Lettera aperta della Fp Cgil Medici Sicilia al Ministro della Salute Livia Turco

Gentile Signora Ministra della Salute,
sentiamo l’esigenza di esternarLe la nostra delusione e per le modalità con cui si è svolta la Sua visita in Sicilia e per le Sue dichiarazioni.
Le si è presentata l’occasione di poter verificare in prima persona le inefficienze e gli sprechi di un sistema sanitario che, secondo le nostre analisi derivanti da anni di esperienze e di lavoro, ha stravolto le sue finalità e i cui risultati sono di fronte agli occhi di chi sa vederli e questa occasione è stata sprecata.
Non bisogna venire in Sicilia per rendersi conto della migrazione sanitaria di tante persone che vanno regolarmente a curarsi in altre regioni o all’estero, basta solo leggere le statistiche per accorgersi come per tutta una serie di malattie in questa regione ci si ammala di meno e si muore di più che altrove, basta guardare i giornali per vedere come la sanità siciliana sia diventata centro di interessi economici della mafia, basta parlare con quegli operatori che conservano una coscienza libera per sapere come il “Cuffarismo” abbia orientato tutte le scelte in materia sanitaria a scapito dell’efficienza e della cura dei cittadini.
In questo contesto non mancano certamente le isole di eccellenza, che sono poi quelle che Le sono state fatte vedere, ma il contesto generale è ben lontano da queste.
A pochi metri dall’Hospice dell’Ospedale Civico di Palermo che Lei ha visitato, ci sono le sale operatorie chiuse dai NAS, spostandosi qualche chilometro si sarebbero potute osservare le incompiute, ormai da circa trent’anni, dei padiglioni Polichirurgico e Via Ingegneros che continuano ad essere tali. E ciò per restare alla sola città di Palermo.
Avrebbe potuto, peccato che non l’abbia fatto, verificare le condizioni del sistema 118 e le assicuriamo che sarebbe rimasta molto sorpresa.
La cosa che più ci rincresce infine sono state le Sue dichiarazioni sulla retorica della malasanità.
Ci chiediamo e chiediamo a Lei Signora Ministra, se è retorica della malasanità denunziare il malcostume, gli sprechi e le inefficienze, mettendoci sempre la faccia e rischiando sempre di persona. In questo caso siamo onorati di poterci definire retori.
L’effetto finale della Sua visita è stato quello di aumentare la solitudine di coloro che in Sicilia lottano per una società più giusta e , come insegna Giovanni Falcone, la solitudine è cosa pericolosa.
EsternandoLe ancora una volta la nostra delusione, ci pregiamo di salutarLa.

La Segreteria Regionale CGILFP-MEDICI Sicilia
Renato Costa
Enzo Cirrincione
Grazia Colletto
Franco Ingrillì
Enzo Licita
Ernesto Melluso
Franca Titralosi.

Turco, basta una firma per 3mila medici precari della medicina generale

Dichiarazione di Massimo Cozza, segretario nazionale FP CGIL Medici e di Nicola Preiti, coordinatore nazionale medicina generale FPCGIL Medici

Lanciamo un appello alla Ministra della Salute Livia Turco per dare una speranza di lavoro a circa 3mila medici costretti al precariato ma senza diritto a lavorare stabilmente nella medicina generale. Basta una sua firma.

Nei prossimi giorni il Ministero della Salute dovrà infatti definire il testo di recepimento della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa all’accesso alla medicina generale.

La stessa normativa europea prevede la possibilità per gli stati membri di rilasciare il titolo di formazione in medicina generale, anche attraverso una formazione complementare equivalente rispetto all’attuale corso per la medicina generale, nei fatti irraggiungibile per migliaia di medici precari della medicina generale, che hanno raggiunto e superato i 35 anni.

La Turco non dovrebbe far altro che firmare un testo che, come già in vigore in Europa, istituisce anche per l’Italia una formazione complementare regionale in medicina generale, articolata in 1600 ore di attività didattiche teorico- pratiche, per i medici con un’esperienza professionale certificata di 3200 ore, svolta anche non continuativamente nell’ambito della medicina generale.

Così per circa 3mila medici si aprirebbe la possibilità di accesso alle graduatorie regionali, per poi un domani, poter avere un rapporto di lavoro sostanzialmente stabile, senza costringere i nostri medici ad emigrare in altri paesi comunitari, per acquisire un titolo che l’Europa riconosce.

E’ una occasione unica per dare finalmente una risposta concreta ad una drammatica situazione di precariato che vede migliaia di medici lavorare da anni in qualità di sostituti, precari e sottopagati, e con il rischio di trovarsi, con il passare degli anni, perfino senza alcun lavoro.

Si tratta di una scelta in linea con la normativa europea, con la politica del Governo orientata verso la stabilizzazione del precariato, e già condivisa da numerosi autorevoli parlamentari, come Sanna, Boato, Burtone, Cancrini, Carta, Grassi, Lo Monte, Palumbo, Pellegrino, Samperi, Satta, Schirru, Trupia, Canotti, che già hanno presentato uno specifico progetto di legge alla Camera dei Deputati.

Roma, 6 giugno 2007

Lettera alla Turco della intersindacale sulla finanziaria, per SSN, contratto, esclusività e precariato

 
L’intersindacale medica ha inviato oggi una lettera al Ministro della salute dove sono elencate le richieste della categoria in vista della prossima legge finanziaria

 
 
Illustre Signor Ministro,

premesso che le organizzazioni sindacali della Dirigenza medica, veterinaria, sanitaria e amministrativa hanno sollecitato lo scorso 30 agosto un incontro urgente alla SV, al momento senza riscontro, con la presente intendiamo sottoporre alla Sua attenzione le richieste che i dirigenti del Ssn ritengono debbano trovare adeguate e tempestive risposte nella legge finanziaria per il 2008 di prossima emanazione.

FINANZIAMENTO DEL SSN
Il Servizio sanitario nazionale richiede adeguati finanziamenti anche per affrontare il suo ammodernamento e per il rispetto degli impegni assunti nel Patto per la salute, necessari per migliorare la qualità delle cure su tutto il territorio nazionale.

RINNOVO DEL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO
Il rinnovo del CCNL della dirigenza del Ssn, scaduto da quasi due anni, deve essere integralmente finanziato nel rispetto di quanto già concordato con il Governo per quanto riguarda il finanziamento del biennio 2006-2007. Inoltre si rende indispensabile stabilire nella stessa legge Finanziaria per il 2008 adeguate risorse per il biennio 2008-2009.

RIVALUTAZIONE DELL’INDENNITA’ DI ESCLUSIVITA’ DI RAPPORTO
Non è più differibile la rivalutazione dell’indennità di esclusività di rapporto il cui valore è congelato al 31 dicembre 1999, data della sua istituzione.
La mancata rivalutazione ha, di fatto, eroso gli aumenti contrattuali dell’ultimo decennio collocandoli al di sotto del tasso di inflazione. Poichè l’indennità di esclusività è parte della retribuzione, la sua mancata rivalutazione ha, in questi anni, determinato una forte perdita del valore degli stipendi della categoria.
Ricordiamo che per i mancati aumenti, l’indennità di esclusività è stata di fatto decurtata di circa il 17%.
La rivalutazione di questo riconoscimento economico è, del resto, ineludibile vista la nuova normativa sulla libera professione contenuta nella Legge 3 agosto 2007, n. 120 che prevede nuove e più cogenti direttive e regole per la categoria.

PRECARIATO
Nella legge Finanziaria deve essere affrontata la grave piaga del precariato della Dirigenza del Ssn. Gran parte delle Regioni hanno sollevato il problema chiedendo una norma legislativa che consenta la stabilizzazione di tutte le situazioni di precariato ponendo fine anche ai processi di esternalizzazione nella sanità pubblica.
Va ribadita inoltre la necessità di impedire in futuro la riproposizione del fenomeno che rappresenta un elemento di dequalificazione del servizio.

Al fine di mantenere il servizio sanitario pubblico definito dal Ministro della salute “orgoglio del Paese”, non possono continuare ad essere penalizzati i Dirigenti che ne sono un soggetto fondamentale.
Si tratta, peraltro, di rispettare gli impegni già condivisi dal Ministro della salute e per i quali è stata già data formale garanzia di risposta nella Finanziaria anche per conto del Presidente del Consiglio.

Pertanto, se nella Finanziaria non troveranno spazio le nostre richieste, sarà inevitabile per la categoria assumere le necessarie iniziative sindacali.

Le novità sulla sanità nella Finanziaria comunicate dal Ministero della Salute

 
(Comunicato del Ministero della Salute n.256 del 29 settembre 2007) Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri il ddl finanziaria 2008 e il decreto legge economico che, per la sanità, prevede molte novità volte al miglioramento dell’assistenza sanitaria, puntando decisamente sul rafforzamento del piano pluriennale di edilizia sanitaria che consentirà la definitiva riorganizzazione della rete ospedaliera e dei servizi di medicina territoriale e di rinnovare il parco teconologico.
Il Consiglio dei Ministri ha anche trasferito nel decreto legge le nuove linee di politica farmaceutica messe a punto dal “tavolo” tecnico “Salute, Sviluppo Economico, Economia e Regioni” che punta al rilancio degli investimenti in ricerca e innovazione e in una nuova formulazione del tetto per la spesa farmaceutica con precise norme di responsabilizzazione delle aziende e delle Regioni per il rispetto dei livelli di spesa concordati.
Nella stessa riunione il Consiglio dei Ministri ha anche stabilito di inserire, tra i ddl collegati alla finanziaria, anche il ddl per l’ammodernamento, la qualità e la sicurezza delle cure del Ssn messo a punto dal Ministro Turco e che sarà presentato ad uno dei prossimi Consigli dei Ministri. Con questo ddl, tra l’altro, si riformano le regole di nomina dei primari e dei direttori generali e si istituisce un sistema di valutazione delle cure a livello regionale, che prevede anche una maggiore partecipazione dei cittadini nei meccanismi di valutazione dei servizi loro prestati.

Ma vediamo nel dettaglio queste ed altre novità della manovra che passa ora all’esame del Parlamento.

Più risorse per l’assistenza e per l’ammodernamento di ospedali e servizi territoriali

1. Il Fondo sanitario nazionale per finanziarie il Livelli essenziali di assistenza passa dai 97,040 miliardi del 2007 ai 100,623 miliardi di euro del 2008 (+ 3, 583 miliardi rispetto al 2007 e + 9,6 miliardi rispetto al 2006). Nella quota sono compresi anche i fondi per i rinnovi contrattuali del personale e per garantire una migliore erogazione delle prestazioni assistenziali a tutti i livelli e in tutti i servizi sanitari, dall’ospedale, alla medicina di famiglia e specialistica, per l’assistenza domiciliare e per la farmaceutica.
2. Viene potenziato con risorse aggiuntive il fondo per la non autosufficienza con ulteriori 200 milioni di euro che andranno a finanziare l’avvio dei nuovi servizi previsti dal ddl delega per la non autosufficienza, anch’esso collegato alla manovra finanziaria e di prossima presentazione al Consiglio dei Ministri su proposta dei Ministri Ferrero e Turco.
3. Forte rilancio degli investimenti strutturali nell’edilizia sanitaria con lo stanziamento di ulteriori 3 miliardi di euro per l’ammodernamento delle strutture sanitarie, la costruzione di nuovi ospedali e servizi territoriali, il rinnovo delle tecnologie mediche, la messa a sicurezza delle strutture e la realizzazione di residenze sanitarie per gli anziani. In tutto, quindi, 3 miliardi in più rispetto al 2007 e 6 in più rispetto al 2006. Si tratta di uno dei più grandi investimenti nel settore che porta così a quota 23 miliardi di euro il totale delle risorse messe a disposizione delle Regioni per il rinnovamento della rete dei servizi sanitari in tutta Italia.

