Polizia Penitenziaria - Vice Ispettori aliquota B 2022

Preg.mo Presidente,
non possiamo esimerci di porle alcune riflessioni che, la scrivente, già all’epoca della contrattazione per le sedi da destinare ai vincitori del concorso interno per il ruolo degli Ispettori, aveva rappresentato al Direttore Generale Dott. Massimo Parisi, ovvero, la mancanza delle sedi per i concorrenti di una minima parte dell’aliquota A e dell’aliquota B del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità, inoltre non erano presenti sedi extra-moenia che, di fatto, mettono a grave rischio l’Amministrazione Penitenziaria su eventuali ricorsi ai competenti Tribunali Amministrativi Regionali.

Purtroppo, all’epoca dei fatti la posizione dell’Amministrazione è stata molto dura, al contrario dei due precedenti concorsi destinati sempre al Ruolo Ispettori ed anche per il ruolo Sovrintendenti , entrambi nati con mobilità ed entrambi rivisti dall’Amministrazione dell’epoca al fine di farli permanere nelle rispettive sedi di appartenenza.

Ora alla luce delle modalità pregresse tutto il personale auspicava in un ravvedimento durante la fase concorsuale, cosa non avvenuta e che ha portato ad un elevato numero di rinunce e vari scorrimenti della graduatoria che, inevitabilmente dovrebbero aver mutato anche i posti disponibili nelle sede di servizio previste all’epoca dei fatti, quindi, con la consapevolezza della S.V. e della scrivente, vi è la necessita di un incontro per definire eventuali ridefinizioni sulle sedi in cui assegnare gli allievi vice ispettori, in considerazione degli scorrimenti e del personale posto in
quiescenza forzatamente dall’ospedale militare.

La revisione e l’ampliamento di molte sedi consentirebbe sicuramente, una riduzione del disagio del personale che sta espletando il corso, riducendo al minimo l’impatto.

Altra alternativa possibile, sarebbe la permanenza nelle sedi di appartenenza, vista la partenza a breve di altri 411 allievi vice ispettori provenienti dall’esterno.

Probabilmente, un ravvedimento in questa fase eviterebbe ulteriori rinunce di chi, costretto a scegliere tra la carriera e la propria famiglia rinuncerà al grado.

Fiduciosi e disponibili ad una condivisione/confronto sul tema di cui trattasi, restiamo in attesa di un suo cortese quanto celere riscontro.

Distinti saluti

Mirko Manna – FPCGIL Nazionale

Carcere di Salerno - ANSA

(ANSA) – NAPOLI, 22 SET – “Il carcere di Salerno è una polveriera pronta ad esplodere. Centocinquanta Poliziotti penitenziari per gestire cinquecento detenuti. Il DAP invii immediatamente il Gruppo Operativo Mobile”. Sono le prime dichiarazioni di Mirko Manna, Coordinatore nazionale FP CGIL Polizia Penitenziaria, all’uscita dal carcere, dopo una visita sui luoghi di lavoro che il Sindacato sta effettuando negli istituti penitenziari della Regione Campania.

“Le Poliziotte e i Poliziotti della Penitenziaria del carcere di Salerno – ha dichiarato Manna – stanno fronteggiando da mesi una situazione ormai diventata insostenibile. Dei ventidue Poliziotti previsti di rinforzo dal piano nazionale dei trasferimenti, ne sono arrivati solo sette di cui tre già distaccati a vario titolo presso l’istituto salernitano. Trenta Poliziotti andranno in pensione a breve e quindici non lavorano perché in malattia da tempo. Garantire la sicurezza è diventato ormai impossibile. Temiamo gravi eventi critici da un momento all’altro”.

La delegazione era composta anche dal Coordinatore regionale FP CGIL Orlando Scocca che ha da sempre denunciato le condizioni di lavoro fatiscenti in cui sono costretti a lavorare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria: “Conosco da vicino questa realtà e confermo tutti i nostri allarmi e i solleciti che abbiamo effettuato in Regione”.

Parole di apprezzamento per il lavoro svolto dalle colleghe nel Reparto femminile, sono state espresse da Livia Veltre FP CGIL Salerno: “Ho avuto modo di verificare la professionalità delle Poliziotte Penitenziarie che in un contesto così difficile e precario riescono a garantire alti livelli di sicurezza nel proprio ambiente di lavoro”.

