Roma, 20 feb – La sottoscrizione degli accordi negoziali 2022-2024 del personale del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, ha determinato il taglio reale delle retribuzioni di oltre 280€ medi. Altro che armonizzazione con il contratto a perdere delle forze di polizia. La sconfitta del sindacato è permettere al governo Meloni, attraverso il contratto, di tagliare il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori di ben due terzi rispetto al dovuto.
A dichiararlo è Mauro Giulianella, Coordinatore nazionale dei Vigili del Fuoco per la FP CGIL. “Le risorse insufficienti realizzano un incremento medio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici del 5,78% a fronte di un’inflazione a due cifre nello stesso periodo, pari a oltre il 15%.” La realtà delle risorse insufficienti è emersa al tavolo nel corso della trattativa; “non potevamo essere disponibili a sottoscrivere degli accordi che mortificano chi opera nel soccorso ogni giorno, senza dare adeguate risposte neanche sul piano normativo – prosegue il Coordinatore nazionale – “si peggiorano le condizioni di lavoro, salute e sicurezza aprendo la possibilità all’impegno straordinario grazie alla cancellazione del limite di 4 turni di pronta disponibilità, nessuna risposta sull’attivazione della tutela legale del personale coinvolto in procedimenti giudiziari, viene cancellato il riferimento all’INAIL per l’osservatorio sulle malattie professionali, non viene data l’opportunità di accedere alla previdenza complementare. Ci sarà un motivo per cui hanno scelto di rinviare tutto alla contrattazione di secondo livello, quella integrativa, peraltro senza risorse aggiuntive e quindi da realizzare con gli esigui risparmi di spesa che confluiscono nel Fondo di Amministrazione, con un atto di impegno che abbiamo ritenuto di sottoscrivere per garantire al personale che vengano date risposte effettive ai formatori, i capo squadra, le tante specializzazioni, gli autisti.”
Avrebbero potuto mettere a disposizione della contrattazione tutte le risorse già stanziate per il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, a partire dalle risorse individuate per i rinnovi contrattuali successivi, passando poi a quelle per il riordino dell’ordinamento determinate con il DL approvato ieri dal consiglio dei ministri che prevede 28 milioni di euro per il 2025 e per il 2026 con 34 milioni a decorrere dal 2027. Non lo hanno voluto fare! Il Ministro Zangrillo nel suo intervento a Palazzo Vidoni ha attribuito l’aggettivo di virtuosi a chi ha sottoscritto velocemente questi accordi. Virtuoso non lo è stato il governo, evidentemente.
Con questi pessimi accordi si è certificato che è possibile svendere il lavoro del soccorritore, del Vigile del Fuoco. Nessun contratto di lavoro dei Vigili del Fuoco era mai stato sottoscritto a queste condizioni, anche quando il sindacato autonomo accusava la Fp CGIL di sottoscrivere accordi al ribasso. Per queste ragioni non abbiamo sottoscritto il peggior contratto della storia dei Vigili del Fuoco.
Riteniamo un errore aver dichiarato conclusa la trattativa per il contratto 2022-2024 del personale del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, con il sostanziale assenso delle altre organizzazioni sindacali (Conapo, FNS CISL, UIL PA, CONFSAL) che hanno dichiarato la loro disponibilità alla sottoscrizione di un accordo che determina il taglio reale delle retribuzioni dei vigili del fuoco di oltre 280 euro medi.
Lo si legge in una nota di Fp Cgil.