Misure per il controllo della spesa e della gestione delle Asl e degli ospedali

1. Si prevede la possibilità della nomina di “commissari ad acta” nelle Regioni che, già impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario previsti dagli accordi di quest’anno (Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Sicilia e Liguria), dovessero non mantenere gli impegni presi per il contenimento della spesa e l’adozione di misure di razionalizzazione e miglioramento delle reti assistenziali, in misura tale da compromettere le previsioni di bilancio dello Stato. Con questa norma si rafforza ulteriormente, con una maggiore responsabilizzazione delle Regioni, l’opera di risanamento dei conti sanitari con l’obiettivo dell’azzeramento del deficit entro il 2010.

Vaccino contro il cancro all’utero

1. Si assicurano i finanziamenti necessari alle Regioni, aumentando il fondo a loro disposizione per favorire la rapida esecuzione della vaccinazione contro il cancro della cervice uterina per le ragazze di dodici anni (questa nuova vaccinazione, la prima efficace contro il cancro, sarà garantita gratuitamente ogni anno a circa 250 mila ragazze italiane.

Sparisce il ricettario “speciale” per i farmaci contro il dolore

1. Viene semplificata la prescrizione dei farmaci contro il dolore severo (oppiacei e altri), consentendo al medico di utilizzare il ricettario normale del Ssn anziché quello speciale, eliminando così le difficoltà burocratiche che spesso rendono difficili tali prescrizioni.

Cambiano le regole per l’assistenza farmaceutica

1. Cambiano i tetti percentuali per la spesa farmaceutica pubblica con la determinazione di un nuovo limite di spesa unico per la farmaceutica territoriale (farmacie e distribuzione diretta da parte delle Asl, compresi importi ticket regionali) pari al 14,4% della spesa sanitaria complessiva e un limite del 2% per la spesa farmaceutica ospedaliera al netto della distribuzione diretta. In caso di superamento del tetto per la farmaceutica territoriale a livello nazionale, le aziende farmaceutiche ripianano gli sforamenti insieme a grossisti e farmacisti per le quote di competenza. Le Regioni, a loro volta, sono comunque tenute ad adottare misure di contenimento della spesa per evitare nuovi splafonamenti. Il ripiano da parte delle aziende avviene tramite “pay back” (ovvero versamento diretto della quota di loro spettanza dello sforamento nelle casse delle Regioni). Questo meccanismo, che sostituisce la vecchia logica dei tagli indiscriminati dei prezzi, ha il vantaggio di ripianare subito la maggiore spesa ma anche quello di dare certezze alle imprese per la programmazione dei loro investimenti in sviluppo e ricerca. Con questi nuovi tetti, inoltre, si riordina profondamente l’assetto della spesa farmaceutica, consentendo una migliore gestione e un monitoraggio costante degli andamenti di spesa e dell’eventuale superamento dei livelli stabiliti in ogni Regione. Il tetto percentuale 2008 complessivo non cresce rispetto al 2007 ma si articola in modo diverso. Nel 2007 esso era infatti stabilito nel 13% per la farmaceutica territoriale e nel 3% per l’ospedaliera. Quest’anno, come abbiamo visto, esso arriva a un complessivo 16,4% ma, a differenza del 2007, comprende anche gli importi del ticket che prima non erano calcolati all’interno del tetto.
2. Sono poi previste misure per favorire la maggiore diffusione di farmaci più innovativi e sicuri, impiegando a tal fine le risorse risparmiate con la diffusione dei farmaci generici o equivalenti e con il controllo delle prescrizioni non appropriate. Per farlo si attua una nuova politica dei prezzi che mira a “premiare” i farmaci più innovativi e a “calmierare” quelli con brevetto ormai scaduto allineandoli ai prezzi dei farmaci generici equivalenti con maggiore risparmio per il Ssn e stesse garanzie di assistenza per i cittadini.
3. Previste nuove misure che consentono alle associazioni di volontariato di acquisire gratuitamente i farmaci già prescritti ma non utilizzati, purché in confezione integra e perfettamente conservati. Tale norma consentirà di evitare lo spreco di numerose confezioni di farmaci, anche molto costose e per la cura di importanti patologie, mettendole gratuitamente a disposizione di chi ne ha urgente bisogno e venendo incontro alla richiesta di numerose associazioni di assistenza e volontariato.
4. Ai fini di una maggiore garanzia di appropriatezza nelle prescrizioni si prevede che i medici non possano prescrivere medicinali non autorizzati e non garantiti da adeguate sperimentazioni.

Risarcimento danni da trasfusione
1. Stanziati 100 milioni di euro per il risarcimento dei danni da trasfusione a partire dai talassemici che attendevano da anni questo primo provvedimento. Inoltre sono state perfezionate le norme già emanate per emofilici e danneggiati da vaccinazioni obbligatorie.

Norme per il personale precario del Ssn
1. E’ previsto che i dirigenti sanitari del Ssn con contratti o incarichi di lavoro precari possano far valere gli anni di servizio prestati come titolo nella valutazione ai fini dell’assunzione a tempo indeterminato a mezzo concorso. Fino ad oggi, infatti, anche un periodo di servizio di diversi anni a carattere precario non aveva alcun riconoscimento tra i titoli valutabili ai fini dell’assunzione.

Aiuti ai Paesi poveri in campo sanitario
1. Stanziati 40 milioni di euro per il 2008, 50 per il 2009 e 34 per gli anni successivi fino al 2049, finalizzati, tra l’altro, alla ricerca per la scoperta di vaccini contro diverse malattie infettive che ancora oggi mietono migliaia di vittime, soprattutto bambini, in molti Paesi disagiati. Con questo finanziamento l’Italia onora l’impegno preso a Roma alcuni mesi fa insieme ad altri Paesi europei ed extraeuropei.

NEWS

La locandina dello sciopero nazionale del 19 luglio con sit in alle 12 a Montecitorio

 
Si pubblica la locandina dello sciopero nazionale unitario delle oo.ss della dirigenza del Ssn del 19 luglio 2010,  con la sola eccezione della Cisl e della Uil, con sit in alle ore 12 a Piazza Montecitorio davanti alla Camera dei Deputati dove sarà in discussione la manovra economica. Si tratta, infatti, di un provvedimento che, senza cambiamenti, porterà inaccettabili tagli alla sanità, conseguenza del blocco del turn over, del dimezzamento dei precari e della scure sulle prestazioni sociali – dall’assistenza domiciliare alla non autosufficienza, dai consultori alla salute mentale – con pesanti ricadute negative sulle prestazioni del servizio pubblico per i cittadini e sulla qualità del lavoro.
 

 

Piano Antidroga: Giovanardi non parla più di miracoli. La repressione senza fondi – Comunicato stampa di Cecilia Taranto, Segretaria Nazionale Fp-Cgil

Il Governo ha licenziato pochi giorni fa il Piano d’azione Nazionale antidroga 2010/2013. L’impostazione generale del PAN  è coerente con l’approccio securitario e ideologico del Governo, contraria alle direttive europee sulla riduzione del danno e declinata in chiave repressiva e populista.

Non si afferma più, come avvenuto in occasione della relazione in Parlamento del Sottosegretario Giovanardi, che il consumo di sostanze stupefacenti è diminuito, grazie al Governo e alla crisi economica, del 25%, ma si accenna timidamente ad una “regressione”. Forse il Sottosegretario ha riflettuto sui limiti della sua rilevazione (12.000 intervistati tramite questionari inviati per posta) e sul pericolo di una sottovalutazione tanto grossolana quanto illusoria.

Molte delle azioni previste sono in netto contrasto con la realtà e con le azioni di Governo. Rilanciare il sistema dei servizi, ad esempio, è un intento condivisibile che fa a pugni con la manovra finanziaria 2010 che ha eliminato qualunque investimento, strutturale e in termini di organico, nei SERT (dal 2006 al 2009 sono diminuiti del 2,2%, il personale del 3,3 %, e il combinato disposto di blocco del turn over e tagli lineari nei prossimi anni causerà una ulteriore diminuzione).

Sul tema delle carceri, poi, le affermazioni più “stupefacenti”. Il PAN propone una serie di modifiche della legge sulla droga del Sottosegretario Giovanardi che, se lette organicamente, rappresentano una dichiarazione di fallimento. Condividiamo, ad esempio, il proposito di incrementare le misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti. Doveroso, visto che la legge Fini-Giovanardi ha portato in carcere 28.154 persone, ma tardivo.

Quanto alle accuse agli operatori, descritti come ideologici e predisposti a tollerare l’uso delle droghe leggere, stendiamo un velo di pietosa indignazione, come rispediamo al mittente la proposta di una “tessera del drogato” a punti. A Giovanardi sarà sembrata una fantasiosa trovata per catturare attenzione mediatica e consensi. Noi, semplicemente, rabbrividiamo.

Roma, 4 Novembre 2010

 
 
 

Deludente incontro con il Governo, non ci rimane che scioperare il 4 maggio

Dichiarazione di Massimo Cozza, segretario nazionale FP CGIL Medici

L’incontro odierno con i Ministri Turco e Nicolais è stato deludente.
Nonostante l’apprezzabile impegno profuso dalla Ministra Turco, il primo macigno del contratto è rimasto intatto al suo posto. Il Ministro Nicolais si è limitato a riproporre la bontà della direttiva madre per il contratto, già contestata dal sindacato, e soprattutto di quella che emanerà nei prossimi giorni riguardante gli statali, e che rappresenterà la vera base di partenza per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, medici compresi. In sostanza parole e promesse tante, fatti solo negativi.
In merito alla nostra richiesta di una rivalutazione della indennità di esclusività, è stato annunciato che il problema è stato assunto dal Presidente Prodi, che già avrebbe inviato una lettera di sollecitazione al Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, affinché nella prossima finanziaria siano inseriti i necessari impegni finanziari. Ma senza specificare alcuna indicazione di valore, cioè siamo ancora al buio.
Sul precariato è stato affermato, dal Ministro Nicolais, che la finanziaria non riguarda i dirigenti medici e veterinari, ma che le Regioni a posto con i conti, possono senz’altro prevedere la stabilizzazione dei medici assunti a tempo determinato. In pratica una risposta solo per pochi.
Sulla previdenza integrativa, il rappresentate del Ministero del Lavoro, in accordo con il rappresentate delle Regioni, ha manifestato la volontà di avviare il percorso per la costituzione di un fondo per i dirigenti medici e veterinari, o di una aggregazione presso altri fondi già in fase di costituzione. Sempre solo promesse.
Infine sulla nuova regolamentazione della libera professione, la Ministra Turco ha annunciato l’imminente presentazione di un disegno di legge che affronti la materia in previsione della scadenza del 31 luglio. Ancora niente di scritto.
A fronte di questa situazione, dove l’affidabilità del Governo rispetto non solo ai medici ma a tutti lavoratori del pubblico impiego, è ancora da verificare, non ci rimane altro che confermare lo sciopero del 4 maggio di tutti i sindacati della dirigenza medica e veterinaria.