La visita è stata accompagnata dalla Direttrice del carcere, la Dott.ssa Rita Romano, a cui la delegazione FP CGIL vuole esprimere un sincero ringraziamento per come ha saputo gestire fino ad ora una situazione del genere svolgendo, di fatto, anche le funzioni di Comandante di Reparto.

“I continui avvicendamenti dei Dirigenti di Polizia Penitenziaria nel carcere di Salerno – ha concluso Manna – non hanno certo contribuito a creare un clima sereno e coeso tra gli Agenti ai quali fino ad ora è mancato un Comandante di Reparto all’altezza della situazione. Ribadiamo il nostro appello urgente al Capo del DAP Carlo Renoldi di inviare al più presto un contingente del Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria, per evitare i gravi eventi critici che ormai, c’è da aspettarsi, che si verificheranno da un momento all’altro nel carcere di Salerno”.

“La conferma della rappresentatività non ci basta: la Funzione Pubblica CGIL punta a rendere il Corpo di Polizia Penitenziaria parte attiva del rinnovamento necessario nel mondo penitenziario”.

Con questo obiettivo si sono concluse ieri 15 settembre a Roma le due giornate di lavori del coordinamento nazionale FP CGIL Polizia Penitenziaria che ha reso possibile il confronto tra i  Coordinatori regionali della Polizia Penitenziaria con il Coordinatore nazionale Mirko Manna, ma anche con i più importanti rappresentanti delle altre realtà del settore penitenziario: Carla Ciavarella per i Dirigenti penitenziari, Paola Fuselli per l’Esecuzione Penale Esterna, Roberto Mascagni per le Funzioni Centrali.

I lavori sono stati aperti dal Responsabile Nazionale Sistema Penitenziario Massimiliano Prestini e sono stati conclusi dall’intervento del Segretario Nazionale Funzione Pubblica CGIL Florindo Oliverio (Responsabile dei settori ministeri, sicurezza e soccorso, organi costituzionali) che hanno sottolineato l’importanza che la Funzione Pubblica CGIL ha voluto riconoscere al Corpo di Polizia Penitenziaria nella strategia complessiva del sindacato di migliorare le condizioni dei lavoratori, ma anche nella certezza che solo attraverso l’individuazione di obbiettivi comuni a tutti i comparti,
il sistema penitenziario potrà superare la profonda crisi che sta attraversando.

Nelle due giornate, il Coordinatore Nazionale Mirko Manna ha delineato le strategie future per il rilancio della FP CGIL Polizia Penitenziaria che vedono al centro la formazione dei rappresentanti sindacali per rendere ancora più incisiva la tutela dei lavoratori del Corpo. Nelle prossime strategie del sindacato di polizia penitenziaria c’è anche la determinazione di non concedere più alibi all’amministrazione penitenziaria riguardo ai mancati riconoscimenti dei contratti, delle regole di garanzia e dei diritti degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria.

Fabrizio Rossetti, Segretario Nazionale Funzione Pubblica CGIL (Responsabile delle politiche dell’organizzazione, tesseramento, convenzioni e assistenza legale), ha portato i saluti e l’appoggio del Segretario Generale della Funzione Pubblica CGIL Serena Sorrentino, impegnata a Bologna in altri lavori sindacali.

Come operazione antidroga di Salerno dimostra

“L’operazione antidroga condotta a Salerno dalla Polizia di Stato, insieme al corpo della Polizia Penitenziaria Nucleo Investigativo Centrale, e che ha portato alla luce una vera e propria ‘piazza di spaccio’, come affermato dal procuratore Giuseppe Borrelli, dimostra ancora una volta il bisogno di investire sull’intero sistema penitenziario”. Ad affermarlo è la Fp Cgil Polizia Penitenziaria.

Da tempo, prosegue il sindacato, “denunciamo situazioni, insieme a diversi fattori, che influiscono negativamente sulla gestione degli istituti penitenziari italiani, specie sul regime poco organizzato della vigilanza dinamica. Riteniamo fondamentale e necessaria la costituzionale attività trattamentale, ma bisogna urgentemente investire sull’intero sistema penitenziario, per assicurare un’adeguata e giusta sicurezza per gli operatori e la collettività tutta, partendo da una sana perequazione delle vacanze organiche, seri interventi strutturali, innovazioni tecnologiche avanzate, risorse finanziarie e mezzi”.