La principale responsabilità è del Governo Meloni, che ha scelto di stanziare risorse insufficienti che realizzano un incremento medio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici del 5,78% a fronte di un’inflazione a due cifre nello stesso periodo, pari a oltre il 15%. Lo abbiamo detto chiaramente nel corso della trattativa, non siamo disponibili a condividere un testo che mortifica chi opera nel soccorso ogni giorno, senza dare adeguate risposte neanche sul piano normativo. Avevamo chiesto un intervento per attivare la tutela legale del personale coinvolto in procedimenti giudiziari, una valorizzazione economica del personale che svolge e partecipa alla formazione, il riconoscimento degli straordinari al personale “trasportato” in missione, la corresponsione del secondo buono pasto dopo le 12 ore di servizio, la revisione dei criteri per l’individuazione delle sedi disagiate, viene cancellato il riferimento all’INAIL per l’osservatorio sulle malattie professionali, ma soprattutto ci siamo opposti in ogni modo alla cancellazione del limite di 4 turni di pronta disponibilità per il personale operativo, che ha trovato invece il favore delle altre organizzazioni sindacali di sponda all’amministrazione.
Si potevano e si dovevano mettere a disposizione della contrattazione tutte le risorse già stanziate per il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, a partire dalle risorse individuate per i rinnovi contrattuali successivi, passando poi a quelle per il riordino dell’ordinamento determinate con il DL approvato oggi dal consiglio dei ministri che prevede 28 milioni di euro per il 2025 e per il 2026 con 34 milioni a decorrere dal 2027, alla previdenza dedicata e complementare, così come quelle per la specificità ex legge 183/2010. Mentre invece questo si appresta a diventare il contratto del rinvio: rinvio alla contrattazione integrativa ma senza risorse aggiuntive, rinvio al triennio successivo, rinvio al confronto con l’amministrazione.
Con questo pessimo accordo si certifica che la diminuzione del potere d’acquisto dei salari può essere possibile. Nessun contratto di lavoro dei Vigili del Fuoco era mai stato sottoscritto a queste condizioni anche quando il sindacato autonomo accusava la Fp CGIL di sottoscrivere accordi al ribasso. Per queste ragioni non abbiamo ritenuto di condividere il testo proposto dal Dipartimento di Funzione Pubblica, perché pensiamo che i professionisti del soccorso e della prevenzione, i più amati dai cittadini, meritino molto di più dell’ennesimo contratto a perdere imposto dal Governo Meloni.
“Fondamentale firmare contratti di lavoro che mantengano potere d’acquisto”
“Un motivo in più per dire no alla sottoscrizione di Contratti Collettivi nazionali di lavoro che, perdendo di vista la primaria funzione di rivalutare le retribuzioni almeno in ragione dell’inflazione registrata nel periodo di riferimento, oltre a svalorizzare il lavoro consegnano i lavoratori e le loro famiglie alla povertà da pensionamento”.
Lo ha detto il segretario nazionale Fp Cgil Florindo Oliverio commentando i dati resi noti dal convegno “il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, proposte e iniziative per superare l’inaccettabile sequestro della liquidazione” promosso da Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp oggi a Roma.
Nel documento reso noto nel corso dell’iniziativa si legge infatti che “a distanza di quasi 15 anni dall’introduzione del differimento del TFS/TFR per i lavoratori dipendenti pubblici permane ancora oggi l’ingiustificabile discriminazione tra i lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico, che per ottenere la liquidazione possono arrivare a dover aspettare fino a sette anni. Il differimento penalizza i lavoratori pubblici non soltanto allungando i tempi di attesa dell’erogazione in seguito al pensionamento, ma inficiando anche sul potere d’acquisto dell’importo del TFS/TFR che, a causa dell’inflazione accumulata, perde valore col passare del tempo. E’ stata stimata una perdita di 11.735 euro su un Trattamento medio di 82.400 euro, pari al 14.3% in meno, a causa dell’alta inflazione degli ultimi anni. Tale perdita cresce all’aumentare dell’importo del TFS, soprattutto considerando l’ulteriore differimento per le rate successive. Sommando la perdita del potere d’acquisto del TFS per i dipendenti pubblici cessati nel 2022 e 2023, l’ammontare complessivo della riduzione dovuta al differimento e all’inflazione raggiunge 2 miliardi e 157 milioni di euro”.