Roma, 24 aprile 2007

Dichiarato lo stato di agitazione dei medici convenzionati

Roma 14 giugno 2007

I sindacati medici dell’area del convenzionamento della medicina generale, della pediatria di libera scelta e della specialistica ambulatoriale riuniti a Roma

VISTA

la sofferenza dovuta al mancato inizio delle trattative nazionali per i rinnovi convenzionali

VISTA

l’inadempienza della SISAC e di alcune regioni a concludere gli accordi integrativi

DICHIARANO

lo stato di agitazione dell’intera categoria e si attendono che le affermate disponibilità sia da parte del Ministro che del Comitato di settore si concretizzino con l’apertura delle trattative entro il 15 luglio.

Le organizzazioni sindacali si autoconvocano per il 18 luglio 2007 per valutare ogni necessaria azione sindacale

Giuseppe Gullotta CIPe
Giuseppe Garraffo CISL Medici
Salvo Calì Federazione Medici UIL
Giacomo Milillo FIMMG
Giuseppe Mele FIMP
Nicola Preiti FPCGIL Medici
Mauro Mazzoni SIMET
Mauro Martini SNAMI
Roberto Lala SUMAI

Rinnovo CCNL Sanità: lettera dei segretari generali Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl

Pubblichiamo il testo della lettera unitaria firmata dai segretari generali Fp Cgil (Carlo Podda)  Cisl Fp (Rino Tarelli) Uil Fpl(Carlo Fiordaliso)

Dr. Vasco ERRANI
Presidente della Conferenza Regioni
Via Parigi, 11
R O M A

Le scriventi Organizzazioni Sindacali esprimono tutta la loro preoccupazione per lo stallo che si riscontra nell’iter procedurale della direttiva che deve essere emanata dal Comitato di Settore all’A.R.A.N e relativa al rinnovo contrattuale del Comparto Sanità per il biennio economico 2006-2007.

Ricordiamo che il diritto dei lavoratori al loro rinnovo contrattale soffre già di un ritardo di oltre 20 mesi, e che lo stesso Memorandum sul lavoro pubblico sottoscritto tra Governo, i rappresentanti di Regioni ed Autonomie Locali e le Organizzazioni Sindacali ne prevede una rapida definizione, quale strumento fondamentale per la modernizzazione delle P.A. ed il miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi erogati alla collettività.

Premesso quanto sopra si chiede un urgente incontro con la S.V. al fine di chiarire lo stato dell’attuale situazione e le sue prospettive per la definizione della direttiva ed il suo rapido invio all’ A.R.A.N..

Distinti saluti

FP CGIL (Carlo Podda)  CISL FP (Rino Tarelli)  UIL FPL  (Carlo Fiordaliso)

 
Roma, 11 settembre 2007

Memoria Fp Cgil Medici e Fp Cgil su libera professione per audizione al Senato

Per l’audizione del 31 gennaio 2007 presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’esercizio della libera professione medica intramuraria, con particolare riferimento alle implicazioni sulle liste di attesa e alle disparità nell’accesso ai servizi sanitari pubblici.

Libera professione intramoenia, liste di attesa ed equità nell’accesso, sono tre aspetti rilevanti per la sanità pubblica e tra loro connessi, sui quali è necessario intervenire con chiarezza, onde evitare equivoci e strumentalizzazione a danno dei cittadini e degli stessi medici.
La ratio della libera professione intramoenia si deve tradurre nella possibilità del cittadino di poter scegliere quando e da chi farsi visitare od operare; fermo restando per tutti i cittadini, anche non paganti, il diritto ad essere visitati ed operati nei tempi giusti ed in strutture adeguate.
Partendo da questo assunto siamo d’accordo con la possibilità per i medici e i dirigenti sanitari pubblici di poter esercitare la libera professione intramoenia.
Il diritto alla cura non può e non deve essere però garantito dall’intramoenia, perché in un sistema sanitario che si rivolge a tutti, e che tutti pagano attraverso la fiscalità generale secondo le proprie capacità contributive, non è ammissibile una differenziazione dei cittadini nell’accesso alle prestazioni sanitarie dovute, tra chi può pagare e chi no.
Il problema è che la scelta dei cittadini verso la libera professione intramoenia deve essere veramente libera e non essere condizionata dalla necessità di superare le liste di attesa, per le quali le responsabilità sono diffuse, ma dalle quali non possiamo escludere anche il ruolo del medico.
Riteniamo comunque ingiusta una accusa generalizzata ai medici di non impegnarsi per la riduzione delle liste di attesa al fine di incrementare la loro attività privata.
Per questa ragione è interesse comune dei cittadini, e degli stessi medici che operano con impegno ed onestà nel servizio pubblico, una libera professione intramuraria svolta in una casa di vetro gestita dall’azienda pubblica.
Il medico, dopo aver svolto il suo impegno pubblico, ha certamente dei vantaggi a poter svolgere l’attività libero professionale intramuraria, sia ambulatoriale che in regime di ricovero, presso la stessa struttura, che si deve assumere l’onere di reperire spazi adeguati, nonché di gestire sia le prenotazioni che i pagamenti.
Un compito che invece oggi può ricadere sullo stesso medico costretto a reperirsi studi e cliniche private, peraltro con conseguenze non più accettabili di mancata trasparenza, in primo luogo rispetto alle liste di attesa.
In sostanza va ribaltato il concetto, che ancora oggi sussiste in diverse aziende, di una libera professione intramuraria come una questione che riguarda direttamente il medico ed il cittadino. E’ infatti prassi comune, in diversi casi, una equivalenza nei fatti della libera professione intramoenia allargata, ed in regime di ricovero nelle strutture private, con la libera professione extramoenia.
La Ragioneria Generale dello Stato, nel rapporto 2005 ha denunciato l’inosservanza della normativa e dei regolamenti di attività intramuraria, e la mancata connessione, nella sua programmazione e controllo, con le liste di attesa, anche a causa del proliferare di autorizzazioni allo svolgimento dell’attività presso studi privati, anziché in spazi posti a disposizione dalle aziende pubbliche.
I dati che vedono solo circa il 5% dei medici pubblici in rapporto extramoenia costituiscono un ulteriore dato a supporto della tesi di una attuale equivalenza tra la libera professione extra ed intramoenia, così come le resistenze poste alla esclusività di rapporto senza aver chiaro come andrà a finire la questione legata alla scadenza del 31 luglio 2007, che pone improrogabilmente fine alla libera professione intramoenia allargata.
L’obbiettivo della libera professione intramoenia contenuto nella 229/99, non era certamente quanto quotidianamente accade in troppe realtà aziendali. Non è più sostenibile che per una prestazione sanitaria il cittadino debba aspettare diversi mesi, quando pagando il pomeriggio lo stesso medico che la mattina lavora nel pubblico, la ottiene in pochi giorni con l’intramoenia, allargata o non.
E se il problema delle liste di attesa è in primo luogo legato a questioni di sottofinanziamento, di appropriatezza, di riorganizzazione dell’assistenza territoriale, e di lotta agli sprechi ed al malaffare, nonché alle commistioni pubblico-privato, anche il medico deve e può dare il suo contributo alla sua risoluzione.
Nella vigente proroga di un regime di tana libera tutti, dove ogni anno il medico sceglie “liberamente” se gli convenga di più un rapporto di esclusività o non, perfino se è direttore di struttura complessa o responsabile di struttura semplice, c’è chi investe maggiormente il pomeriggio nel redditizio privato, che non la mattina nel pubblico.
Ebbene noi crediamo che prima il medico debba investire nel pubblico, a rapporto esclusivo e con l’aggiornamento della relativa indennità ferma ai valori di sette anni fa, e poi possa svolgere l’attività libero professionale intramuraria in spazi adeguati nella struttura pubblica, e non negli studi privati o nelle cliniche private in regime di ricovero.
Allora si tratta non di vietare ma di arrivare a nuove norme che garantiscano una libera professione intramuraria etica, corretta e non speculativa, da attuarsi nelle strutture pubbliche e con controlli appropriati, in primo luogo rispetto alle liste di attesa.
Prima il medico deve garantire una serie di volumi prestazionali istituzionali concordati nell’ambito di definizione annuale del budget con l’azienda, da svolgere all’interno del suo normale orario di lavoro.
In secondo luogo se viene attivata la libera professione aziendale, in particolare per abbattere le liste di attesa, può scegliere di aderire.
E solo successivamente, anche in presenza di liste di attesa, può essere autorizzato alla libera professione individuale intramoenia ma all’interno della struttura pubblica, con proporzioni e percentuali concordate all’interno dell’unità operativa, e con tariffe anch’esse concordate.
I tempi medi per l’esecuzione di esami e/o visite in attività istituzionale o libero professionale dovranno essere coerenti.
Al fine di garantire la trasparenza della organizzazione e delle informazioni verso i cittadini, le agende di prenotazione della libera professione dovranno essere inserite nel CUP. Anche la strutturazione delle agende dell’attività istituzionale dovrebbe comunque cercare di favorire nel caso di visite ripetute e di follow-up, la possibilità del cittadino di essere seguito dallo stesso medico.
Si tratta di un sistema praticabile, peraltro già concordato nella Regione Friuli Venezia Giulia, che certamente può essere portato avanti da chi crede nella sanità pubblica e ed in questa vuole investire.
Pensiamo che gli stessi medici e dirigenti sanitari che vogliono lavorare esclusivamente nel pubblico, siano gratificati ad operare in strutture ospedaliere e territoriali improntate alla loro valorizzazione professionale, invece di rimanere in strutture inefficienti, con lunghe liste di attesa, e dove la gratificazione professionale è raggiunta solo da alcuni nei loro studi professionali o nelle cliniche private.
Alla luce delle suddette considerazioni riteniamo che vada in primo luogo applicata la recente e condivisa legge Bersani.
Si tratta di porre fine al sistema delle proroghe mantenendo la scadenza del 31 luglio 2007 per il rientro della libera professione intramuraria allargata, al fine di garantire il corretto equilibrio tra attività istituzionale e attività libero professionale intramuraria, anche in riferimento all’obiettivo di ridurre le liste d’attesa.
La legge affida alle Regioni i controlli sulle modalità di svolgimento dell’attività libero professionale della dirigenza del Servizio sanitario nazionale e l’adozione di misure dirette ad attivare, previo congruo termine per provvedere da parte delle Aziende risultate inadempienti, interventi sostitutivi anche sotto forma della nomina di un commissario ad acta. In ogni caso, secondo la legge, l’attività libero professionale non può superare, sul piano quantitativo nell’arco dell’anno, l’attività istituzionale dell’anno precedente.
In ultima analisi, è giunto il tempo realizzare sul campo una politica sanitaria che, in un circuito virtuoso, parta dalla effettiva realizzazione delle condizioni per una libera professione intramoenia appropriata, a vantaggio dei cittadini, e degli stessi medici e dirigenti sanitari pubblici.