“Solo così potremo finalmente coniugare le varie esigenze istituzionali e arginare le illegalità consumate all’interno delle carceri, situazioni lavorative stressogene e una molteplicità di annose problematiche che investono tutto il sistema”, conclude.

fuori a metà

Teresa, Sonia e Giuseppe si occupano di dare a chi commette un reato una possibilità di riscatto. Sono le lavoratrici e i lavoratori dell’esecuzione penale esterna: assistenti sociali e poliziotti penitenziari. 1.300 con 94 mila soggetti a carico. Una situazione ai margini del possibile che hanno voluto raccontarci.

 

L’esecuzione penale esterna è quel segmento che offre, per i reati minori, un’alternativa al carcere e che mira, attraverso il controllo e l’assistenza, alla rieducazione al reinserimento del reo nella società. Una misura in aumento, passando da 32 mila persone nel 2015 a oltre 55 mila nel 2019, a fronte di appena 1.299 lavoratori del settore. Un bilancio destinato a peggiorare a causa dei prossimi pensionamenti dovuti all’età media elevata nei servizi sociali e a Quota 100. Una situazione grave cui si prova a sopperire ricorrendo al volontariato. Teresa, Sonia e Giuseppe sono tre lavoratori che si occupano di esecuzione penale esterna e che hanno voluto raccontarci la loro professione.

 

“Mi ha fatto riflettere accorgermi che i figli erano diventati come i padri”
Teresa, assistente sociale del Centro di Giustizia Minorile di Napoli

“Ho lavorato per più di 30 anni presso l’Uepe di Napoli e da circa tre settimane sono al Centro di Giustizia Minorile. Questo cambiamento è stato per me motivo di grande riflessione, per una ragione: aprendo i fascicoli dei minori mi sono accorta che quei minori fossero i figli di giovani donne e uomini che avevo seguito 25 anni prima. I padri una volta erano i figli, e i figli erano diventati come i padri.

Questo rende chiara una consapevolezza: non si può pensare di intervenire in modo frammentato sul degrado sociale e familiare di alcune realtà. Per rovesciare davvero il destino scritto di queste famiglie ci vorrebbe un intervento a 360 gradi di tutte le istituzioni, di tutta la società civile.
Se quei ragazzi che avevo conosciuto 25 anni fa fossero stati presi in carico da tutta la società civile, forse oggi quei figli non avrebbero seguito le stesse orme dei genitori.
Un detenuto costa circa 200 euro al giorno, un minore in comunità tra i 92 e i 108 euro. Con queste cifre, quante cose si potrebbero fare nella prevenzione? Quanto benessere si potrebbe garantire?

Io credo che il nostro sia un lavoro bellissimo nel quale bisogna dare senza riserva. Ma i numeri dell’Esecuzione Penale Esterna sono tali che ciò è reso impossibile. Non solo come personale, ma anche come carichi e condizioni di lavoro: uffici fatiscenti, strumenti obsoleti, servizi igienici malfunzionanti. Non si può approfittare dell’attaccamento al proprio compito istituzionale; occorre dare dignità al lavoro di tutti”.

Teresa - Fuori a metà

“Convincere le persone a venire da noi e a raccontare la propria storia personale, è complicato. Ci vivono come persone che si intrufolano in maniera prepotente nella loro vita”
Sonia, assistente sociale dell’Uepe di Roma

“Il nostro è un mestiere difficile, usurante. Un mestiere in cui ogni giorno assisti alla visione di vite sprecate, di storie terribili. E devi comunque saper conservare quella visione ottimistica e di fiducia nella capacità degli uomini di fare scelte di senso, di riprendere in mano la propria vita e di cambiarla. Una missione, molto più che un mestiere. Per fare questo lavoro devi crederci davvero, devi credere davvero che la pena non sia pura afflizione ma un’occasione per riqualificarsi.

I fascicoli delle persone che seguiamo sono messi in ordine di priorità. Ma nel nostro lavoro la persona umana conta più delle carte. Se ho un ragazzo in carcere che fa sciopero della fame perché non può seguire la scuola io devo poter intervenire, al di là dell’ordine dei miei fascicoli. Con gli adulti poi è ancora più difficile. Convincerli a venire da noi, a raccontare la propria storia personale, è molto complicato. Va fatto in maniera delicata. Ci vivono come persone che si intrufolano in maniera prepotente nella loro vita.