“Il differimento del TFS/TFR è una misura ingiustificata che, nel tempo, si è trasformata in una vera e propria penalizzazione strutturale-sequestro. Inoltre, le risorse sottratte ai lavoratori pubblici non solo ne penalizzano la stabilità economica, ma violano il principio di equità di trattamento rispetto ai dipendenti privati, ai quali il TFR viene erogato in tempi ragionevoli. Negli ultimi anni, inoltre, sono cresciuti i tempi di attesa del Tfr dei dipendenti pubblici che hanno aderito ai Fondi di previdenza complementare di tipo negoziale, tempi che sono passati da una media di 6 mesi fino agli oltre 15 mesi attuali, il tempo che impiega Inps per liquidare le somme alle lavoratrici e ai lavoratori. Sia per problemi tecnici e organizzativi sia, soprattutto, per carenza di organico, oggi presso Inps risultano, solo per il Fondo Perseo Sirio (tutta la Pa tranne la scuola) quasi 5.000 posizioni in attesa di essere liquidate per un valore di quasi 38 milioni di euro”, ha osservato Ezio Cigna, responsabile Previdenza Cgil
Nazionale.
“Appare dunque evidente che se non si firmano contratti di lavoro che mantengono il potere d’acquisto – ha concluso Oliverio – si incide in modo estremamente negativo sia sui salari, che con il rinnovo dei contratti di lavoro devono crescere ad un valore almeno pari all’inflazione se non vogliamo sancire un impoverimento ex lege per i dipendenti pubblici, ma anche sulla pensione e sul tfs che si svaluta anno dopo anno. Se a questo aggiungiamo il parziale blocco del turn over e un ulteriore invecchiamento del personale, in un contesto di generale svalorizzazione del lavoro pubblico, il quadro è, purtroppo, drammaticamente negativo”.
Roma, 17 feb – “Sulla necessità di risollevare le sorti del SSN il mondo politico è prodigo di dichiarazioni e promesse, ma continua a tergiversare nell’adozione delle iniziative necessarie per recuperare la sua attrattività nei confronti del personale indispensabile ad assicurarne la sopravvivenza”.
Lo dichiara l’intersindacale dei Dirigenti Medici, Veterinari e Sanitari, Aaroi-Emac, Fassid, Fp Cgil Medici e Dirigenti SSN, Fvm, Uil Fpl Medici e Veterinari.
“Il triennio 2022/2024 è già terminato senza contratto e ancora non si vede neanche traccia dell’atto d’indirizzo che occorre per avviarne le trattative. Sul versante economico sarà senz’altro complicato portare a termine la contrattazione con le scarse risorse economiche a disposizione, di gran lunga inferiori all’inflazione di questi anni. Un’inflazione che ad oggi ha già eroso il doppio del valore del rinnovo. Non basteranno a colmare questa perdita del potere d’acquisto degli stipendi neppure le esigue risorse extra-contrattuali previste dal futuro e remoto incremento stabilito dall’ultima manovra finanziaria per l’Indennità di Specificità Sanitaria, che è disponibile a decorrere dal 2026 e solo per Medici e Veterinari, mentre per i Dirigenti Sanitari è rimasto nella nebbia di generiche rassicurazioni fatteci dal Ministro della Salute Orazio Schillaci. Il Ministro della Salute aveva promesso immediati provvedimenti correttivi già nella legge di bilancio ma questa è stata approvata immodificata lasciando scoperti i dirigenti sanitari. Successivamente il Ministro aveva promesso un intervento correttivo per eliminare le discriminazioni rimaste nella legge di bilancio ma ancora non ci è stata ancora data prova di una concreta iniziativa”, prosegue l’intersindacale.