Rossana Dettori Segretaria Nazionale Fp Cgil
Massimo Cozza Segretario Nazionale Fp Cgil Medici

Sentenza Corte Costituzionale su legittimità costituzionale legge riordino IRCCS

Sentenza Corte Costituzionale su legittimità costituzionale legge riordino IRCCS
 
Con sentenza n. 270 /2005 la Corte costituzionale si è pronunciata circa il ricorso di legittimità Costituzionale degli articoli 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione); del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3) e dell’articolo 4, comma 236, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promossi con due ricorsi della Regione Siciliana (reg. ric. nn. 30 e 98 del 2003), con un ricorso della Regione Veneto (reg. ric. 31 del 2003), con tre ricorsi della Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 32 del 2003 e nn. 3 e 33 del 2004) e con due ricorsi della Regione Marche (reg. ric. nn. 34 e 96 del 2003), notificati il 21 marzo 2003 (reg. ric. nn. 30, 31, 32 e 34 del 2003), il 19 dicembre 2003 (reg. ric. nn. 96 e 98 del 2003), il 27 dicembre 2003 (reg. ric. n. 3 del 2004) e il 24 febbraio 2004 (reg. ric. n. 33 .
Da una prima lettura del dispositivo si può desumere che sarà necessaria la riscrittura di buona parte delle norme, non siamo però ancora in grado di fornirvi ulteriori informazioni sulle possibili ripercussioni che tale sentenza avrà sulle decisioni già assunte (Policlinico di Milano; Pascale di Napoli) e sulle conferme dei commissari.

Il Responsabile del Coordinamento Naz.le IRCCS
Sandro Alloisio

SENTENZA N. 270 ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
– Guido NEPPI MODONA Giudice
– Annibale MARINI ”
– Franco BILE ”
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO “
 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione); del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3) e dell’articolo 4, comma 236, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promossi con due ricorsi della Regione Siciliana (reg. ric. nn. 30 e 98 del 2003), con un ricorso della Regione Veneto (reg. ric. 31 del 2003), con tre ricorsi della Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 32 del 2003 e nn. 3 e 33 del 2004) e con due ricorsi della Regione Marche (reg. ric. nn. 34 e 96 del 2003), notificati il 21 marzo 2003 (reg. ric. nn. 30, 31, 32 e 34 del 2003), il 19 dicembre 2003 (reg. ric. nn. 96 e 98 del 2003), il 27 dicembre 2003 (reg. ric. n. 3 del 2004) e il 24 febbraio 2004 (reg. ric. n. 33 del 2004), depositati in cancelleria il 26 marzo 2003 (reg. ric. n. 30 del 2003), il 27 marzo 2003 (reg. ric. nn. 31, 32 e 34 del 2003), il 23 dicembre 2003 (reg. ric. 96 del 2003), il 29 dicembre 2003 (reg. ric. 98 del 2003), il 2 gennaio 2004 (reg. ric. n. 3 del 2004) e il 4 marzo 2004 (reg. ric. n. 33 del 2004) ed iscritti ai nn. 30, 31, 32, 34, 96 e 98 del registro ricorsi 2003 ed ai nn. 3 e 33 del registro ricorsi 2004.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana, Carlo Albini per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Siciliana, con ricorso notificato il 21 marzo 2003 e depositato il 26 marzo 2003, ha impugnato l’art. 42 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), che delega il Governo ad emanare un decreto legislativo recante norme per il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico (IRCCS) di cui al decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, e successive modificazioni, sulla base di principi e criteri direttivi individuati nello stesso articolo, per violazione degli artt. 117, terzo comma e 118, della Costituzione, nonché dell’art. 17, lettere b) e c) dello statuto regionale.
La Regione ritiene che la disposizione impugnata sia da ricondurre alla materia “ricerca scientifica” e alla materia “tutela della salute”, entrambe affidate alla legislazione concorrente dall’art. 117, comma terzo, della Costituzione e, quanto alla “tutela della salute”, altresì contemplata nello statuto della Regione Siciliana (art. 17, lettere b e c).
In particolare, secondo la ricorrente, la norma impugnata delegherebbe il Governo al riordino della disciplina degli IRCCS, mentre «avrebbe dovuto limitarsi a fissare ‘i principi e i criteri direttivi’, aventi natura di principi fondamentali destinati alle Regioni quali limiti all’esercizio della potestà legislativa alle stesse ascritta». Il concreto riordino avrebbe dovuto essere effettuato con norme regionali e non con decreto legislativo.
La Regione conclude affermando che l’attribuzione al Ministero della salute, operata dalla norma oggetto di censura, del compito di procedere alla trasformazione dei predetti istituti, anche se con l’intesa della Regione interessata, sarebbe lesiva del riparto delle funzioni amministrative di cui all’art. 118 della Costituzione.

2. – Con ricorso notificato il 21 marzo 2003 e depositato il 27 marzo 2003, anche la Regione Veneto ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 42 e 43 della legge n. 3 del 2003.
La ricorrente ritiene che la materia disciplinata dall’art. 42 rientri nell’ambito della tutela della salute prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost. D’altra parte, la disciplina della trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in fondazioni e l’organizzazione a rete di quelli dedicati a particolari discipline non potrebbero neppure essere ricondotte «nell’ambito della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui alla lettera m) del secondo comma dell’art. 117».
Il rispetto della competenza regionale in una materia di legislazione concorrente, richiederebbe il riconoscimento della possibilità per la Regione di porre norme di dettaglio, possibilità che non potrebbe ridursi alla “semplice espressione” di un parere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sullo schema del decreto legislativo.
La Regione ritiene, pertanto, che gli articoli oggetto di censura violino gli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione.

3. – Anche la Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 21 marzo 2003 e depositato il 27 marzo 2003, ha impugnato, fra gli altri, gli articoli 42 e 43 della legge n. 3 del 2003.
Preliminarmente, la ricorrente illustra l’evoluzione della disciplina legislativa sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, evidenziando «la loro progressiva attrazione nell’ambito del servizio sanitario, quindi verso la competenza regionale».
In particolare, la ricorrente ritiene che, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, il quale ha attribuito alla potestà legislativa concorrente delle Regioni sia la “tutela della salute”, sia la “ricerca scientifica”, l’assetto degli IRCCS dovrebbe considerarsi interamente assorbito nell’ambito della competenza regionale, nel rispetto dei soli principî fondamentali posti dalla legge statale.
L’art. 42 impugnato violerebbe invece la competenza legislativa regionale, in quanto non si limiterebbe a determinare i soli principî fondamentali, né delegherebbe il Governo ad adottare norme di tale tipologia, dal momento che i singoli principî e criteri direttivi contenuti nella delega consentirebbero al legislatore delegato di porre norme di dettaglio. La competenza legislativa regionale risulterebbe, dunque, del tutto estranea al complessivo impianto della delega.
La ricorrente esclude che si versi nella materia dell’ordinamento e organizzazione degli “enti pubblici nazionali”, di cui all’art. 117, comma secondo, lettera g), Cost., in quanto per enti nazionali, a seguito del nuovo assetto istituzionale, andrebbero considerati solo quelli che operano nelle materie ora riservate allo Stato o quelli individuati da idonee fonti che ne prevedano l’esistenza a tutela di interessi infrazionabili.
Specifica censura è rivolta dalla Regione nei confronti dell’art. 42, comma 1, lettera a), della citata legge, il quale individua, come principio e criterio della delega, la trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico esistenti alla data di entrata in vigore della legge, “nel rispetto delle attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano […], d’intesa con la regione interessata”, in fondazioni di rilievo nazionale sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell’economia e delle finanze, “ferma restando la natura pubblica degli istituti medesimi”. La Regione Emilia-Romagna ritiene che tanto il rispetto delle attribuzioni regionali quanto la previsione di un’intesa riguardino le sole modalità e condizioni attraverso le quali il Ministero della salute provvederebbe alla trasformazione in fondazioni. Tale disposizione sarebbe quindi in contrasto sia con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto inciderebbe in ambiti di competenza legislativa regionale, sia con l’art. 118 Cost., in quanto anche se la materia fosse di competenza statale, la Regione sarebbe il livello adeguato per deliberare e gestire l’eventuale trasformazione ed esercitare la vigilanza «in connessione con i propri compiti generali in materia di tutela della salute e di gestione del servizio sanitario».
Relativamente al medesimo art. 42, comma 1, lettera b), la Regione ritiene che l’indirizzo dato al Governo, concernente l’istituzione degli organi e i profili organizzativi, dovrebbe essere rivolto al legislatore regionale e che la prevista rappresentanza “paritetica” del Ministero della salute e della Regione interessata nel consiglio di amministrazione rappresenterebbe un’indebita ingerenza del Ministero in compiti di gestione locali. Lesive delle competenze regionali sarebbero poi la riserva di nomina del direttore generale-amministratore delegato al consiglio di amministrazione, così come la previsione che il direttore scientifico responsabile della ricerca sia nominato dal Ministero della salute “sentita la Regione interessata”, anziché dalla Regione competente. Tali norme avrebbero comunque carattere di dettaglio e non sarebbero più rispondenti al nuovo assetto costituzionale che vede l’inclusione della “ricerca scientifica” tra le materie di legislazione concorrente. Esse costringerebbero la Regione a dettare una disciplina omogenea a quella dettata dalla legge statale, senza la possibilità di adottare, pur nel rispetto dei principî fondamentali, un modello organizzativo autonomo o comunque diversamente articolato. Inoltre determinerebbe una indebita ingerenza del Ministero in compiti di gestione locali.
La disposizione dell’art. 42, comma 1, lettera c), nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi della delega, quello di «trasferire ai nuovi enti, in assenza di oneri, il patrimonio, i rapporti attivi e passivi e il personale degli istituti trasformati», disponendo altresì che «il personale già in servizio all’atto della trasformazione può optare per un contratto di lavoro di diritto privato, fermi restando, in ogni caso, i diritti acquisiti», violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto porrebbe non già un principio, ma un vero e proprio privilegio a beneficio di una categoria di personale regionale. Contrasterebbe inoltre con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiché, comunque, si tratterebbe di una “scelta operativa e organizzativa” che competerebbe alle Regioni, in quanto concernente personale regionale il cui stato giuridico sarebbe del tutto assimilabile a quello del restante personale delle aziende sanitarie regionali.
L’art. 42, comma 1, lettera d), nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi, quello di «individuare, nel rispetto della programmazione regionale, misure idonee di collegamento e sinergia con altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, e con le università, al fine di elaborare e attuare programmi comuni di ricerca, assistenza e formazione», contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, spettando pertanto alla Regione il potere di coordinamento con le altre strutture di ricerca e sanitarie.
Inciderebbe, inoltre, sulla potestà legislativa concorrente la disposizione dell’art. 42, comma 1, lettera e), riguardante la valorizzazione e la tutela della proprietà dei risultati scientifici, non trattandosi della disciplina civilistica della proprietà intellettuale.
L’art. 42, comma 1, lettera f) – ancora – comprimerebbe le competenze dei livelli di governo regionale conferendo compiti amministrativi allo Stato in sede di assegnazione di progetti finalizzati di ricerca, i quali già sarebbero assegnati sulla base di appositi bandi il cui testo è definito mediante accordo sancito in sede di Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Tale previsione contrasterebbe, inoltre, con il sistema di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, basato prevalentemente su fondi di provenienza regionale.
Anche la lettera g) del comma 1 dell’art. 42 invaderebbe le competenze legislative delle Regioni, laddove contempla, tra i principî e i criteri direttivi, quello di disciplinare le modalità con cui applicare i principî di cui al medesimo articolo agli IRCCS di diritto privato. Tale previsione rappresenterebbe, secondo la ricorrente, un principio che dovrebbe essere attuato direttamente dal legislatore regionale e non dal Governo mediante decreto legislativo.
Analogamente, la previsione contenuta nell’art. 42, comma 1, lettera i), stabilendo che debbano essere disciplinate le modalità attraverso le quali le fondazioni possono concedere ad altri soggetti pubblici e privati compiti di gestione, anche di assistenza sanitaria, invaderebbe la competenza regionale, ponendo un principio che dovrebbe essere direttamente attuato dal legislatore regionale e non mediante decreto legislativo.
Anche la disciplina del riconoscimento delle nuove fondazioni e la revoca dei riconoscimenti contenuta nell’art. 42, comma 1, lettera m), contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Spetterebbe infatti alle Regioni sia il riconoscimento di nuovi enti, sia la relativa revoca. La mancata menzione delle attribuzioni regionali al riguardo determinerebbe una riduzione del ruolo delle Regioni rispetto alle previsioni contenute nell’art. 2 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 338 del 1994, il quale prevede che per il riconoscimento del carattere scientifico degli enti in questione, nonché per la revoca, sia almeno sentita la Regione interessata.
L’art. 42, comma 1, lettera n), prevedendo la devoluzione del patrimonio in favore di altri enti “disciplinati dal presente articolo aventi analoghe finalità”, potrebbe essere ritenuto legittimo se considerato come guida della legislazione regionale e non già come criterio direttivo per il Governo.
L’art. 42, comma 1, lettera p), occupandosi degli istituti “non trasformati” o di quelli che “non sono oggetto di trasformazione”, sarebbe illegittimo, dal momento che non porrebbe un principio suscettibile di essere sviluppato dalla legislazione regionale, ma riserverebbe al Ministero della salute la nomina di metà dei membri del consiglio di amministrazione e attribuirebbe al Ministro la nomina del direttore scientifico, in violazione dell’art. 117, terzo comma e dell’art. 118 Cost.
L’art. 43, infine, disponendo che con decreto del Ministro della salute, sentita la Conferenza permanente, venga disciplinata l’organizzazione a rete degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico dedicati a particolari discipline”, conferirebbe al Ministro un potere “di natura sostanzialmente regolamentare”, di contenuto indeterminato, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. In subordine, si rileva che il decreto violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, intervenendo in materia affidata alla legislazione concorrente, il decreto di cui alla norma censurata dovrebbe essere adottato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