Ma ci troviamo ogni giorno costretti a combattere con condizioni di lavoro difficili. Siamo pochi e con carichi di lavoro pesanti: il numero di utenti aumenta e anche le misure di cui ci dobbiamo occupare. Se vogliamo davvero perseguire gli obiettivi tipici del nostro lavoro, ci va restituita una dignità professionale”.

Sonia - Fuori a metà

 

“Assistenti sociali e poliziotti penitenziari, la nostra è una sinergica azione con un unico grande obiettivo comune: il reinserimento della persona”
Giuseppe, Poliziotto Penitenziario, Centro di Giustizia Minorile dell’Aquila

Giuseppe - Fuori a metà“La creazione di un unico Dipartimento ha aperto la strada alla costruzione di un percorso di inclusione sociale per adulti e minorenni, coinvolgendo diverse figure professionali: esperti in materie psicologiche e sociali, nonché la Polizia Penitenziaria. Una sinergica integrazione di tutti gli interventi, senza dover snaturare le competenze di ognuno di noi, fino al raggiungimento di un unico grande obiettivo comune: il reinserimento e il controllo sociale dell’affidato.

Il poliziotto penitenziaria non dovrà più essere visto come mero custode della struttura che garantisce sicurezza interna, ma come un vero e proprio protagonista del sistema, che partecipa attivamente a tutte le fasi che accompagnano l’affidato nella sua misura.

Sento doveroso lanciare un appello affinché tanto il Governo quanto la nostra Amministrazione diano la giusta forza di investimento per garantire questo rinnovamento, con una linfa nuova, che dia spessore al lavoro in questo settore”.

Donne della Polizia Penitenziaria in netta minoranza, con pochi posti disponibili nei concorsi, escluse dai percorsi di carriera. Cosa vuol dire essere donne poliziotte, in un ambiente da sempre maschile

 

Come vive una donna che lavora in un carcere? Con quali condizioni di lavoro ha a che fare ogni giorno? Cosa vuol dire lavorare in un ambiente che negli anni è sempre stato caratterizzato da una presenza prettamente maschile? Esiste la tanto decantata parità di genere nel mondo del lavoro e, in particolare, in quello delle donne in divisa? Questi gli interrogativi dai quali siamo partiti e che ci hanno portato a costruire un’idea di parità, umana e professionale, che abbiamo deciso di condividere, domani, a Milano, nel Carcere di San Vittore, con un’iniziativa targata Fp Cgil dal titolo ‘Oltre le sbarre, il lavoro delle donne in divisa’.

 

Donne e lavoro.

Purtroppo viviamo in un Paese in cui, più che nel resto dell’Europa, si scontano importanti disparità di condizioni tra i generi. Assistiamo sempre più spesso, negli ultimi mesi, a iniziative della politica che, di fatto, minano le libertà e i diritti individuali delle donne, ad un arretramento culturale che rafforza un modello di società patriarcale. Questo ‘modus pensandi’ si riversa inevitabilmente nel mondo del lavoro, tutto. A partire dalle retribuzioni. Lo scenario italiano infatti è quello di donne mediamente molto più istruite dei colleghi uomini, ma con salari inferiori, a parità di occupazione e di mansioni, nonostante le più elevante competenze. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi al 2018, lo scarto di retribuzioni tra uomini e donne sfiora il 30%.

 

La maternità.

A maggior ragione la maternità è implicitamente considerata, in Italia, un evento personale e legato alla vita privata – e, diciamocelo, un inconveniente per il datore di lavoro – piuttosto che una risorsa per il Paese, che in fondo non è altro che una macchina che si mette in moto e si alimenta, di generazione in generazione. E’ di conseguenza considerato un costo quello per i servizi a sostegno delle famiglie, piuttosto che un investimento. Secondo i dati Istat, infatti, sono il 27% le madri che lasciano il lavoro per prendersi cura dei propri figli, contro il solo 0,5% degli uomini nella stessa condizione.

 

Le donne della Polizia Penitenziaria.

Non è difficile immaginare quanto possa essere enormemente più complicato per tutte quelle donne che trascorrono gran parte della propria giornata, ogni giorno, in ambienti di lavoro in cui la presenza maschile è predominante. La presenza di donne nel corpo di polizia penitenziaria è una novità introdotta appena 29 anni fa con la Legge 395 del 1990 e rappresenta oggi il 9% del personale tra gli agenti (il 7% tra i sovraintendenti e il 12% tra gli ispettori). Questa è una conseguenza anche della normativa vigente secondo cui “il personale del corpo di polizia penitenziaria da adibire ai servizi in Istituto all’interno delle sezioni deve essere dello stesso sesso dei detenuti”. E se consideriamo che la popolazione carceraria è costituita da circa 55 mila detenuti uomini e da sole 2.228 detenute donne (dati del 2017), va da sé che la presenza maschile è quasi esclusiva.