“Oggi serve compattezza e unità sindacale su tutti i fronti e su fatti concreti, per questo prosegue il nostro percorso di coinvolgimento e partecipazione attiva dei professionisti nei luoghi di lavoro alle assemblee intersindacali sulle tematiche indispensabili per rendere attrattivo il SSN pubblico, e quindi per migliorare la qualità delle cure e dei servizi offerti alla cittadinanza: finanziamento contrattuale ed extracontrattuale adeguato ed equo per tutti i Dirigenti del SSN, emanazione dell’atto d’indirizzo per il rinnovo contrattuale 2022/2024 che sia coerente con la necessità di migliorare le condizioni di lavoro, a partire dalla conciliazione dei tempi di vita-lavoro e dalla valorizzazione della carriera dei professionisti, riforma della formazione specialistica attraverso l’introduzione del contratto formazione-lavoro per tutti i Dirigenti Medici, Veterinari, Psicologi, Biologi, Farmacisti, Chimici, Fisici e Dirigenti delle Professioni Sanitarie. Dopo il Piemonte, a Marzo saremo in Liguria ed Emilia Romagna, per poi proseguire con la Campania”, incalza l’Intersindacale, che conclude: “Quelli citati sono obiettivi minimi, ma prioritari su cui è necessario unire tutte le forze; dopo gli incontri avuti con il Ministro nei mesi scorsi, abbiamo chiesto un incontro con la Conferenza delle Regioni, perché serve un confronto serrato con Governo e Regioni, che non possono più tergiversare e devono responsabilmente adoperarsi in queste direzioni per assicurare ai cittadini la tutela della salute che a queste istituzioni compete, per difendere il SSN pubblico partendo dalla valorizzazione dei suoi professionisti”.
Ancora una volta il ministro della PA annuncia provvedimenti epocali per rendere più attrattiva e moderna l’amministrazione dello stato. Questa volta con il DL PA 2025, al vaglio del Consiglio dei ministri questa settimana, con cui sostiene di risolvere il problema del precariato nella Pubblica Amministrazione, ma come?
Liberalizzando i contratti precari e introducendo deroghe senza precedenti ai limiti stabiliti dalla legge.
Con le misure proposte, infatti, le amministrazioni potranno assumere senza limiti percentuali con contratti a tempo determinato e in somministrazione il personale reclutato per il PNRR, senza inoltre prevedere alcuna prospettiva di stabilizzazione per chi ha già dimostrato sul campo la propria professionalità.
“Il precariato diventa così il sistema a regime, anche oltre i progetti del PNRR. – dichiara Florindo Oliverio, segretario nazionale della Funzione pubblica CGIL – Attualmente il fenomeno delle assunzioni a termine non è limitato a pochi lavoratori: solo nel ministero della giustizia sono circa 12.000. E il nostro paese è stato già additato in Europa per essere il datore di lavoro che aggira norme e direttive comunitarie per un uso massiccio e indiscriminato del precariato in tutta la Pubblica Amministrazione. Per questo chiediamo innanzitutto che da qui alla prossima legge di bilancio si stanzino le risorse necessarie a stabilizzare tutti gli operatori data entry, i funzionari tecnici e quelli addetti all’ufficio per il processo del ministero della giustizia”.
Noncurante il governo italiano deroga il limite del 20% per i contratti a tempo determinato e del 30% per il lavoro somministrato a tempo determinato.
Ovviamente il concorso pubblico resta lo strumento per evitare di pagare pegno per l’uso improprio delle assunzioni a termine. Nell’amministrazione pubblica, a differenza dei privati, i rapporti di lavoro a termine possono andare già ben oltre la loro durata legale senza che il lavoratore possa ottenere la trasformazione a tempo indeterminato per l’obbligo del reclutamento per concorso, con solo di recente la possibilità in capo a lavoratrici e lavoratori pubblici di far valere le proprie ragioni in un procedimento giudiziario per ottenere un mero indennizzo economico e non già la stabilizzazione del rapporto di lavoro.