4. – Con ricorso notificato il 21 marzo 2003 e depositato il 27 marzo 2003, anche la Regione Marche ha impugnato gli articoli 42 e 43 della legge n. 3 del 2003, proponendo censure sostanzialmente analoghe a quelle prospettate dalla Regione Emilia-Romagna.
Nel ricorso, tuttavia, la censura relativa all’art. 42, comma 1, lettera f), è proposta anche in riferimento al parametro costituzionale espresso dall’art. 119 della Costituzione. In particolare, la ricorrente rileva che la disposizione censurata, nell’attribuire allo Stato «compiti di definizione delle risorse per la ricerca, senza un pieno coinvolgimento delle regioni e comunque sovrapponendosi alle competenze regionali», violerebbe appunto i principî in materia di autonomia finanziaria, considerato che, anche in seguito alla modifica della disciplina del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, il finanziamento della ricerca finalizzata «si basa anche su fondi di provenienza regionale».

5. – In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato.
Negli atti di costituzione, di contenuto sostanzialmente identico, l’Avvocatura sostiene che la disciplina degli IRCCS rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., in quanto si tratterebbe di organismi rientranti nella categoria degli “enti pubblici nazionali”.
Peraltro, l’art. 42 della legge n. 3 del 2003 sarebbe rispettoso delle attribuzioni regionali, in quanto, in aderenza con il principio della leale cooperazione, sarebbe comunque richiesta la previa intesa con la Regione interessata, nonché l’acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni sullo schema di decreto legislativo da emanare in attuazione della delega.

6. – In prossimità della data fissata per l’udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria nella quale dà atto che la Giunta regionale ha autorizzato il Presidente a rinunciare al ricorso promosso avverso la legge n. 3 del 2003, limitatamente alle disposizioni di cui agli artt. 42 e 43.

7. – La Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria nella quale, replicando alle argomentazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato nel proprio atto di costituzione in giudizio, sostiene che l’estraneità degli IRCCS rispetto agli enti di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. troverebbe conferma nell’art. 1 del d.lgs. 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’art. 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3), che qualifica tali istituti come “enti a rilevanza nazionale”.
Ancora, il carattere di dettaglio della disciplina contenuta nella legge n. 3 del 2003 sarebbe confermato sia dal contenuto del d.lgs. n. 288 del 2003, sia dalla sentenza di questa Corte n. 15 del 2004, nella quale si qualifica, appunto, come “analitica e organica” la disciplina contenuta nel decreto.
Quanto alla previsione dell’intesa con la Regione interessata e all’acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni sullo schema di decreto legislativo, la ricorrente afferma che tali forme di partecipazione non sarebbero sufficienti a rendere legittime le norme censurate, in quanto non eliminerebbero «la lesione derivante dall’aver accentrato una funzione amministrativa in assenza di esigenze di carattere unitario».
Sostiene infine la Regione Emilia-Romagna che sui ricorsi non inciderebbe l’intesa raggiunta, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 288 del 2003, in sede di Conferenza Stato-Regioni con l’accordo 1° luglio 2004, concernente le modalità di organizzazione, gestione e funzionamento degli IRCCS non trasformati in fondazioni. Ciò sia in quanto i ricorsi riguarderebbero anche gli IRCCS trasformati in fondazioni, sia in quanto la ricorrente ha contestato la previsione stessa dell’intesa, sostenendo che vi sarebbe competenza legislativa piena, ovvero concorrente, della Regione.

8. – La Regione Marche ha depositato una memoria nella quale, confermando le censure sollevate nel ricorso, ribadisce che la legge n. 3 del 2003, in quanto delega il Governo al riordino della disciplina e non soltanto alla definizione dei principî fondamentali, lederebbe la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di ricerca scientifica e di tutela della salute.
La Regione esclude che gli IRCCS possano essere ricondotti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., dal momento che “enti nazionali” potrebbero essere solo quelli «che per vocazione e struttura sono articolati su una base territoriale tendenzialmente idonea a consentirne lo svolgimento delle proprie funzioni sull’intero territorio nazionale».

9. – Anche l’Avvocatura dello Stato ha presentato memorie nelle quali ha innanzitutto eccepito la carenza di interesse al ricorso della Regione Siciliana e della Regione Veneto, dal momento che nei loro rispettivi territori non insisterebbe alcuno degli istituti contemplati nella disciplina impugnata.
Nel merito, l’Avvocatura afferma che le caratteristiche stesse degli IRCCS, per come configurati dalla peculiare normativa che li concerne, ne contraddistinguerebbero la natura, distinguendola rispetto a quella degli altri istituti del Servizio sanitario nazionale. Si tratterebbe, infatti, di centri di eccellenza che svolgono attività di ricerca scientifica biomedica, di cui sono tenuti a garantire un elevato livello, trasferendone altresì i risultati a favore del Servizio nazionale. Ciò comporterebbe la necessità di un controllo centralizzato «che garantisca uniformità di applicazione dei risultati della ricerca sul territorio nazionale, anche al fine della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nonché della relativa applicazione». Queste caratteristiche sottrarrebbero tali istituti alla normativa ordinaria in materia di sanità e di ricerca scientifica e alla relativa competenza legislativa delle Regioni.
Inoltre, il Ministero della salute sarebbe competente al finanziamento dell’attività scientifica di base, finalizzata alla ricerca su patologie di rilievo nazionale, nonché al controllo dei risultati della ricerca stessa. Ciò confermerebbe il carattere nazionale degli IRCCS e giustificherebbe l’attribuzione allo Stato delle funzioni di alta vigilanza e controllo, senza nulla togliere alle competenze delle Regioni in materia di assistenza che sarebbero assicurate, tra l’altro, anche dalla presenza di rappresentanti regionali negli organi di gestione.
Nelle memorie depositate nei giudizi concernenti i ricorsi promossi dalle Regioni Veneto, Emilia-Romagna e Marche, l’Avvocatura contesta altresì la censura mossa avverso l’art. 43 della legge n. 3 del 2003, relativo alla organizzazione a rete degli IRCCS, sostenendo che tale organizzazione favorirebbe la circolazione dei risultati delle ricerche svolte dagli istituti e, in definitiva, la ricerca scientifica e la tutela della salute nell’ampia accezione delineata dall’art. 32 Cost.

10. – La Regione Emilia-Romagna ha depositato una ulteriore memoria nella quale, replicando alle osservazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato, afferma che non sarebbe affatto necessario un controllo centrale sull’attività di ricerca scientifica svolta dagli IRCCS, ben potendo tale controllo essere espletato dalle Regioni, sulla base dei principî fondamentali fissati dallo Stato.
Anche laddove vi fossero esigenze di carattere unitario, la previsione di un potere di controllo statale sarebbe comunque illegittima in quanto non contemplerebbe un coinvolgimento delle Regioni.
La ricorrente richiama, inoltre, le recenti pronunce di questa Corte n. 31 del 2005 e n. 423 del 2004 nelle quali sono stati delineati i casi in cui potrebbe essere ritenuto ammissibile l’intervento statale nell’ambito della materia della ricerca scientifica, al di fuori dei quali la competenza sarebbe della Regione ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

