luca attanasio

Una tragedia che ci ha sconvolto e ci addolora, la morte dell’Ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo. Il nostro pensiero va sia a loro, caduti mentre adempivano ad un difficile compito come servitori dello Stato in favore della pace fra i popoli, che alle loro famiglie.

Da questa tragedia, siamo costretti a ricordare quali siano i rischi di servire lo Stato in scenari di crisi. È necessario comprendere che da una maggiore stabilità del continente africano – come di altre aree disagiate del mondo – dipendono anche il benessere e la sicurezza dell’Europa e dell’Occidente tutto.

La cooperazione internazionale si fonda sulla solidarietà e tutela della vita e della dignità dell’uomo. È uno strumento volto a migliorare e consolidare le relazioni tra i diversi Paesi e comunità. Quindi, oltre a favorire la conoscenza tra i popoli, persegue una maggiore crescita economica, sociale ed umana – compresa l’uguaglianza di genere e le pari opportunità – nel rispetto dell’ambiente, delle culture locali e dei beni comuni (acqua, cibo ed energia).

Dalle attività di cooperazione internazionale, ne scaturisce anche una valorizzazione dell’immagine del nostro Paese nel mondo.

L’Italia ha aderito all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, per eliminare la povertà e promuovere la crescita economica su scala globale. La cooperazione allo sviluppo italiana fornisce inoltre assistenza e aiuto, in situazioni di emergenza, alle popolazioni sofferenti per eventi catastrofici naturali o di origine umana.

Da non dimenticare l’impegno della cooperazione nei confronti delle persone con disabilità che rappresentano circa il 15% della popolazione mondiale, di cui circa l’80% vive nei Paesi del Sud del mondo e l’impegno per contrastare le mutilazioni genitali femminili.

Parlare di cooperazione internazionale allo sviluppo significa toccare temi come emergenze umanitarie, migrazioni, soluzione dei conflitti, diritti umani e lotta alla povertà, ovvero i temi che affliggono il mondo attuale.

I finanziamenti pubblici per la Cooperazione allo sviluppo vanno pertanto mantenuti e rafforzati, perché costituiscono una leva fondamentale per trovare soluzioni ai temi citati.

Rinnoviamo il nostro cordoglio e la nostra vicinanza alle famiglie di Luca Attanasio, di Iacovacci e di Milambo.

L’Italia, che oggi ha oltretutto in carico l’importante impegno della presidenza del G20, ha sempre lavorato per un’Europa spazio di pace, aperta al partenariato con l’Africa in una prospettiva euro-mediterranea di integrazione e convivenza.

I diritti non hanno confini.

In questi mesi il dibattito ricorrente sui temi della giustizia è stato centrale nel confronto politico ma ha coinvolto poco la comunità del sistema giudiziario.  Non è solo questione di procedure ma soprattutto di organizzazione e strumenti a disposizione di un sistema giudiziario che dia coerenza all’esercizio dell’articolo 24 della Costituzione.

Ma in che condizione si trova la Giustizia in Italia?

Facendo un rapido bilancio sul personale possiamo rilevare alcuni dati indicativi: l’età media dei dipendenti è di 54 anni, la carenza media di organici su tutti gli uffici é del 25%, (in alcune regioni del nord, in particolare in Veneto, per alcuni uffici è del 50%).

 

IL PERSONALE.

Le procure sono supportate dalla Polizia Giudiziaria, uffici giudicanti e Giudici di Pace e stipulano convenzioni con Enti locali ed altri enti per sopperire alle carenze di personale. Nonostante il buon piano assunzionale, frutto del confronto tra amministrazione e sindacato che da anni porta avanti la battaglia per il potenziamento, ad oggi sono stati assunti circa 3.000 dipendenti per arrivare entro il 2023 a più di 8.000, che non riescono a compensare le uscite previste dalla legge Fornero e Quota 100. Paradossalmente si assume di più ma non abbastanza per compensare le uscite. Caso esemplifico è il concorso per 400 direttori: strutturato in modo da agevolare l’ingresso di magistrati onorari e avvocati e personale interno, si sono presentati meno della metà dei candidati. Dei pochi presentati la metà sono stati bocciati, sono passati quasi solo gli interni, una buona parte dei quali andrà in pensione tra pochi anni e difficilmente si sottoporranno a mobilità territoriale. Da poco si è conclusa positivamente una vertenza decennale dei precari della giustizia, ciò non può diventare la regola. Se non interviene un piano di assunzioni straordinario, con questa organizzazione, si rischia la paralisi.