Ora il sistema ideato dal ministro dirà che migliaia di precari, nonostante abbiano svolto ruoli fondamentali nella macchina amministrativa, saranno costretti a ripartire da zero, senza alcuna garanzia di continuità lavorativa e non potranno beneficiare delle precedenti norme che il Governo ha deliberatamente lasciato cadere non prorogandole nonostante le nostre numerose richieste in tal senso, che permettevano la stabilizzazione (trasformazione automatica del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato) dopo 36 mesi di attività nel pubblico impiego, anche non continuativa, nell’arco di 8 anni.
All’incertezza del futuro per i giovani del nostro paese si somma la malasorte di una Pubblica Amministrazione più fragile e instabile, affidandosi a un modello basato su assunzioni temporanee e lavoratori senza certezze.
Il precariato penalizza tutti i cittadini che si aspettano servizi pubblici efficienti e competenti e invece si misurano con servizi precari proprio come i lavoratori che dovrebbero farli funzionare.
Per questo da anni abbiamo proposto alla politica e alle istituzioni un Piano straordinario per l’occupazione nelle amministrazioni e nei servizi pubblici per l’assunzione di 1.200.000 di lavoratrici e lavoratori, sia per compensare il turn over che per il potenziamento dei servizi pubblici, dalla riduzione dei tempi della giustizia all’aumento del numero e della qualità delle ispezioni sul lavoro e molto altro.
Un Piano che deve fare fronte a una situazione straordinaria generata da quindici anni di blocco delle assunzioni, nonostante la presenza dei pensionamenti, e che oggi, con la ripresa delle assunzioni, ha mostrato tutti i limiti di attrattività del lavoro pubblico legati a stipendi inadeguati, organizzazioni rigide e percorsi di carriera inesistenti o poco trasparenti.
Non c’è tempo! I pensionamenti già previsti per i prossimi anni richiedono misure eccezionali come la stabilizzazione di tutti i rapporti di lavoro precari oggi presenti nelle amministrazioni pubbliche, a partire da quelli dedicati ai progetti del PNRR e che andranno a scadenza entro il 2026.
La proroga di tutte le graduatorie dei concorsi pubblici in scadenza entro il 2025 e il ripristino di quelle già scadute confermandone la vigenza fino al loro completamento esaurimento.
Occorre poi ristabilire che la modalità ordinaria di assunzione nelle pubbliche amministrazioni è con il contratto di lavoro di tipo subordinato e a tempo indeterminato al fine di garantire l’imparzialità e l’efficacia dell’azione amministrativa, oltre a restituire certezze e capacità di poter programmare il proprio futuro per le lavoratrici e i lavoratori pubblici.
Il lavoro pubblico stabile e tutelato è garanzia di servizi e amministrazioni pubbliche a tutela dei cittadini. Non permetteremo che il lavoro pubblico venga ridotto a un susseguirsi di contratti a termine, senza diritti e senza prospettive.
Continueremo a mobilitarci contro ogni attacco nei confronti dei lavoratori pubblici delle Funzioni Centrali già danneggiati da un CCNL che , per la prima volta, sancisce che lo stipendio di chi lavora si impoverisca di fronte al costo della vita.
“Rilanciamo al Governo la richiesta di rendere subito disponibili, per la tornata contrattuale 2022-2024, parte delle risorse già definite in legge di bilancio per il CCNL 2025-2027”. Questo il commento di Fp Cgil e Uil Pa in vista dell’incontro convocato dal ministro Zangrillo per il prossimo 18 febbraio.
“I dati Istat certificano ciò che denunciamo da tre anni – precisano i sindacati – e che ha portato sino ad ora a una stagione di rinnovi contrattuali a perdere per i lavoratori pubblici. Come sottolinea l’istituto, a dicembre 2024 l’indice delle retribuzioni contrattuali fa registrare una diminuzione su base annua dovuto all’anticipo dell’indennità di vacanza contrattuale 2024, erogato a dicembre 2023 per i dipendenti a tempo indeterminato delle amministrazioni statali, e nella P.A. si registrano variazioni negative nell’ordine del 20%. Le modeste risorse stanziate per questo rinnovo hanno determinato una perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici superiore al 10%, senza peraltro sbloccare la dinamica del salario accessorio, per il quale permane un ingiustificato tetto di spesa fissato dalla riforma Madia agli importi del 2016”.