11. – Con ricorso notificato il 19 dicembre 2003 e depositato il 23 dicembre 2003, la Regione Marche ha impugnato l’art. 1, comma 2, l’art. 2, commi 1, 2 e 3, l’art. 7, commi 1, 2, 3 e 4, l’art. 8, l’art. 11, commi 1 e 2, nonché l’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’art. 42, commi 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3).
Anche in tale ricorso, la Regione ricorrente sostiene che la disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico rientri in parte nella materia della tutela della salute e in parte in quella della ricerca scientifica, entrambe attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, fermi restando i principî fondamentali della disciplina stabiliti da legge statale. Ai fini dell’individuazione della competenza legislativa, il carattere nazionale di tali istituti – affermato nel precedente assetto costituzionale nel quale si giustificava esclusivamente in ragione della competenza statale in materia di ricerca scientifica – non rileverebbe più, dal momento che «la legge di revisione costituzionale, nel momento in cui ha affidato alle Regioni le competenze anche in materia di ricerca scientifica (non limitata alla ricerca afferente le sole materie di competenza regionale) ha mutato radicalmente i presupposti per la qualificazione degli istituti come enti nazionali».
Ciò premesso, la ricorrente censura l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo, il quale attribuisce al Ministero della salute funzioni di vigilanza e controllo sugli IRCCS tali da escludere qualsiasi ulteriore controllo da parte della Regione; la norma sarebbe lesiva delle competenze legislative, regolamentari e amministrative della Regione così come configurate dagli artt. 117, terzo e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., dal momento che non lascerebbe alcuno spazio alla Regione in tema di disciplina e di svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo sulle attività di assistenza svolte dagli istituti.
Medesimo tenore ha la censura prospettata nei confronti dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 288 del 2003, il quale attribuisce la funzione di vigilanza e controllo sulle neoistituite Fondazioni IRCCS al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e delle finanze “senza alcuna salvaguardia delle competenze regionali”.
La Regione Marche impugna, poi, l’art. 2, commi 2 e 3, l’art. 7, commi 1, 2, 3 e 4, l’art. 8 e l’art. 12, comma 2, in quanto tali disposizioni conterrebbero norme di dettaglio nella materia delle Fondazioni IRCCS e degli Istituti non trasformati in fondazioni, non limitandosi “alla fissazione dei principî fondamentali”. La ricorrente evidenzia come i principî fondamentali stabiliti dalle leggi quadro nazionali debbano avere un “livello di maggiore astrattezza” rispetto alle regole stabilite dal legislatore regionale; le norme censurate conterrebbero, invece, una disciplina dettagliata, auto-applicativa, non cedevole e direttamente operante, che non lascerebbe margine alcuno all’intervento legislativo regionale. Le norme censurate invaderebbero quindi l’ambito riservato dalla Costituzione alla funzione legislativa e regolamentare della Regione, in violazione degli artt. 117, terzo e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
Da ultimo, la Regione Marche censura l’art. 2, comma 3, e l’art. 11, commi 1 e 2, che disciplinano le assunzioni e i rapporti di lavoro del personale degli IRCCS. Al legislatore statale sarebbe riservata la sola disciplina di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. relativa alla materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” e non “l’ordinamento e organizzazione amministrativa delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici substatali”, materia quest’ultima che spetterebbe «inequivocabilmente alla competenza residuale del legislatore regionale». Le disposizioni censurate violerebbero così l’art. 117 Cost., in quanto, trattandosi di personale regionale il cui stato giuridico sarebbe del tutto assimilabile a quello del restante personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, esse inciderebbero illegittimamente su ambiti di potestà legislativa residuale regionale o, comunque, se anche si volesse ammettere un titolo di legislazione concorrente, andrebbero ben al di là della riserva statale concernente i principî fondamentali. Tali disposizioni violerebbero inoltre l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., in quanto alla Regione sarebbe impedita l’auto-organizzazione delle proprie funzioni amministrative.
Né tali previsioni potrebbero essere ricondotte alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” che sarebbe «cosa del tutto diversa dalla decisione circa le modalità di effettuazione delle assunzioni e il regime del rapporto di lavoro del personale».

12. – Con ricorso notificato il 19 dicembre 2003 e depositato il 29 dicembre 2003, anche la Regione Siciliana ha impugnato il decreto legislativo n. 288 del 2003.
Nel ribadire le posizioni già espresse nel ricorso formulato nei confronti della legge n. 3 del 2003, la Regione afferma che il decreto legislativo impugnato recherebbe una compiuta e dettagliata disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che «indebitamente restringe, se non addirittura annulla, ogni spazio utile per l’esercizio della potestà normativa regionale, violando altresì le competenze amministrative alla Regione spettanti in conformità all’art. 118 della Costituzione».

13. – Con ricorso notificato il 27 dicembre 2003 e depositato il 2 gennaio 2004, anche la Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 2, commi 1, 2 e 3, l’art. 3, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, l’art. 4, l’art. 5, l’art. 8, comma 5, l’art. 10, comma 1, ultima frase, l’art. 11, comma 1, l’art. 14, l’art. 15, commi 1 e 2, l’art. 16, commi 1, 2, 3 e 4, l’art. 17, comma 2, nonché l’art. 19 del d.lgs. n. 288 del 2003.
Argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle esposte nel ricorso presentato dalla Regione Marche sono alla base delle censure formulate nei confronti dell’art. 2, commi 1, 2, 3 e dell’art. 11, comma 1.
Per quanto concerne le disposizioni contenute all’art. 3 – che rinviano alla normativa civilistica per la disciplina del regime giuridico delle fondazioni IRCCS (comma 1), e regolano la composizione e nomina del consiglio di amministrazione (comma 2), la nomina del presidente della Fondazione (comma 3), determinano gli indirizzi per l’autonomia statutaria e la nomina del direttore generale e del direttore scientifico (comma 4), la cessazione dei comitati straordinari (comma 6) – e le disposizioni di cui all’art. 4 – che determina i compiti del collegio sindacale, la sua composizione e nomina e i requisiti dei membri – la ricorrente ritiene che tale disciplina, concernente l’organizzazione delle fondazioni, rientrerebbe nell’ambito di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. Ma se anche si volessero ricondurre le norme impugnate alle materie di cui all’art. 117, comma terzo, esse sarebbero illegittime “in quanto dettagliate”, né esse potrebbero considerarsi legittime “in virtù di una loro ipotetica cedevolezza”, in quanto questa Corte, con le sentenze n. 303 del 2003 e n. 282 del 2002, avrebbe statuito l’inammissibilità di norme statali di dettaglio cedevoli, «salvo il caso che ciò sia necessario per assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività». In via ulteriormente subordinata, la norma in questione contrasterebbe con l’art. 118 Cost., prevedendo una indebita ingerenza ministeriale in compiti di gestione o di controllo locali.
La ricorrente, ancora, censura l’art. 5 del d.lgs. n. 288 del 2003. Tale norma, con riguardo agli Istituti non trasformati, prevede che, con atto di intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, «sono disciplinate le modalità di organizzazione, di gestione e di funzionamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in Fondazioni, nel rispetto del principio di separazione delle funzioni di indirizzo e controllo da quelle di gestione e di attuazione, nonché di salvaguardia delle specifiche esigenze riconducibili alla attività di ricerca e alla partecipazione alle reti nazionali dei centri di eccellenza assistenziale, prevedendo altresì che il direttore scientifico responsabile della ricerca sia nominato dal Ministero della salute, sentito il Presidente della Regione interessata». Tale disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto attribuirebbe un potere normativo necessariamente secondario alla Conferenza in una materia (“organizzazione degli IRCCS non trasformati”) che rientrerebbe nella potestà legislativa residuale regionale o, comunque, nella potestà legislativa concorrente. In subordine, la norma, nel prevedere che sia il Ministro della salute a nominare il direttore scientifico (sentito il Presidente della Regione interessata) contrasterebbe con l’art. 118 Cost., in quanto consentirebbe una indebita ingerenza ministeriale in compiti di gestione o di controllo locali.
L’art. 8, comma 5, prevedendo la stipulazione di accordi, convenzioni o la costituzione o partecipazione a consorzi, società di persone o capitali con soggetti pubblici e privati “al fine di trasferire i risultati della ricerca in ambito industriale”, inciderebbe, secondo la ricorrente, su un oggetto rientrante nella potestà legislativa regionale concorrente, non trattandosi della disciplina civilistica della proprietà intellettuale scientifica, ma di strumenti organizzativi per l’incentivazione e la migliore utilizzazione dei risultati scientifici.
L’art. 10, comma 1, ultima frase, nell’attribuire al Ministero della salute, nella ripartizione dei fondi di cui all’articolo 12, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), la possibilità di riservare apposite quote per il finanziamento di progetti gestiti mediante organizzazione a rete, lederebbe l’autonomia amministrativa e finanziaria delle Regioni di cui all’art. 119 Cost.; la disposizione censurata ridurrebbe le competenze dei livelli di governo regionali, conferendo compiti amministrativi allo Stato in sede di assegnazione di progetti che già attualmente «sono assegnati sulla base di appositi bandi il cui testo è definito mediante Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano». Nel ricorso si precisa, inoltre, che attualmente la ricerca finalizzata, compresa quella svolta dagli IRCCS, sarebbe finanziata prevalentemente su fondi di provenienza regionale e che «pertanto si impone una revisione della relativa disciplina in senso esattamente opposto a quello dell’art. 10, comma 1, ultima frase, d.lgs. n. 288/03».
La norma, ancora, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione, in quanto non prevederebbe un’intesa con le Regioni nella definizione delle quote da riservare.
L’art. 14 sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 118 Cost., in quanto, disciplinando il procedimento di riconoscimento e attribuendone la competenza al Ministero della salute, d’intesa con il Presidente della Regione interessata (art. 14), regolerebbe una funzione amministrativa che spetterebbe alla legge regionale. Non esisterebbe infatti alcuna esigenza unitaria tale da imporre una competenza statale “secondo un criterio di sussidiarietà, proporzionalità e ragionevolezza”.
Analoghe considerazioni varrebbero per l’art. 15, il quale attribuisce al Ministro della salute la verifica periodica del possesso dei requisiti necessari per il riconoscimento delle Fondazioni IRCCS, il potere di scioglimento dei consigli di amministrazione di tali fondazioni e degli organi degli IRCCS non trasformati, nonché il potere di nomina del commissario straordinario. Tale norma violerebbe l’art. 118 Cost., in quanto attribuirebbe al Ministro una funzione amministrativa in assenza di qualsiasi esigenza unitaria tale da giustificare la necessarietà dell’intervento statale.
L’art. 16, comma 1, il quale prevede la costituzione, da parte del Ministro della salute, di “appositi comitati paritetici di vigilanza”, contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto non sussisterebbe titolo alcuno per una disciplina statale di allocazione delle competenze amministrative e per l’esercizio da parte di organi misti delle funzioni di vigilanza. La Regione Emilia-Romagna, inoltre, censura la norma in esame in quanto i comitati da essa previsti non sarebbero effettivamente paritetici, essendo formati da tre membri di nomina “statale” (due designati dal Ministro della salute e uno dal Ministro dell’economia) e due di nomina “regionale”.
La ricorrente impugna, ancora, l’art. 17, comma 2, il quale prevede, alla loro estinzione, la devoluzione allo Stato del patrimonio delle Fondazioni IRCCS, con successiva destinazione di tale patrimonio, previa intesa tra il Ministro della salute, il Presidente della Regione interessata e, ove presenti, i soggetti portatori degli interessi originari, agli altri IRCCS o Fondazioni IRCCS ubicati nella Regione in cui insiste la sede prevalente di attività dell’ente estinto, o, in assenza di questi, ad enti pubblici aventi sede nella Regione stessa, esclusivamente per finalità di ricerca e assistenza. Tale disposizione contrasterebbe con l’art. 118 Cost. in quanto prevederebbe un intervento amministrativo statale (l’intesa con il Ministro della salute) in materia di competenza legislativa residuale regionale (quella dell’ordinamento degli enti regionali) o, comunque, in materia di legislazione concorrente, non giustificato da alcuna esigenza unitaria e tale da pregiudicare, a causa dell’eccessiva rigidità del criterio della destinazione “esclusiva” in favore di altri istituti scientifici, il buon andamento dell’amministrazione in un settore di competenza regionale. L’art. 17, inoltre, violerebbe gli artt. 76 e 118 Cost., in quanto la norma di delega avrebbe previsto la devoluzione diretta del patrimonio in favore di altri IRCCS, senza il “passaggio intermedio” attraverso l’amministrazione statale, passaggio che sarebbe poco chiaro, irragionevole e non giustificato da alcuna esigenza unitaria.
Infine, la Regione censura l’art. 19, laddove prevede che la richiesta di conferma del carattere scientifico degli Istituti di ricovero e cura esistenti alla data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2003, sia sottoposta anche al Ministero, rinviando alle disposizioni procedimentali di cui agli artt. 14 e 15. Tale disposizione violerebbe l’art. 118 Cost., in quanto attribuirebbe al Ministro una funzione amministrativa in assenza di qualsiasi esigenza unitaria tale da giustificare la necessarietà dell’intervento statale.

