati e delegate aziendali impiegati nelle strutture Anaste nel quale si procederà ad organizzare lo sciopero nazionale”.
“Apprendiamo con un certo stupore delle dichiarazioni del ministro Zangrillo, che continua a diffondere numeri fuorvianti. I venti miliardi di euro da lui annunciati sono previsti in due leggi di Bilancio; in presenza di un’inflazione del triennio 2022-24 pari al 16% annunciare un aumento che non arriva al 7% significa di fatto impoverire di circa il 10% lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego. I veri numeri sono questi: i rinnovi contrattuali dei trienni 2016/2018 (+3,48%) e 2019/2021 (+4,38%) sono stati superiori all’inflazione, rispettivamente al 2,1% e al 2,3%. Al contrario, quello relativo al 2022/2024 rappresenterebbe il primo Ccnl con un adeguamento economico abbondantemente al di sotto dell’inflazione registrata”.
​Lo scrivono in una nota Fp Cgil e Uil Fpl, replicando alle dichiarazioni del ministro della Pubblica amministrazione.
​“L’unica cosa da capire è che si tratta di misure largamente insufficienti a coprire la perdita del potere di acquisto di lavoratrici e lavoratori, la cui professionalità andrebbe valorizzata anziché svilita. Noi abbiamo scelto di lottare per i diritti, chiedendo un rinnovo contrattuale degno. Continueremo a ribadire la necessità di aumentare le risorse e non accetteremo mai l’aut aut del prendere o lasciare: non si gioca sulla pelle di chi lavora”.
“Si è conclusa oggi in ARAN la trattativa per il rinnovo del comparto autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri con la firma dell’ipotesi di CCNL 2019-2021. Siamo in presenza di un Contratto che fa pagare alla PCM una doppia penalità: oltre a essere sottoscritto con 6 anni di ritardo, è condizionato dal cambio di paradigma dell’amministrazione che vuole restringere gli spazi delle relazioni sindacali e della condivisione delle scelte finalizzate al raggiungimento del miglior benessere lavorativo, non consentendo la normazione nel contratto del lavoro agile e da remoto, al pari di tutti gli altri comparti, e che mostra di non avere interesse alla valorizzazione del personale”.
Lo si legge in una nota di Fp Cgil.
“Abbiamo chiesto fino all’ultimo ad ARAN – si prosegue – di accogliere le proposte puntuali che abbiamo presentato per riconoscere, per davvero, la specificità della Presidenza del Consiglio, valorizzando lavoratrici e lavoratori che ne fanno parte, e quelle di aggiornamento normativo già recepite in tutti gli altri CCNL. Ci siamo trovati di fronte a gravi, inspiegabili e non spiegate chiusure. Per questo oggi non abbiamo sottoscritto un’ipotesi di CCNL 2019-2021 che non risponde alle aspettative di lavoratrici e lavoratori condivise in questi anni, e procederemo nelle prossime settimane a un percorso di valutazione e consultazione con il personale della Presidenza sui contenuti nell’ipotesi di CCNL 2019-2021”, conclude Fp Cgil.

E’ Federico Bozzanca il nuovo Segretario generale della Funzione pubblica Cgil, la categoria dei servizi pubblici della Cgil. E’ stato eletto con 181 voti favorevoli e 4 contrari dall’Assemblea generale Fp Cgil riunitasi oggi a Roma, alla presenza del Segretario generale Cgil Maurizio Landini.
Succede a Serena Sorrentino.
Bozzanca, classe ’77, nato a Siracusa, ha iniziato la sua carriera sindacale in Nidil CGIL, dove si è occupato della costruzione del primo fondo interprofessionale per la formazione (Formatemp) e del vasto mondo del precariato nella Capitale. Entra nella Funzione pubblica di Roma est nel 2004, poi in segreteria regionale di Roma e Lazio, dove ha seguito anche il Ssaep (Socio Sanitario Assistenziale Educativo Privato) oltre alle autonomie locali. Nel 2011 è passato alla Funzione Pubblica Cgil, in qualità di Segretario nazionale, con delega alle funzioni locali e all’igiene ambientale.
E’ stato responsabile della contrattazione e del mercato del lavoro nei settori pubblici, nonché dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche, per la Cgil nazionale, dove ha lavorato al progetto di costituzione della scuola di formazione sindacale.
Attualmente ha la responsabilità sui settori pubblici e quella di Coordinatore della segreteria generale della Cgil.

“Si è tenuto stamattina un incontro per la prosecuzione della trattativa per il rinnovo del Ccnl Funzioni locali 2022-24. Nell’occasione, mentre Fp Cgil e Uil Fpl hanno illustrato opzioni e soluzioni in grado di rispondere alle esigenze reali di lavoratrici e lavoratori, Aran ha presentato una proposta che si muove nell’ambito delle risorse già stanziate, e che non risolve il problema salariale: uno spostamento delle risorse dall’indennità di comparto allo stipendio tabellare e una riduzione corrispondente del fondo delle risorse decentrate oltre a qualche euro inizialmente destinato alla contrattazione decentrata. L’operazione sarebbe valsa da un massimo di 17 euro lordi per i funzionari a 11 euro lordi per gli operatori sul salario tabellare già percepito in altra forma e che rischia di avere un saldo negativo dovendo compensare i maggiori oneri riflessi. Per noi la proposta è totalmente insufficiente. Occorrono fondi certi aggiuntivi per un contratto giusto e dignitoso per tutti. Dopo un solo giro di interventi al tavolo, Aran ha interrotto bruscamente la trattativa senza preannunciare ulteriori convocazioni”.
E’ quanto fanno sapere in una nota Fp Cgil e Uil Fpl, che ribadiscono: “noi rimaniamo sempre disponibili a proseguire il confronto, ad un esame nel merito dei provvedimenti e ad un ulteriore momento di approfondimento. Nell’occasione, è opportuno ricordare che il recente decreto sulla Pubblica Amministrazione non garantisce alcun aumento certo per tutti i lavoratori, ma introduce solo una possibilità, non un obbligo, di superamento del tetto del salario accessorio. Opportunità riservata ai soli enti virtuosi e, anche tra questi, molti saranno costretti a scegliere tra nuove assunzioni e l’aumento (nella stragrande maggioranza dei casi minimo) del salario per il personale in servizio”, proseguono.
“Il governo non sta dando le risposte necessarie, per noi parte la mobilitazione”, conclude la nota.

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