“Di fronte a questa nuova convocazione e a quanto è accaduto nelle buste paga successive alla firma del contratto, con il salasso del conguaglio fiscale, ribadiamo che ci sono risorse spendibili da subito, basta una norma per eliminare il tetto al salario accessorio e si può ancora migliorare la parte normativa. È questione di volontà politica. Così come è solo questione di volontà politica l’introduzione di meccanismi legislativi che consentano di estendere ai lavoratori del settore pubblico le regole sulla detassazione del salario di produttività, già in vigore da anni nel settore privato. Un provvedimento che, se il Governo vuole, può essere realizzato in tempi rapidi. Il ministro ci dica se il Governo è disponibile a discutere seriamente di questi problemi e a dare ascolto alle rivendicazioni salariali e professionali dei lavoratori pubblici. Con la situazione economica delle famiglie, gli effetti negativi della trasformazione della decontribuzione in detrazioni per la maggioranza degli scaglioni di reddito (in cui rientrano i pubblici dipendenti), la questione retributiva è una priorità assoluta. Noi riteniamo che sia giunto il momento di affrontare questo tema in modo serio e ci aspettiamo dal prossimo incontro risposte concrete”, concludono Fp Cgil e Uil Pa.
“Aiop e Aris continuano a negare il rinnovo del contratto a oltre 200mila lavoratrici, lavoratori e professionisti della sanità privata e delle RSA, ma la nostra mobilitazione non si ferma. Non possiamo più accettare che chi ogni giorno garantisce la salute dei cittadini venga ignorato e sottopagato, mentre le strutture private accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale ricevono risorse pubbliche, lasciando senza contratto i propri dipendenti”.
Lo hanno dichiarato questa mattina, sotto il Ministero della Salute, i segretari nazionali Barbara Francavilla (Fp Cgil), Roberto Chierchia (Cisl Fp) e Ciro Chietti (Uil Fpl), ribadendo la necessità di un intervento istituzionale immediato per sbloccare le trattative.
“I contratti della sanità privata sono fermi da sei anni, quelli delle RSA da tredici. È una vergogna. Le strutture private accreditate con il SSN ricevono finanziamenti pubblici, ma continuano a fare dumping contrattuale, penalizzando i propri dipendenti. È inaccettabile che Aiop e Aris chiedano ulteriori coperture economiche prima di avviare la trattativa, dopo aver già beneficiato delle risorse stanziate dalla legge di bilancio e dell’incremento delle tariffe sui rimborsi sanitari. Senza regole chiare sugli accreditamenti, questa situazione non cambierà mai”, proseguono.
A margine della mobilitazione, i segretari nazionali sono stati ricevuti al Ministero della Salute dal Capo di Gabinetto, Marco Mattei: “abbiamo ribadito, ai vertici del dicastero, la necessità di vincolare l’accreditamento delle strutture private al rinnovo dei contratti collettivi, per garantire, agli operatori del settore privato, le stesse condizioni economiche e normative di chi opera nel pubblico”.
“Se le cose non cambieranno i cittadini pagheranno il prezzo più caro – concludono i segretari di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl -. Le lavoratrici e i lavoratori della sanità privata, infatti, stanno lasciando le strutture accreditate per cercare condizioni migliori altrove. Aiop e Aris devono capire che, senza una valorizzazione concreta del personale, presto si troveranno senza operatori, pregiudicando la qualità dell’assistenza ai cittadini e nell’impossibilità di garantire i requisiti organizzativi minimi per un servizio pubblico di qualità. Il Governo e la Conferenza delle Regioni devono intervenire subito: chi non rinnova i contratti non può continuare a ricevere fondi pubblici. La nostra mobilitazione continuerà fino a quando non sarà garantito un contratto dignitoso per tutte e tutti”.