A 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto, sono 18mila gli operatori a perdere il lavoro

Sono passati 6 mesi dal momento in cui il decreto sicurezza – anche detto decreto Salvini – è entrato in vigore, lo scorso ottobre 2018. Una nuova misura i cui punti cardine ruotano attorno al tema dell’immigrazione e della sicurezza pubblica. Accostamento di temi discutibile ma nient’affatto casuale. L’intervento del ministro Salvini sull’immigrazione, e quindi su tutto il sistema dell’accoglienza, è stato piuttosto massiccio, ha determinato la chiusura di diversi centri di accoglienza, drasticamente diminuito il numero delle ore di lavoro dedicate ai servizi e ridotto da 35 a circa 21 euro lordi pro capite la spesa per l’accoglienza di ciascun migrante al giorno.

Ospiti, lavoratori ed esuberi. I numeri.

Ma cosa è cambiato concretamente in questi sei mesi? E come è cambiata la rete dell’accoglienza? Vediamolo coi numeri alla mano. Cominciamo col dire che attualmente in Italia ci sono circa 131mila ospiti, lo 0,27% della popolazione residente, secondi i dati forniti da UNHCR. Nel 2017, con il decreto Minniti, i lavoratori impegnati nel sistema accoglienza, in rapporto al numero di ospiti, era di meno di un terzo, ovvero circa 40 mila operatori, tra Cara, Cas e Sprar. Secondo una stima della Fp Cgil, ad oggi, con l’attuazione del decreto Salvini, circa il 40% di questi lavoratori rischia il posto di lavoro, a seguito della riduzione delle ore di lavoro da dedicare al sistema accoglienza, prevista dal decreto stesso. Circa 18mila operatori che perderanno il posto nei prossimi mesi: medici, infermieri, mediatori culturali, insegnanti, psicologi e avvocati, molti dei quali giovani sotto i 35 anni di età. Se così fosse il rapporto tra numero di operatori e numero di ospiti arriverebbe ad essere di 1 a 8. Gli esuberi in corso sono già tantissimi, in alcuni casi hanno svuotato anche le strutture più ampie. È il caso, ad esempio, di Auxilium, a Castelnuovo di Porto, con 194 esuberi; o di Medihospes, una realtà che ha già subito 350 esuberi in ben 12 regioni; infine c’è il Progetto Arca, che ha subito 118 esuberi a Milano, Varese e Lecco. Queste sono solo alcune delle realtà più grandi e quindi più evidenti che sono state investite dal cambiamento portato dal decreto sicurezza, ma insieme a queste ci sono tante medio-piccole realtà che vivono le stesse condizioni. Da un monitoraggio svolto nei territori risultano essere circa 5mila i lavoratori già interessati da procedure di esubero. Un duro colpo per l’occupazione e per tutte queste persone messe alla porta da un giorno all’altro, indipendentemente dalla propria professionalità e dedizione.

 

 

Centri di accoglienza: come cambiano i servizi, dalle figure coinvolte al numero di ore.

Per capire la reale portata del cambiamento in corso, proviamo ad indagare come sono cambiati dal 2017-2018 ad oggi i numeri di un centro di accoglienza di medie dimensioni, con un bacino che va dai 151 ai 300 posti per ospiti. Per cominciare, il numero di operatori previsto durante il giorno è passato dagli 8 ai 2. Da 3 a 1 invece cala il numero di operatori notturni. Uno per 300 ospiti. Ma anche le figure più delicate e rilevanti hanno subito un drastico taglio in quanto a numero di ore lavorate. Ad esempio, con il decreto Minniti era prevista nei centri di accoglienza una presenza costante di infermieri, 24 ore su 24. Ora è prevista una presenza di sole 6 ore al giorno. I medici invece passano dalle 24 ore al giorno alle 24 a settimana, gli assistenti sociali dalle 36 ore a settimana alle 20 e i mediatori linguistici addirittura da 108 ore a settimana a sole 24. Sono state invece del tutto abolite le ore dedicate all’insegnamento della lingua e al sostegno. Insomma, una riduzione dei servizi nei centri di accoglienza di un quarto, nei casi più fortunati.