14. – In tutti i giudizi si è costituto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, la quale – dopo aver ribadito che la disciplina degli IRCCS rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. – afferma che, per quanto attiene alla specifica disciplina delle fondazioni, essa rientrerebbe nella previsione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Inoltre, la difesa erariale sostiene che il decreto legislativo atterrebbe ai settori della ricerca scientifica e della tutela della salute in cui lo Stato avrebbe competenza concorrente, competenza della quale non sarebbero stati superati i limiti.
Il mantenimento allo Stato delle funzioni di vigilanza e controllo non limiterebbe le attribuzioni regionali e comunque tale previsione si giustificherebbe per la necessità di assicurare l’esercizio unitario delle funzioni amministrative in tale delicato settore, trovando fondamento nell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Tale disposizione assegnerebbe allo Stato un particolare “compito” di carattere “trasversale”, nel cui esercizio lo Stato conserverebbe il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste. «Pertanto, ogni qual volta la garanzia di interessi di rilievo nazionale richieda l’esistenza di regole omogenee in tutto il territorio della Repubblica», le norme poste in attuazione di tali compiti sarebbero «efficaci anche se interferenti con le materie attribuite alla competenza concorrente o residuale delle Regioni».

15. – La Regione Emilia-Romagna, in prossimità dell’udienza, ha presentato una memoria nella quale contesta che la disciplina degli IRCCS rientri nella competenza statale in materia civilistica ex art. 117, secondo comma, lettera l) Cost. Tale rilievo sarebbe infondato, dal momento che l’art. 2 del decreto manterrebbe ferma la natura pubblicistica di tali istituti.
Inoltre, il richiamo alla competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. non sarebbe pertinente, non avendo le norme censurate alcun collegamento con i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali.

16. – La Regione Marche, nella ulteriore memoria depositata, oltre a ribadire le argomentazioni già svolte, osserva che la previsione contenuta nell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, secondo la quale la programmazione della ricerca degli IRCCS dovrebbe svolgersi in coerenza con gli atti di programmazione regionale, ridurrebbe ulteriormente lo spazio di intervento regionale, pure riconosciuto dall’art. 10, comma 1, lettera a), della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), il quale prevede l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni per la determinazione dei criteri di raccordo dell’attività di tali istituti con la programmazione regionale, nonché delle modalità di finanziamento delle attività assistenziali.
Infine, anche la Regione Marche contesta la possibilità di ricondurre le norme impugnate alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. per il solo fatto che la disciplina in esame concerna anche il diritto alla salute.

17. – L’Avvocatura dello Stato, nel giudizio promosso dalla Regione Marche (reg. ric. n. 96 del 2003) ha depositato una memoria nella quale svolge ulteriori considerazioni in ordine alle censure formulate da tale Regione avverso il d.lgs. n. 288 del 2003, affermando che le medesime considerazioni varrebbero anche con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Siciliana – il quale sarebbe peraltro inammissibile per carenza di interesse e per mancata specificazione delle norme censurate – nonché al ricorso della Regione Emilia-Romagna.
La difesa erariale afferma che la ricostruzione della natura degli IRCCS operata dalle ricorrenti non terrebbe conto dell’elemento più qualificante di tali enti, e cioè del fatto di costituire “centri di eccellenza”, nonché dell’indispensabile collegamento in una rete di servizi al fine di conseguire vari obiettivi, tra cui crescenti sinergie tra gli istituti stessi, l’innalzamento delle loro prestazioni in tutto il Paese, l’accesso ai programmi europei di ricerca. Tale carattere ne precluderebbe l’inquadramento nell’ambito delle ordinarie strutture sanitarie. Ciò sarebbe confermato dall’art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale stabilisce la possibilità di costituire gli IRCCS di diritto pubblico in aziende sanitarie ma con le particolarità procedurali di cui all’art. 11, comma 1, lettera b) della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), così confermando indirettamente l’autonomia della struttura organizzativa degli IRCCS.
Quanto alle singole censure, rileva l’Avvocatura che le competenze regionali non sarebbero lese dal momento che la trasformazione degli istituti in fondazioni dovrebbe avvenire su istanza della Regione. La vigilanza statale sarebbe già prevista dalla normativa vigente e si giustificherebbe in considerazione del fatto che le fonti di finanziamento sarebbero appunto statali. Le prerogative regionali sulla vigilanza sarebbero peraltro assicurate dalla previsione di comitati paritetici (art. 16). In ogni caso, la competenza statale sarebbe giustificata dalla necessaria uniformità della trasformazione degli IRCCS.
Il carattere dettagliato delle previsioni del d.lgs. n. 288 si giustificherebbe, poi, con l’esigenza di garantire l’uniformità organizzativa degli istituti su tutto il territorio nazionale e non pregiudicherebbe le prerogative regionali in ordine alla programmazione dell’attività di assistenza. Infondate, infine, sarebbero le censure sulle norme concernenti il personale degli IRCCS in quanto, rinviando al d.lgs. n. 502 del 1992 e al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), esse assicurerebbero, nell’ambito degli istituti non trasformati, uniformità di comportamento e salvaguarderebbero le competenze regionali delineate da tale normativa.

18. – La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 24 febbraio 2003 e depositato il 4 marzo 2003, ha impugnato, fra gli altri, l’art. 4, comma 236, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).
La disposizione in esame prevede che gli IRCCS, al fine di ripianare i debiti pregressi fino al 31 ottobre 2003, possano procedere alla alienazione del proprio patrimonio e che «le modalità di attuazione sono autorizzate con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze». Tale disciplina, secondo la ricorrente, violerebbe gli articoli 117, terzo comma, e 118 Cost. Gli IRCCS, infatti, sarebbero «enti che rientrano ormai nell’orbita regionale», in quanto operanti in ambiti di legislazione concorrente, mentre la disposizione non potrebbe in alcun modo essere considerata un “principio fondamentale della materia”, con la conseguenza che ogni decisione volta a consentire o vietare l’alienazione del patrimonio di tali enti dovrebbe spettare alle Regioni. La norma censurata, inoltre, contrasterebbe con l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto affiderebbe al Ministro un potere regolamentare in ambiti di potestà legislativa concorrente.

19. – In tale giudizio, si è costituto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, contestando genericamente i motivi di censura formulati dalla ricorrente.
Nella memoria depositata successivamente, l’Avvocatura dello Stato osserva che gli IRCCS sarebbero qualificati dal d.lgs. n. 288 del 2003 come “enti a rilevanza nazionale” e quindi rientrerebbero nella potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. Inoltre, poiché la disposizione censurata atterrebbe alla disciplina della capacità di agire di tali persone giuridiche, essa rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