Ma è davvero quella vigente l’unica modalità possibile? Eppure questo non vale per tutte le legislazioni. Ci sono infatti esperienze europee (come quelle di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Francia e Germania) in cui le donne della Polizia Penitenziaria sono ammesse anche nelle sezioni maschili, salvo che per le operazioni di perquisizione dei detenuti. Queste esperienze ci insegnano che aumentare il numero di donne nel corpo di Polizia Penitenziaria, se fatto con criterio, è possibile. C’è poi da considerare che l’Italia esclude attualmente le donne non solo dai ruoli che operano all’interno delle sezioni detentive, ma anche da ruoli e mansioni che non prevedono il lavoro in sezione: ispettori e sovrintendenti. Gli ultimi concorsi per accedere ai suddetti ruoli, infatti, hanno previsto soli 172 posti femminili per i sovrintendenti, pari al 6% (contro 2.679 posti maschili) e 35 posti femminili per gli ispettori pari al 5% (contro i 608 maschili). Per gli agenti la percentuale aumenta al 22%, con 196 agenti donne e 678 agenti uomini.

 

Le condizioni di lavoro.

Quanto detto fino adesso tocca solo questioni numeriche, c’è poi tutta la questione di come si lavora nelle carceri. Un ambiente storicamente maschile ha mantenuto in sé una serie di aspetti organizzativi e pratici, oltre che psicologici e umani, che rendono difficile il clima per le donne poliziotte. Nelle carceri, per esempio, non ci sono spogliatoi, bagni, armadietti e stanze per il pernottamento che siano riservati alle sole donne. Mancano misure di flessibilità di orari e turni per armonizzare quanto più possibile la conciliazione della vita personale con il lavoro. Sono tanti gli aspetti che fino ad oggi non sono stati curati e che meritano invece la giusta attenzione.

 

Per questo la Fp Cgil ha deciso, attraverso questa iniziativa, di sensibilizzare la politica a questo tema e di avanzare delle proposte, contenute nella Piattaforma per le pari opportunità, che permetterebbero a tutto il personale di Polizia Penitenziaria, uomini e donne, di vivere in armonia, nel rispetto e nella realizzazione personale e professionale. Nel corpo di Polizia Penitenziaria vi è una discriminazione verso le donne sostanziale rispetto a quanto avviene negli altri corpi di polizia. “Siamo convinti – commenta il sindacato – che una maggiore presenza femminile in ambienti così chiusi e delicati possa dare un contributo importante, rendendoli più sereni e vivibili. Non possiamo fare passi indietro, dobbiamo procedere in avanti, in direzione di una parità di opportunità tra uomini e donne che è da ritenersi civile”.

 

Le donne in divisa si raccontano:

 


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“È giunto il momento di portare la parità di genere in quei posti di lavoro, come quello del Corpo di Polizia Penitenziaria, da sempre caratterizzati da una presenza prevalentemente maschile. È un’evoluzione civile dovuta”. Questo lo spirito con il quale ieri la Funzione Pubblica Cgil si è recata al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria per incontrare il capo del Dipartimento, Francesco Basentini, e avanzare delle proposte “nella direzione del buon senso”.

 