 

 

“Con le sue scelte il governo sta buttando fuori circa 18mila lavoratori – fa sapere la Fp Cgil -. Persone che, oltre a perdere il lavoro, non godono neanche di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, non previsti per i loro profili. È necessario individuare per loro percorsi di riqualificazione e ricollocazione nel sistema dei servizi e introdurre misure di sostegno al reddito”. Una misura utile nell’immediato ma non esaustiva, precisa il sindacato. “Va ridefinito l’intero sistema immigrazione con la costruzione di una politica dell’integrazione che elimini le tensioni sociali”. Il modello Sprar, secondo la Fp Cgil, è quello che maggiormente ha dato risposte di integrazione e inclusione. “Dovremmo sostenerlo e ampliarlo”, conclude.

Due giorni di confronto, al centro il lavoro di soccorso, accoglienza e integrazione dei migranti

‘UeCare – L’Europa Solidale’. Il 26 e il 27 settembre la Fp Cgil, insieme al sindacato spagnolo Fsc Ccoo e al sindacato europeo dei servizi pubblici Epsu, ha promosso a Palermo, presso l’ex chiesa di San Mattia ai Crociferi, un appuntamento per affrontare il tema della migrazione, mettendo al centro il punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati nella rete della solidarietà: soccorso, accoglienza e integrazione.

Una due giorni di dibattiti e momenti di confronto – con esponenti sindacali, politici e istituzionali, esperti e studiosi, lavoratrici e lavoratori di diversi paesi europei – con un focus sul fenomeno della migrazione e sulle condizioni non solo dei servizi agli utenti ma anche delle condizioni di lavoro di chi fa parte della filiera che offre servizi all’immigrazione. Il tutto con l’obiettivo ultimo della costruzione di una rete europea dei lavoratori dei servizi ai migranti.

Per farlo la Fp Cgil si è avvalsa della ‘dichiarazione di Palermo’, approvata dai sindacati partecipanti; di una ricerca che indaga gli aspetti del sistema italiano, condotta insieme alla Fondazione Di Vittorio dal titoloLa condizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici per l’immigrazione’, per indagare al meglio gli aspetti delle condizioni di chi lavora nel segmento dell’immigrazione, di una video-inchiesta esclusiva dal titolo ‘migr[A]zioni – il lavoro fa rete’.

Tutti i materiali

La nostra video-inchiesta esclusiva:

 

Video-messaggio di Cècile Kyenge:

Un contributo video di Psi:

Difendiamo il modello Riace perché funziona, dimostrando che l’accoglienza diffusa come progetto è una ricchezza che consente di tenere in vita i territori altrimenti destinati all’abbandono o al dominio della malavita.

Difendiamo il modello Riace perché è supportato da circa 70 operatrici e operatori sociali, mediatori culturali e assistenti sociali, oltre a una rete di volontariato del terzo settore. Questo permette al piccolo borgo di tenere in vita servizi pubblici fondamentali, come i servizi sociali e la scuola, avviando da anni imprese, spesso giovanili, che vanno dall’artigianato al commercio, dai forni fino alla raccolta differenziata porta a porta.
La politica che propone il modello dei grandi centri di accoglienza ha già fallito in passato: perché crea lager, insicurezza sociale, disumanità e illegalità. Sono proprio leggi come la Bossi-Fini e ora il decreto Sicurezza a creare milioni di irregolari che saranno sfruttati come schiavi nell’economia sommersa.

Difendiamo chi lavora nella rete dei servizi pubblici e del terzo settore e si occupa di garantire solidarietà, accoglienza e inclusione. Servizi che vanno valorizzati e non attaccati continuamente da chi dovrebbe rappresentare una delle più alte cariche dello stato.
Bisogna opporsi e resistere a queste politiche disumane, propagandistiche, dannose e razziste.
Non siamo né con gli scafisti né con i caporali né con chi rende i migranti criminali, ma siamo con gli uomini, le donne e i bambini a cui va riconosciuto il diritto ad andare a scuola, a curarsi, a lavorare senza distinzione di nazionalità e colore.

Siamo al loro fianco in tutte le Riace, Lodi e Monfalcone, perché i diritti non devono avere confini.

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