20. – In data 26 ottobre 2004, anteriormente allo svolgimento dell’udienza pubblica, la difesa della Regione Siciliana ha depositato un atto in cui il Presidente della Regione dichiara di rinunciare ad entrambi i ricorsi proposti. L’Avvocatura dello Stato ha accettato tale rinuncia.
Considerato in diritto
1. – La Regione Siciliana e le Regioni Veneto, Emilia-Romagna e Marche, con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti nel registro ricorsi ai nn. 30, 31, 32 e 34 del 2003), hanno proposto questioni di legittimità costituzionale (le Regioni Veneto ed Emilia-Romagna insieme ad altre disposizioni) degli articoli 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), i quali delegano il Governo ad emanare un decreto legislativo recante norme per il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, per violazione degli artt. 3, 114, 117, terzo e sesto comma, 118, 119 Cost., nonché, per ciò che riguarda la Regione Siciliana, dell’art. 17, lettere b) e c) dello statuto regionale, approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), e convertito in legge costituzionale con la legge cost. 26 febbraio 1948, n. 2.
La Regione Marche, la Regione Siciliana e la Regione Emilia-Romagna, con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti nel registro ricorsi ai nn. 96 e 98 del 2003, n. 3 del 2004) hanno impugnato l’intero decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’art. 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3), nonché numerose disposizioni che lo compongono, in relazione agli artt. 3, 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, 119 ed al principio di leale collaborazione, nonché, per ciò che riguarda la Regione Sicilia, all’art. 17, lettere b) e c) dello statuto regionale.
La Regione Emilia-Romagna con ricorso iscritto al n. 33 del registro ricorsi del 2004 ha impugnato, in relazione agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., tra gli altri, l’art. 4, comma 236, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), il quale consente la alienazione del patrimonio degli IRCCS, al fine di ripianare i debiti pregressi fino al 31 ottobre 2003.
2. – Per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di legittimità costituzionale sollevate avverso gli artt. 42 e 43 della legge n. 3 del 2003 e avverso l’art. 4, comma 236, della legge n. 350 del 2003 devono essere trattate separatamente dalle altre concernenti gli stessi atti normativi e sollevate con i medesimi ricorsi delle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna, oggetto di distinte decisioni.
Considerata l’identità di materia, nonché la sostanziale analogia delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza.
3. – In prossimità alla data fissata per l’udienza, la Regione Veneto ha rinunciato al ricorso n. 31 del 2003 avverso gli artt. 42 e 43 della legge n. 3 del 2003.
In occasione dell’udienza pubblica la difesa della Regione Siciliana ha depositato la rinuncia ai ricorsi nn. 30 e 98 del 2003.
Entrambe le rinunce sono state accettate dall’Avvocatura generale dello Stato, cosicché i relativi giudizi devono essere dichiarati estinti; la presente decisione avrà dunque ad oggetto le questioni sollevate con i ricorsi nn. 32, 34, 96 del 2003 e nn. 3 e 33 del 2004.
4. – Numerosi e frammentati appaiono i rilievi di costituzionalità sollevati. Essi possono essere sintetizzati nei termini seguenti:
I. – l’art. 42 della legge n. 3 del 2003, considerato nel suo complesso, delegando il Governo a dettare norme di dettaglio volte al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, anziché fissare principi fondamentali per l’attuazione del riordino da parte delle Regioni, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si verterebbe in ambiti materiali affidati alla legislazione concorrente, nei quali lo Stato dovrebbe limitarsi esclusivamente a porre i principî fondamentali; ciò, sia che si ritenesse la normativa impugnata incidente nella materia “tutela della salute”, sia che la si ritenesse incidente nell’ambito della “ricerca scientifica” (Regione Emilia-Romagna, Regione Marche);
II. – l’art. 42 della legge n. 3 del 2003, anche ove fosse interpretato nel senso di abilitare il Governo a dettare soltanto “i principî fondamentali per il riordino della disciplina” degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, violerebbe comunque l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto tale interpretazione “adeguatrice” non troverebbe alcun riscontro concreto nei contenuti della delega, dal momento che i singoli principî e criteri direttivi posti al legislatore delegato sarebbero tali da consentirne al Governo uno sviluppo solo mediante normative di mero dettaglio in materie di legislazione concorrente (Regione Emilia-Romagna);
III. – l’art. 42, comma 1, lettera a), della legge n. 3 del 2003, nel disporre che il Governo debba «prevedere e disciplinare […] le modalità e le condizioni attraverso le quali il Ministro della salute, d’intesa con la Regione interessata, possa trasformare gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico […] in fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell’economia e delle finanze, ferma restando la natura pubblica degli istituti medesimi», violerebbe: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto inciderebbe in ambiti di legislazione concorrente in violazione delle prerogative regionali, non valendo in senso inverso la previsione dell’intesa con la Regione interessata, riferita solo alle modalità ed alle condizioni dell’operare del Ministro; b) l’art. 118 Cost., in quanto allocherebbe al livello statale le funzioni amministrative connesse alla trasformazione degli istituti pur essendo del tutto adeguato allo svolgimento delle stesse il livello regionale (Regione Emilia-Romagna, Regione Marche);
IV. – l’art. 42, comma 1, lettera b), della legge n. 3 del 2003, nella sua interezza, costituendo principio della delega rivolta al Governo, e non principio fondamentale rivolto al legislatore regionale per l’esercizio della potestà legislativa spettante alle Regioni in ambiti di potestà concorrente, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. (Regione Emilia-Romagna);
V. – l’art. 42, comma 1, lettera b), della legge n. 3 del 2003, ponendo una disciplina di dettaglio sulla composizione degli organi di amministrazione, compresa la riserva della nomina del direttore generale-amministratore delegato al consiglio di amministrazione, nonché la nomina del direttore scientifico responsabile della ricerca da parte del Ministero della salute, sentita la Regione interessata, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto interverrebbe in materie di competenza concorrente, quali la tutela della salute e la ricerca scientifica, costringendo la Regione a dettare una disciplina omogenea a quella dettata dalla legge statale, senza la possibilità di adottare, pur nel rispetto dei principî fondamentali, un modello organizzativo autonomo o comunque diversamente articolato (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche);
VI. – l’art. 42, comma 1, lettera b), della legge n. 3 del 2003, nella parte in cui impone di assicurare, nell’organo di indirizzo composto da consiglio di amministrazione e presidente, la rappresentanza paritetica del Ministero della salute e della Regione “interessata”, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto determinerebbe una indebita ingerenza del Ministero in compiti di gestione locali (Regione Emilia-Romagna);
VII. – l’art. 42, comma 1, lettera b), della legge n. 3 del 2003, prevedendo la nomina del direttore scientifico responsabile della ricerca da parte del Ministero della salute, sentita la Regione interessata, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto il ruolo meramente consultivo della Regione in ordine a tale profilo non risponderebbe più all’inclusione della ricerca scientifica tra le materie di legislazione concorrente (Regione Emilia-Romagna);
VIII. – l’art. 42, comma 1, lettera c), della legge n. 3 del 2003, nel prevedere, tra i principi e criteri direttivi, quello di «trasferire ai nuovi enti, in assenza di oneri, il patrimonio, i rapporti attivi e passivi e il personale degli istituti trasformati», disponendo altresì che «il personale già in servizio all’atto della trasformazione può optare per un contratto di lavoro di diritto privato, fermi restando, in ogni caso, i diritti acquisiti», violerebbe: gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., comprimendo illegittimamente l’autonomia legislativa regionale, dal momento che si tratterebbe di una “scelta operativa e organizzativa” che competerebbe alle Regioni in quanto concernente personale regionale il cui stato giuridico sarebbe del tutto assimilabile a quello del restante personale delle aziende sanitarie regionali (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche), ponendosi, altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto attribuirebbe un privilegio a beneficio di una categoria di personale (parametro, quest’ultimo, evocato solo dalla Regione Emilia-Romagna);
IX. – l’art. 42, comma 1, lettera d), della legge n. 3 del 2003, nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi, quello di «individuare, nel rispetto della programmazione regionale, misure idonee di collegamento e sinergia con altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, e con le università, al fine di elaborare e attuare programmi comuni di ricerca, assistenza e formazione», violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, spettando pertanto alla Regione il potere di coordinamento con le altre strutture di ricerca e sanitarie (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche);
X. – l’art. 42, comma 1, lettera e), della legge n. 3 del 2003, nel contemplare tra i principî e criteri direttivi, quello di «prevedere strumenti che valorizzino e tutelino la proprietà dei risultati scientifici, ivi comprese la costituzione e la partecipazione ad organismi ed enti privati, anche aventi scopo di lucro, operanti nel settore della ricerca biomedica e dell’industria, con modalità atte a salvaguardare la natura no profit delle fondazioni», violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, ponendo peraltro un principio che dovrebbe essere direttamente attuato dalla legge regionale e non dal Governo mediante decreto legislativo (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche);
XI. – l’art. 42, comma 1, lettera f), della legge n. 3 del 2003, nell’individuare, tra i principî e criteri direttivi, quello di prevedere che il Ministro della salute assegni a ciascuna fondazione, o a fondazioni aggregate a rete, diversi e specifici progetti finalizzati di ricerca, anche fra quelli proposti dalla comunità scientifica, sulla base dei quali aggregare scienziati e ricercatori considerando la necessità di garantire la qualità della ricerca e valorizzando le specificità scientifiche già esistenti o nelle singole fondazioni ovvero nelle singole realtà locali, violerebbe: a) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione ridurrebbe le competenze dei livelli di governo regionali, rispetto a procedimenti già attualmente in essere, dal momento che – a seguito delle modificazioni del sistema di finanziamento del Fondo sanitario regionale – la ricerca finalizzata (compresa quella svolta dagli IRCCS) sarebbe attualmente finanziata prevalentemente su fondi di provenienza regionale (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche); b) l’art. 119 Cost. in quanto, l’attribuzione allo Stato di compiti di definizione delle risorse per la ricerca, senza il pieno coinvolgimento delle Regioni, lederebbe le attribuzioni loro costituzionalmente garantite (parametro evocato solo dalla Regione Marche);
XII. – l’art. 42, comma 1, lettera g), della legge n. 3 del 2003, nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi, quello di «disciplinare le modalità attraverso le quali applicare i principî di cui al presente articolo agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato, salvaguardandone l’autonomia giuridico-amministrativa», violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, ponendo peraltro un principio che dovrebbe essere direttamente attuato dalla legge regionale e non dal Governo mediante decreto legislativo (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche);
XIII. – l’art. 42, comma 1, lettera i), della legge n. 3 del 2003, nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi, quello di «disciplinare le modalità attraverso le quali le fondazioni, nel rispetto degli scopi, dei programmi e degli indirizzi deliberati dal consiglio di amministrazione, possono concedere ad altri soggetti, pubblici e privati, compiti di gestione, anche di assistenza sanitaria, in funzione della migliore qualità e maggiore efficienza del servizio reso», violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, ponendo peraltro un principio che dovrebbe essere direttamente attuato dalla legge regionale e non dal Governo mediante decreto legislativo (Regione Emilia-Romagna e Regione Marche);
XIV. – l’art. 42, comma 1, lettera m), della legge n. 3 del 2003, nel prevedere, tra i principî e criteri direttivi, quello di «regolamentare i criteri generali per il riconoscimento delle nuove fondazioni e le ipotesi e i procedimenti per la revisione e la eventuale revoca dei riconoscimenti già concessi, sulla base di una programmazione nazionale riferita ad ambiti disciplinari specifici secondo criteri di qualità ed eccellenza», violerebbe: a) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione non lascerebbe alcuno spazio, a prescindere dalle scelte del legislatore delegato, per una disciplina regionale (Regione Marche); b) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione concernerebbe materie chiaramente rientranti nella competenza regionale, ponendo peraltro un principio che dovrebbe essere direttamente attuato dalla legge regionale e non dal Governo mediante decreto legislativo (Regione Emilia-Romagna); c) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto spetterebbe alla Regione il riconoscimento di nuovi enti, nonché la revoca di tale riconoscimento (Regione Emilia-Romagna); d) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto tale disposizione verrebbe a ridurre le competenze dei livelli di governo regionali, rispetto a procedimenti già attualmente in essere, così come previsti dall’art. 2 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come risultante dalla

Sanità: al Parlamento Europeo torna il rischio Bolkestein

La Direttiva sui servizi nel mercato interno (ex Bolkestein)esclude dal campo di applicazione i servizi sanitari, sia quelli gestiti dal pubblico sia quelli gestiti dal privato, perché, a seguito della grande mobilitazione e della pressione esercitata sui parlamentari europei, il Parlamento europeo considerò che l’interesse generale doveva prevalere rispetto al principio della concorrenza.
Nelle stesse settimane, tuttavia, la Corte di Giustizia si pronunciava sul cosiddetto “caso Watts”, il ricorso di una cittadina britannica che richiedeva il rimborso da parte del servizio sanitario britannico delle spese sostenute per un intervento di protesi all’anca cui si era sottoposta in un altro paese della UE in quanto il tempo di attesa nel Regno Unito superava la sua possibilità di attesa.

Di conseguenza la Commissione, nel redigere il testo definitivo della direttiva, anticipava uno specifico provvedimento sulla sanità che avrebbe preso in esame gli aspetti legati alla mobilità sanitaria transfrontaliera dei pazienti e degli operatori sanitari e il problema dei rimborsi da parte degli Stati di provenienza.

Una specifica Comunicazione venne lanciata nel dicembre 2006 e su questa si è avviò la consultazione di rito (la FP ha collaborato con la CGIL, da un lato, e con la FSESP, dall’altro, per la risposta al questionario della Commissione).
Il 10 maggio la Commissione per il mercato interno del Parlamento europeo ha votato la relazione di Bernadette Vergnaud (PSE) che, in estrema sintesi, chiede alla Commissione una nuova proposta per reintrodurre i servizi sanitari nella direttiva servizi a motivo del fatto che la concorrenza migliora la qualità dei servizi.

Il voto in plenaria al Parlamento europeo previsto il 24 maggio.

Oltre al giudizio politico generale che riguarda l’insistenza ideologica con cui la Commissione persegue l’obiettivo di liberalizzare servizi fondamentali come quelli sanitari, anche una misura parziale sulla mobilità sanitaria e i rimborso delle prestazioni fruite all’estero contiene non poche insidie:
1)data l’impossibilità di definire standard qualitativi e quantitativi di assistenza europei ( è materia di competenza degli Stati membri) la tutela del “consumatore” può spingere a definire tempi di attesa oltre i quali ciascuno può farsi curare dove ritiene più opportuno (ben oltre quanto è già previsto dalle normative comunitarie e dagli accordi bilaterali tra gli Stati). Ciò determinerebbe una disparità di accesso ai servizi tra coloro che hanno più possibilità di informazione e mezzi per potere anticipare i costi. Di fatto verrebbe meno il principio di universalità.

2) L’obbligo al rimborso può produrre due effetti: il primo, in caso di un numero elevato di prestazioni fruite all’estero, quello di fare aumentare in maniere non controllata e programmata dagli SM la spesa sanitaria. Il secondo, e conseguente al primo, quello di spingere verso il sistema assicurativo privato e, nuovamente, privilegiare i più ricchi.

3) In un sistema di questo genere anche gli investimenti per la ricerca, per il miglioramento delle cure e prestazioni verrebbero indirizzati non già a fare crescere la qualità dei servizi sanitari nazionali, ma i poli di eccellenza internazionali e gli stessi Stati sarebbero spinti a sostituire con voucher per prestazioni, o per le polizze assicurative, le quote di finanziamento che oggi servono a garantire l’universalità del servizio.

Anche la previsione di liberalizzare la mobilità transfrontaliera dei professionisti sanitari può costituire fonte di problemi con ricadute contrattuali, senza, tuttavia, risolvere quelli presenti, come la condizione del personale straniero impegnato nelle aziende sanitarie, meriterebbero un intervento volto a regolamentarne le condizioni di assunzione e di lavoro per impedire gli abusi a cui questi lavoratori sono spesso sottoposti.

Il testo della relazione che sarà presentata alla plenaria del PE il 24 maggio
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