Passando ad alcune proposte di riorganizzazione – ad esempio l’Ufficio del processo, progetto partito nel 2014 – occorre registrare che esso non è mai decollato per mancanza di risorse. Questa innovazione consisteva in una nuova organizzazione che doveva mettere a disposizione dei Giudici e Pm del personale qualificato, che li aiutasse nell’attività di ricerca e studio durante l’istruttoria del processo e nella fase finale, scrivere le bozze delle sentenze.

La riforma della giustizia non si può limitare a mettere qualche pezza, quindi anche sul tema “giustizia civile” occorre agire per decongestionare il sistema: non è possibile che per una multa si possano fare tre gradi di giudizio. Non tutto può finire in tribunale. Con questa mole di casi da trattare, non c’é ufficio del processo che tenga, la giustizia sarà sempre lenta.

È necessario un filtro per la possibilità di appellare, anche questo è legato alla lentezza della durata dei processi.

giustizia civile

LE STRUTTURE.

La giustizia è mal messa anche a livello di strutture, immobili belli e di grande pregio ma inadeguati ad ospitare gli uffici pubblici. Mancano le aule per fare un numero adeguato contestuale di udienze, in più la maggioranza di esse non sono a norma e la pandemia ha messo a nudo tutti i limiti e l’impossibilita di superarli.
Molti palazzi rientrano nel patrimonio artistico e gli interventi sono da concordare con il Ministero dei Beni culturali. Ripensare l’allocazione degli uffici per avere strutture più funzionali è una priorità se vogliamo far funzionare bene ed in sicurezza la giustizia.

 

INNOVAZIONE E DIGITALIZZAZIONE.

Sul capitolo innovazione e digitalizzazione siamo ancora troppo indietro, ancora a macchia di leopardo. Mancano prioritariamente gli strumenti infrastrutturali e materiali ma soprattutto manca la formazione sulle competenze digitali per la riconversione dei processi utilizzando al meglio la dimensione telematica.
Nel settore Penale la digitalizzazione degli atti è ancora in fase sperimentale. Tra i pochi uffici pilota ad oggi si segnalano Le Procure della Repubblica di Milano, Napoli e Genova.
La mancanza di personale da dedicare a tale attività ha aumentato le esternalizzazioni, molte sedi infatti si sono avvalse del supporto di cooperative esterne per avviare il processo di digitalizzazione. Poi, come da prassi, il progetto di implementazione della digitalizzazione non è stato rifinanziato e si è avuto un primo fermo, per ripartire in piena pandemia, con però la difficoltà di dover usare un programma progettato più di 15 anni fa che ha bisogno di essere adeguato.
Come per tutta la Pubblica amministrazione ciò che serve in modo emergenziale è il rafforzamento della rete, che, ad oggi, non regge i flussi di lavorazione appena essi si intensificano. Il parco macchine è obsoleto: computer senza sistema video e microfoni lenti.
Il collegamento da remoto spesso è impossibile, spesso il dipendente non si può collegare sia per la formazione a distanza che per l’udienza o altra attività. Le aule sono attrezzate con mezzi di fortuna, piccole telecamere che consentono la visione del collegamento al giudice e al cancelliere.

Al di là quindi della riforma del diritto e delle sue procedure, le proposte di riforma non possono essere unilaterali, fatte da soggetti che poco conoscono la realtà degli uffici. La comunità giudiziaria va coinvolta tutta. Sugli aspetti organizzativi occorre programmazione, visione e continuità. Progetti anche interessanti dal punto di vista organizzativo ma che durano una stagione non ce li possiamo più permettere. Si sprecano risorse e si perde tempo ed energie preziose, non si crea valore né per il sistema né per i lavoratori.

È necessario un nuovo modulo organizzativo, lo snellimento delle procedure, incentivare la formazione e valorizzare il personale.

Non è accettabile l’immobilismo e inerzia di questo Ministero. È un pachiderma immobile su tutto, in particolare sulle politiche di incentivazione e valorizzazione del personale.

Occorre riflettere sulla diarchia imperfetta della doppia dirigenza: dirigente amministrativo e magistrato.

La Fp Cgil è pronta a misurarsi con la riforma del “sistema giustizia” ma occorrono scelte chiare in termini di investimenti, riorganizzazione e potenziamento dell’occupazione.

La legge è uguale per tutti, l’efficacia del sistema giudiziario non sempre.

27 mila dipendenti in attesa di risposte per risolvere le criticità del settore

“Siamo fortemente insoddisfatti dell’incontro avuto di recente con il Sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo. Abbiamo riscontrato una scarsa considerazione istituzionale nei confronti delle criticità dei dipendenti civili della Difesa. Tante promesse tradite, e pochi fatti”. Così Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa commentano l’incontro con il sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo.