Tanti gli aspetti sui quali è necessario lavorare, secondo la Funzione Pubblica Cgil. Primo tra tutti le assunzioni al femminile. Infatti al momento è prevista nel Corpo di Polizia Penitenziaria una presenza di donne pari al numero di detenute, attualmente appena il 5%, limite posto solo in questo Corpo. Non si tiene conto di tutti quei ruoli che non prevedono il lavoro con i detenuti, per i quali i concorsi sono aperti ai soli uomini. “Percentuale veramente bassa e misura priva di buon senso. Per questo stiamo lavorando nella direzione di calibrare una proposta assunzionale che tenga conto sì delle specificità e criticità dei ruoli e delle situazioni di pericolo potenziale, ma anche dell’importanza di dare alle donne l’opportunità di svolgere questo lavoro”. Altrettanto importante, fa sapere il sindacato, è la previsione di un’assistenza psicologica per i dipendenti degli istituti penitenziari, che chiaramente si rivolga indistintamente a uomini e donne. “Un atto di civiltà che tarda fin troppo ad entrare nella realtà delle carceri”. In seguito la Fp Cgil chiede un adeguamento delle strutture e dei servizi: bagni, docce e servizi igienici per le lavoratrici, stanze per il pernottamento, spogliatoi e armadietti personali, che al momento sono condivisi tra colleghe donne e colleghi uomini. Altro aspetto è quella della tutela delle lavoratrici madri, attraverso una serie di misure di flessibilità di orari e turni, prevedendo anche delle agevolazioni per quanto riguardo gli asili nido delle strutture. Infine non va trascurata la formazione e la sensibilizzazione al tema della parità di genere, possibile attraverso percorsi formativi specifici rivolti non solo alle lavoratrici ma anche a lavoratori e dirigenti. Tutti questi elementi di novità dovranno essere accompagnati dal monitoraggio del Comitato per le pari opportunità e da un lavoro di ricerca e rendicontazione delle condizioni e del clima sul posto di lavoro, con particolare attenzione al tema della prevenzione e della lotta alle molestie sessuali.

Questa la sintesi della proposta della Funzione Pubblica Cgil avanzata ieri al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, con la promessa di un nuovo incontro per continuare a discutere della questione e delineare in modo sempre più definito le misure più adeguate a garantire le pari opportunità all’interno del Corpo di Polizia Penitenziaria.

 

Leggi le nostre proposte

Trend in aumento: misure insufficienti, serve maggiore attenzione al tema

Decine di suicidi e migliaia di aggressioni, con numeri in continuo aumento: accade nelle carceri italiane, vittime gli agenti di polizia penitenziaria. Sono, infatti, 35 i suicidi e 2.250 le aggressioni subite negli ultimi cinque anni dai poliziotti penitenziari. Un trend in aumento che svela tra le righe le reali condizioni di lavoro del corpo, al limite delle possibilità. Questo il fenomeno registrato da dati ufficiali raccolti dalla Funzione Pubblica Cgil Polizia Penitenziaria. Un nuovo step della campagna della categoria dietro le parole ‘dentro a metà’ lanciata proprio per mostrare le condizioni di vita e di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria.

Tra il 2013 e il 2017, in soli cinque anni, secondo i dati raccolti dalla Fp Cgil Pol Pen, 35 sono stati i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita, il più delle volte con l’arma di ordinanza. Le aggressioni invece arrivano a 2.250, nello stesso periodo di riferimento. Un fenomeno che appare essere “in forte aumento”, tenendo conto delle 344 violenze registrate nel 2013 a fronte delle 590 del 2017.

“Dati che segnalano una condizione di vita e di lavoro allo stremo delle possibilità”, commenta Massimiliano Prestini, coordinatore nazionale della Fp Cgil Polizia Penitenziaria, nel sottolineare che: “La cosa che preoccupa di più è che l’amministrazione penitenziaria non ha risposto alla nostra pressante richiesta di avviare un confronto su una situazione lavorativa la cui gravità non può essere ignorata. Benessere e sicurezza devono diventare priorità nella gestione delle carceri del nostro Paese”.

“Non si può pensare di contrastare il fenomeno dei suicidi solo con l’istituzione di un numero verde. Tanto per cominciare servono presidi su tutto il territorio nazionale”, osserva Prestini nel ricordare che la risposta dell’amministrazione penitenziaria per contrastare il fenomeno è stata l’istituzione di una linea telefonica presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma a cui il personale può rivolgersi per consulenze.

Quella dell’aumento delle aggressioni subite dal personale, fa sapere Prestini, “non è altro che una conseguenza della decisione di tenere le celle aperte nelle carceri e di non impegnare i detenuti in alcun tipo di attività durante tutta la giornata. Se si vuole attuare un nuovo tipo di vigilanza serve più personale nelle carceri, supporto tecnologico per la vigilanza e soprattutto attività lavorative che possano favorire il reinserimento sociale del reo”. Per queste ragioni, conclude Prestini, “se il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non affronterà il problema, le condizioni delle carceri saranno destinate a peggiorare, riportandoci alla situazione di illegittimità sanzionata in un recente passato dall’Europa”.

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