“Avevamo confidato che, dopo l’incontro dello scorso 21 Novembre con il Ministro Lorenzo Guerini, al termine del quale sono state anche rese pubbliche le Sue dichiarazioni d’impegno assunte nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori civili della Difesa, ci trovassimo finalmente al cospetto di un approccio reale e concreto alle annose problematiche denunciate dai sindacati, con espressioni di disponibilità al cambiamento che avevano indotto nuova speranza e fiducia nei lavoratori, già fortemente delusi dalla precedente gestione politica del dicastero – spiegano i sindacati -. E invece siamo stati costretti a prendere nuovamente atto della scarsa considerazione che continua purtroppo a caratterizzare, al di là delle promesse e dei presunti buoni propositi iniziali, l’agire del Ministero della Difesa nei confronti dei propri dipendenti civili che continuano a subire un’inaccetabile disparità di trattamento rispetto alla componente militare”.

“Se dai prossimi incontri non emergeranno risposte chiare ed esaurienti rispetto agli impegni assunti nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori civili della Difesa, ci riterremo liberi di richiamare il Ministro alle proprie responsabilità, ponendo in atto ogni forma di lotta e mobilitazione ritenuta utile a sensibilizzare l’opinione pubblica”, concludono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa.

Risorse, tutela Inail e assunzioni, da presidente Camera attenzione

“Hanno ascoltato le nostre rivendicazioni e promesso il massimo impegno nel dare risposte ai Vigili del Fuoco per maggiori risorse, un salario adeguato e tutele su infortuni e malattia professionale”. La Fp Cgil Vigili del Fuoco fa sapere l’esito dell’incontro avvenuto questa mattina a Roma tra il Presidente della Camera, Roberto Fico, e una delegazione sindacale, dopo la mobilitazione unitaria promossa da Fp Cgil Vigili del Fuoco, Fns Cisl e Uil Pa Vigili del Fuoco, in piazza Montecitorio, per rivendicare interventi a favore dei componenti del Corpo sui diritti e sul salario. Mobilitazione che proseguirà con lo sciopero del 21 novembre.

“Uno spiraglio da parte del Presidente della Camera è stato aperto – fa sapere Mauro Giulianella, Coordinatore nazionale Fp Cgil Vigili del Fuoco -. Lui stesso ha ritenuto le nostre rivendicazioni legittime e indiscutibili. Per questo si farà promotore delle nostre richieste, in particolar modo sulle risorse da destinare alla valorizzazione retributiva e previdenziale del Corpo e per inserire la norma che riconosca anche ai Vigili del Fuoco la possibilità di avvalersi del sistema Inail”.

Prosegue Giulianella: “Siamo convinti che la cittadinanza sia dalla nostra parte, dalla parte di un Corpo che ha sempre dimostrato vicinanza, ogni giorno, 24 ore su 24, su tutto il territorio nazionale. Ora il governo faccia la sua parte. È finito il tempo della propaganda arrogante e pretestuosa vissuta con il precedente governo. Servono investimenti concreti e maggiori tutele e diritti. Per questo, in attesa di risposte, proseguiremo la nostra mobilitazione a partire dallo sciopero del 21 novembre”, conclude.

Difendiamo il modello Riace perché funziona, dimostrando che l’accoglienza diffusa come progetto è una ricchezza che consente di tenere in vita i territori altrimenti destinati all’abbandono o al dominio della malavita.

Difendiamo il modello Riace perché è supportato da circa 70 operatrici e operatori sociali, mediatori culturali e assistenti sociali, oltre a una rete di volontariato del terzo settore. Questo permette al piccolo borgo di tenere in vita servizi pubblici fondamentali, come i servizi sociali e la scuola, avviando da anni imprese, spesso giovanili, che vanno dall’artigianato al commercio, dai forni fino alla raccolta differenziata porta a porta.
La politica che propone il modello dei grandi centri di accoglienza ha già fallito in passato: perché crea lager, insicurezza sociale, disumanità e illegalità. Sono proprio leggi come la Bossi-Fini e ora il decreto Sicurezza a creare milioni di irregolari che saranno sfruttati come schiavi nell’economia sommersa.

Difendiamo chi lavora nella rete dei servizi pubblici e del terzo settore e si occupa di garantire solidarietà, accoglienza e inclusione. Servizi che vanno valorizzati e non attaccati continuamente da chi dovrebbe rappresentare una delle più alte cariche dello stato.
Bisogna opporsi e resistere a queste politiche disumane, propagandistiche, dannose e razziste.
Non siamo né con gli scafisti né con i caporali né con chi rende i migranti criminali, ma siamo con gli uomini, le donne e i bambini a cui va riconosciuto il diritto ad andare a scuola, a curarsi, a lavorare senza distinzione di nazionalità e colore.

Siamo al loro fianco in tutte le Riace, Lodi e Monfalcone, perché i diritti non devono avere confini.

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